Massimo D'Alema
ANSA/ANGELO CARCONI
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Pd: la nuova guerra in casa

Dopo il duro attacco di D'Alema a Renzi e al suo Pd, il presidente Orfini replica, si mostra renziano e lo rinnega

Pare che negli ultimi tempi Massimo D'Alema abbia preso a salutare i giovani turchi - cresciuti dall'ex premier a pane, politica e fede giallorossa prima che diventassero tutti neo renziani e simpatizzanti viola - limitandosi a una fredda stretta di mano. Pare anche che da oggi, loro che ci rimanevano già piuttosto male, dovranno scordarsi pure quella. Non era infatti ancora apparso su Left Wing il post “Usciamo (insieme) dall'Acquario” con cui Matteo Orfini ha demolito D'Alema e l'intera famiglia politica, quella degli ex Pci ed ex Ds, da cui egli stesso proviene.

Un parricidio politico per garantirsi di sopravvivere a un ex leader che evidentemente il presidente dem cosidera ormai finito. Un duro, durissimo attacco alla passata gestione del partito (“se è Renzi e non la sinistra Pd ad avere i voti dei ceti popolari è perché l'esperienza del centrosinistra al governo è stata un fallimento"), per colpire, pur senza citarlo mai, lui, Massimo D'Alema di cui Orfini è stato portavoce, collaboratore, responsabile delle relazioni istituzionali nella sua fondazione Italianieuropei e dal quale ha imparato tutto. Anche che in politica la fedeltà è un lusso che non ci si può permettere.

L'attacco di D'Alema

Ma torniamo all'Acquario. Quello dove sabato, a Roma, si sono riunite le varie minoranze del Pd con l'obbiettivo di “vincere il prossimo congresso” e da cui Orfini, diventato nel frattempo anche commissario del partito romano travolto dallo scandalo di Mafia capitale, ha esortato a uscire fuori. “Una riunione importante” (per quanto critica) che qualcuno – ha scritto Orfini – ha cercato di trasformare in una “lotta nel fango”. Qualcuno chi? Già, troppo facile. D'Alema ha accusato Matteo Renzi di conduzione “arrogante” del Pd e invitato gli oppositori interni del presidente del Consiglio a “dare colpi che lasciano il segno”.

Le critiche della minoranza

Un'intemerata che non solo ha fornito al presidente del partito l'occasione per dichiararsi pubblicamente a Renzi, ma che ha anche avuto l'effetto di mettere in imbarazzo diversi esponenti della minoranza, come Stefano Fassina (ci sono stati interventi “che hanno complicato la giornata e non aiutato”), il ministro Maurizio Martina (meglio lasciar perdere “i rancori e i coordinamenti contro qualcuno”), una dalemiana di lungo corso come Livia Turco (“Massimo, non esporti in prima persona, rischi di far la figura del rancoroso”).

La replica di Renzi

Renzi stesso, che nell'arte di massacrare l'avversario a colpi di battute al vetriolo ha ormai superato il maestro assoluto, prima ha detto che D'Alema ha parlato più come "una vecchia gloria del wrestling che come un ex primo ministro", ma poi, sapendo che nulla ha il potere di fiaccare  l'ex premier di più che gli insuccessi della sua squadra del cuore, ha attribuito il suo malumore alla sconfitta della Roma di giovedì sera contro la Fiorentina in Europa league.

Le ragioni del "tradimento" di Orfini

D'altra parte anche Orfini ha le sue ragioni. Politiche e personali. Renzi ha vinto le primarie diventando legittimamente il segretario del partito e chi oggi lo contesta ha perso per non essere riuscito a mettersi in sintonia con quel mondo che pretendeva di rappresentare. Meno legittimamente Renzi è diventato anche presidente del Consiglio, ma con il 40% delle Europee il suo Pd, quello “meno di sinistra”, ha ottenuto alle urne un'affermazione mai sfiorata prima. Le riforme messe in campo dal governo, giuste o sbagliate che si siano (e Orfini pensa che siano giuste), hanno affrancato la sinistra, o meglio il centro-sinistra, da alcuni totem (Orfini cita l'articolo 18) che per un'enorme fetta di persone (i senza lavoro, i non garantiti, gli atipici) conservano solo un valore simbolico e nessuna utilità.

La sinistra Pd punta a rioccupare la Ditta ma senza avere né un leader né un'idea comune sul da farsi visto che anche sulla manifestazione della Cgil di sabato prossimo si è spaccata tra chi andrà (Fassina, Bindi) e chi no (Area riformista). Un'iniziativa nata per riunire le diverse anime dell'opposizione è diventata palcoscenico per vecchi rancori e strumento per dare sfogo all'ansia di protagonismo di leader sconfitti che hanno condotto il partito con altrettanta arroganza di Renzi ma con consenso molto inferiore.

C'è poi che l'ambizione personale di Orfini a restare in sella il più a lungo possibile incrocia un semplice verità, ossia che D'Alema-Cuperlo-Bersani non hanno alcuna chance di successo contro un leader più giovane di 20 anni, e che ha già dato numerose prove di spregiudicatezza, che si candida a governare l'Italia almeno fino 2023. Si chiamano ragioni della mente, quelle che il cuore non sempre può comprendere.

ANSA/ANGELO CARCONI
Massimo D'Alema durante la convention della minoranza del Partito Democratico, "A sinistra nel Pd, per la democrazia e il lavoro: l'Italia puÚ farcela". Roma, 21 marzo 2015

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