Migranti sbarcati a Palermo
Ansa / US MSF
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Per il Pd il problema dei migranti non esiste

La maggioranza vota Lega e sostiene le politiche di Salvini ma a sinistra continuano a non capirlo

Ci sono cose che non capisco, per quanto mi sforzi. Per esempio i tatuaggi su tutto il corpo. O l’intrattenimento dei neonati con l’iPad, anziché con le classiche apine appese alla culla. O l’infatuazione degli italiani per il cellulare, un fenomeno che ci rende ridicoli agli occhi degli altri popoli. Sono per lo più cose frivole, quelle che non capisco per niente, e probabilmente è colpa mia: si vede che, essendo vissuto più tempo nel Novecento che nel secolo attuale, non sono in grado di cogliere il progresso.

C’è però una cosa tutt’altro che frivola che capisco ancora meno, e che invece dovrei capire, visto che faccio il sociologo. Questa cosa è il Partitodemocratico. Ho passato gli ultimi 20 anni a descrivere quelli che a me, nella mia ingenuità, parevano errori grandi come una casa, prima o poi forieri di disgrazie elettorali. Per esempio, l’oscurità del linguaggio, il complesso di superiorità morale, l’incapacità di affrontare il problema dei migranti, il distacco dai ceti popolari, la totale mancanza di senso critico verso l’Europa e le sue regole. Però una spiegazione riuscivo ancora a darmela, sia pure arrampicandomi un po’ sugli specchi: forse, mi dicevo, è solo una questione di tempo, cambiare è difficile, quando il vecchio gruppo dirigente andrà in pensione i nuovi venuti saranno meno ciechi. E invece no. Quelle spiegazioni non reggono.

Non solo i nuovi dirigenti si sono rivelati altrettanto ciechi dei vecchi, ma la volontà di non cambiare resiste persino alla più spettacolare sconfitta della sinistra dai tempi del Fronte popolare del 1948, avvenuta giusto 70 anni prima della débâcle del 4 marzo. A quasi un anno dal voto politico, a pochi mesi dal fondamentale appuntamento europeo, i dirigenti del Pd non solo non hanno prodotto una spiegazione convincente della sconfitta, ma si ostinano a non voler capire quel che è successo. Si muovono come se potessero continuare sostanzialmente come prima, perché non sono loro ad aver sbagliato politica ma è il popolo che si è fatto ingannare dai demagoghi Salvini e Di Maio.

Naturalmente c’è anche del vero in questo: il popolo è il popolo, e non si vede perché dovrebbe rifiutare sdegnato il reddito di cittadinanza offerto da Di Maio, dopo aver dato mostra di apprezzare gli 80 euro di Renzi. Ma il nodo vero non è la politica economico-sociale, che - appena la congiuntura lo permette - è sempre guidata dalle ragioni del consenso. Il nodo vero sono i migranti. Qui quasi tutta la dirigenza del Pd pare non aver capito il messaggio che il voto del 4 marzo scorso ha invito al Palazzo: la maggioranza degli italiani, di ingressi incontrollati non ne vuol più vedere nemmeno uno. Pretende nientemeno, quella maggioranza, che d’ora in poi in Italia si possa entrare solo in modo regolare. È così difficile da capire questo messaggio? Ma soprattutto: è così eversiva la domanda di legalità? Pare di sì, a giudicare dalla crociata antipopolo che la cultura di sinistra ha ingaggiato da quando esiste il governo gialloverde.

Di quella crociata si possono intendere, e persino condividere, le ragioni morali e umanitarie, ma non si capisce la reticenza sul punto fondamentale: se l’atteggiamento del nostro governo fosse quello suggerito dal Pd, nel giro di due mesi, con il miglioramento delle condizioni del mare, esploderebbero di nuovo le partenze, i morti in mare e gli ingressi irregolari.

Una sorta di strabismo sociologico impedisce alla classe dirigente del Pd di prendere atto della realtà: anziché ammettere lealmente che sia la politica dell’accoglienza sia quella dei porti chiusi hanno il loro prezzo, tanto in termini di vite umane quanto in termini di sicurezza, si ostinano a non vedere i costi dell’accoglienza e i benefici dei porti chiusi, come se l’accoglienza degli anni scorsi non avesse avuto un prezzo, e i porti chiusi di questi mesi non avessero anche prodotto dei risultati, primo fra tutti il crollo degli ingressi irregolari. La cosa strana, o perlomeno inspiegabile ai miei occhi, è come i dirigenti nazionali del Pd non si rendano conto del prezzo elettorale che, specie nel Centro-Nord, questa cecità costerà al partito. Eppure a livello locale le cose appaiono molto più chiare, anche agli amministratori e ai militanti del Pd.

Chi non vive nei palazzi romani vede con i propri occhi che, anche nella base del partito, sono ormai tantissimi quelli che, magari a malincuore, stanno passando dalla parte di Salvini. Il perché me l’ha spiegato molto bene un taxista di una città dell’Emilia Romagna, ex zona rossa che sta diventando leghista. A me che gli chiedevo come sarebbero andati i prossimi appuntamenti elettorali sapete cosa ha risposto? «Caro professore, li vede quei due enormi palazzoni laggiù? Bene, sono completamente controllati dalla mafia nigeriana, e nessun italiano osa circolare in quella zona. E lei pensa che, in questa situazione, gli elettori del Pd abbiano ancora voglia di votare il partito? È quando vede questo genere di cose, che la gente capisce Salvini».

Per parte mia, di quanto il Pd sia incapace di intendere il problema migratorio e la sua decisiva importanza per la sopravvivenza del partito, mi sono reso conto definitivamente poche settimane fa, quando l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti ha avanzato la propria candidatura a segretario del partito, e nel giro di pochi giorni è stato indotto a ritirarla, gelato dallo scetticismo dei suoi compagni. Quello, ai miei occhi, è stato un segnale inequivocabile. Minniti è l’unico politico di sinistra che avrebbe potuto parlare credibilmente di contrasto all’immigrazione irregolare, e tentare di riacciuffare gli elettori del Centro-Nord in transito verso la Lega: aver mancato questa occasione, è il segno più inequivocabile che il Pd resta prigioniero del suo passato e dei suoi miti. Se non è riuscito Minniti a smuoverlo, non ci riuscirà nessuno.

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Luca Ricolfi