Tutti i paradossi della battaglia UE contro la pesca a strascico
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Tutti i paradossi della battaglia UE contro la pesca a strascico

Per tutelare l’ambiente Bruxelles mette in pericolo l’Italia sottraendo posti di lavoro, indotto e occupazione

L’ennesima battaglia green dell’Europa rischia di mettere in ginocchio uno dei settori più importanti dell’economia ittica italiana, quello della pesca a strascico. Si tratta della tecnica che utilizza per la cattura grandi reti appoggiate sul fondo del mare; tecnica alla quale l’UE ha giurato battaglia. L'esecutivo europeo ha infatti inserito nelle linee guida sulla tutela dei mari una misura per ridurre questa tipologia di pesca, prevedendo una sua progressiva eliminazione entro il 2030.

Perché la pesca a fondo fa male all’ambiente

La pesca a fondo mobile viene reputata una tecnica molto invasiva che, secondo studi effettuati da organizzazioni che tutelano l’ambiente, mette a rischio l’ecosistema marino uccidendo specie tutelate come le tartarughe di mare, le razze e gli squali che finiscono incagliati nelle reti dei pescatori. Negli ultimi 50 anni, secondo le organizzazioni ambientaliste, la popolazione di squali e razze ha subito una diminuzione dei 71% proprio a causa della pesca invasiva

Se da una parte, però, ci sono le ragioni dell’ambiente dall’altra ci sono quelle dell’economia.

A rischio 3000 pescherecci italiani

Se la norma venisse approvata in maniera definitiva il pacchetto lascerebbe a terra almeno 3000 pescherecci italiani. Il 75% della pesca del Mediterraneo, infatti, viene effettuata con questa tecnica per un giro d’affari che vale milioni di euro. In regioni chiave come Liguria, Toscana o Sicilia lo strascico fa ruotare l’intero comparto. In Toscana questa tecnica di cattura vale 30 milioni di euro, in Liguria 12 milioni e in Sicilia la straordinaria cifra di 134 milioni di euro per 15 tonnellate di resa.Numeri da capogiro che in Italia, come in altre zone d’Europa vengono messi a repentaglio in nome della pesca green.

La protesta dei pescherecci

In segno di protesta da giorni nei porti principali dell’Unione risuonano le sirene SOS dei pescherecci che chiedono all’UE maglie più morbide e alternative altrettanto redditizie per non affondare uno dei mercati più importanti del vecchio continente. L’SOS audio delle sireneè stato fatto sentire a Bruxelles attraverso i canali social con l'hashtag #SOS_Eu_Fishing. L'iniziativa è stata promossa dall'Alleanza della pesca a strascico e ha coinvolto i 7mila pescherecci europei di un comparto che produce il 25% della produzione ittica dell'Ue. Il settore si oppone alle nuove linee che prevedono per la pesca a strascico un taglio fino al 30 per cento delle aree di pesca attuali tra il 2024 e il 2027, fino alla sua scomparsa entro il 2030. Secondo Coldiretti Impresapesca, quella a strascico rappresenta la tipologia più produttiva della marineria italiana.

Eppure l’Europa sembra decisa a preseguire questa ennesima crociata green. Lo scorso febbraio la Commissione europea ha presentato il pacchetto noto come Marine Action Plan sulla pesca sostenibile, con varie misure che indicano la strada che Bruxelles intende perseguire per salvaguardare gli stock ittici e più in generale la salute dei mari e degli oceani. A margine del Consiglio agricoltura e pesca di marzo, il ministro dell'Agricoltura e della Pesca Francesco Lollobrigida aveva dichiarato che la proposta dell'esecutivo Ue "ci preoccupa particolarmente, ci preoccupa il modello", sottolineando come l'inquietudine venisse condivisa con "quasi tutte le nazioni europee" dove si mettono a rischio consumi, lavoro, occupazione e indotto.

Oltre al danno la beffa

In base a recenti verifiche della Commissione europea risulta che circa il 30% degli stock ittici nell’Atlantico e ben il 75% di quelli nel Mediterraneo sono ancora soggetti a pesca eccessiva secondo gli standard europei.

Se il pacchetto dovesse essere approvato senza modifiche si produrrebbe un paradosso che - al danno - unirebbe la beffa. I parametri di divieto della pesca di fondo, infatti sono validi solo in Europa e il blocco spalancherebbe le porte ad un importazione extra-europea meno sostenibile perché non soggetta agli stessi standard di produzione. Le associazioni di settore ricordano infatti che sul 68% del territorio europeo già oggi la pesca da fondo è vietata, cosa che non accade in altre zone del mondo. E così finiremmo per mangiare pesce extra europeo di dubbia importazione, molto più costoso e meno tracciabile del nostro buon pesce del vecchio continente.

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Barbara Massaro