Del Turco: "Ecco chi è (davvero) Epifani"
ANSA /FILIPPO MONTEFORTE
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Del Turco: "Ecco chi è (davvero) Epifani"

Ottaviano Del Turco, una vita alla Cgil, ci racconta vizi e virtù del segretario "traghettatore" del Pd

Ottaviano Del Turco, potente e autorevole segretario generale aggiunto della Cgil di Luciano Lama (dal 1970 al 1986) era il suo leader, in quanto capo della «componente socialista». Il più giovane Guglielmo Epifani era il  suo «sottoposto».  Del Turco, pur nel rispetto dell’autonomia sindacale, cosa a lui sempre molto cara, aveva il filo diretto con Bettino Craxi.

Epifani condivideva la linea dei suoi due «capi», come accadde sul decreto della scala mobile, che raffreddò l’inflazione, ma  spaccò la Cgil. E diventò agli occhi della sinistra conservatrice del Pci il peccato originale di Craxi.  Ora l’ex «sottoposto» è diventato segretario del Pd e il suo ex leader Del Turco, ex di molte cose (è stato ministro delle Finanze, parlamentare, ultimo segretario del Psi, infine presidente della Regione Abruzzo) è fuori dalla politica. È ancora in corso il processo sull’inchiesta della sanità abruzzese.

Ed è  ancora vivo il ricordo di quelle foto taroccate, che contribuirono alla sua mostrificazione. Ex componente della direzione del Pd, non sta più in quel partito. Ma premette: «Non ho rancori, né pregiudizi. Ora spero che Gugliemo faccia una battaglia per il garantismo perché ne va della democrazia del nostro Paese e della stessa sorte del Pd che altrimenti rischia di scomparire come Antonio Di Pietro. Quanto alla mia vicenda, dal Pd ho ricevuto un trattamento da santa Inquisizione. Ma non da Epifani. Perché semplicemente non l’ho sentito più».

E però alcune stoccate in punta di fioretto da sindacalista a sindacalista le lancia: «Epifani ha diretto la Cgil.  Lui non ha preso decisioni importanti né in un senso né nell’altro. A differenza mia che ero intransigente, lui cercava in ogni caso la mediazione. L’anima riformista in quel sindacato non c’è più».

Del Turco, lei Epifani lo conosce bene. Che rapporto avevate?

«Come dice Giuliano Cazzola (altro sindacalista socialista di Corso D’Italia ndr) noi eravamo fratelli. Eravano impegnati a far vivere dentro la Cgil la tradizione riformista dei socialisti, quella di Bruno Buozzi, di Fernando Santi, di Agostino Marianetti. Questi erano i nostri punti di riferimento culturali e politici».

Epifani che ruolo ricopriva quando lei era il numero due?

«Veniva dal sindacato dei poligrafici. Lui si occupava di informazione nel senso lato del termine. Si occupava non solo del prodotto finale, ma anche degli stampatori, dei tipografi, dei lavoratori che producevano letteralmente i giornali e le riviste».

Rispetto a lei era un «ragazzo» nel senso gerarchico…

«Lui era più giovane di me e avevamo un buon rapporto. Noi abbiamo fatto insieme tante battaglie dentro la Cgil, la più importante delle quali è e rimarrà sempre quella sulla scala mobile».

Epifani condivise il decreto di Craxi?

«Sostenne il decreto e facemmo insieme la battaglia sul referendum (una sonora sconfitta per il Pci ndr)».

Che rapporto avevate con il vostro leader di partito?

«Entrambi avevamo un buon rapporto con Bettino, meno buono con le deformazioni della vita dei partiti, non solo del Psi».

Denunciate dallo stesso Craxi…

«Sì, ma noi lo facemmo evitando di trasformare Craxi in quello che poi è diventato: la vittima sacrificale di quel sistema. Quando Craxi veniva alle nostre riunioni i rapporti con lui erano distesi  per  tutti».

Epifani era ossequioso?

«No, questo non vale nemmeno per me..».

Lei per rango e per carattere certamente no, ma il suo «sottoposto»?

«Epifani fu leale, nolto leale con Craxi»

E allora come si spiega che ora (lo ha scritto Fabrizio Rondolino «Il Giornale») Epifani sia diventato l’unico socialista a essere diventato ex comunista? Il nuovo segretario del Pd è stato anche accusato di aver rinnegato Craxi…

«Io non credo che sia come scrive Rondolino. E poi il fenomeno del rinnegare appartiene alle religioni. Invece, Craxi impose un severo primato della politica che non prevedeva rinnegamenti».

Ma Epifani come segretario della Cgil è poi diventato il signor «no» a tutto. Come si spiega questo ripiegamento su posizioni conservatrici?

«Lui ha diretto la Cgil, ma non ha preso decisioni importanti né in un senso né nell’altro».

Sta dicendo che non è stato un vero leader?

«La sua autorevolezza come leader della Cgil è cresciuta con questo sistema…».

E cioè?

«A differenza mia che su alcune questioni ero intransigente lui cercava in ogni caso la mediazione, in questo senso si è guadagnato anche una cosa che io non ho mai potuto fare: il segretario generale della Cgil».

Perché?

«Per fare il segretario bisognava rappresentare la maggioranza. Io, invece, rappresentavo una minoranza sia pure molto combattiva e importante, come quella riformista».

Il decreto sulla scala mobile fu un grande esempio di innovazione. E poi?

«Fu l’ultimo, perché dopo con la scomparsa di  Lama («migliorista» del Pci ndr) dalla Cgil, si indebolì la caratura riformista e ci fu tutta una fase in cui il compromesso avveniva dentro la componente comunista. Finché fu Bruno Trentin il titolare di questa operazione il compromesso era a un livello accettabile per i socialisti. Ma quando lasciò Trentin e arrivò Sergio Cofferati e dopo di lui Epifani il compromesso voleva dire un compromesso dove sparivano le tradizioni della cultura riformista».

Epifani è stato subalterno a Cofferati, il signor «no» per eccellenza?

«No, io penso che la sua attività è stata di evitare che quella che lei chiama subalternità diventasse un appannamento del suo ruolo. Epifani ha trasformato la sua capacità di cercare compromessi a ogni livello possibile in un metodo di direzione della Cgil».

Insomma si appannò il riformismo?

«È scomparso».

Da qui i signor «no»?

«Epifani qualche volta ha pensato di dire di sì, ma poi lo hanno costretto a tornare indietro».

Ma non sono quelle le prove in cui in politica si dimostra di essere leader?

«Anni dopo io non voglio fare le pulci alla direzione di Epifani. Io dico che quel modo di dirigere il sindacato ha prodotto per Epifani il risultato di poter dire di rappresentare la maggioranza della Cgil che si rifaceva alla maggioranza del Pd».

Questa parabola che lo ha portato ora alla guida, balneare o meno vedremo, del Pd come la giudica? E come giudica le posizioni antiberlusconiane e tentate dal giustizialismo dell’ex segretario Cgil?

«Mi pare difficile vivere nel Pd e non respirare questa aria antiberlusconiana. Lui è quello che sa fare: la misura. È un antiberlusconiano con misura. Ma Guglielmo o riesce a imporre una svolta nel Pd garantista oppure la sorte di quel partito è la sorte di Di Pietro».

La scomparsa?

«Sì, nel senso che è una strada senza uscita quella del giustizialismo. E sarebbero dolori per il Paese. Ci va di mezzo la democrazia, perché quando trionfa il giustizialismo è la democrazia che muore».

A che punto è il  suo processo?

«Su “Il Corriere della sera” sono stato messo da Sergio Rizzo, che si occupa di caste cattive, in una casta buona. Ha scritto che Del Turco è stato strapazzato dalla Procura e poi scagionato e poi era troppo tardi. Ecco ma io non sono ancora stato scagionato. La mia vicenda si concluderà prima delle ferie si dice, ma anche adesso è in corso un’udienza.  Non c’è una sola prova di quella montagna che sembrava dovesse schiacciare me e tutti gli altri imputati. Non c’è nessuna prova che ha retto e che sta reggendo al confronto processuale».

È in atto anche un altro di processo quello nei confronti di Silvio Berlusconi. Che opinione ha?

«Sono vent’anni che processano Berlusconi».

Non c’è il rischio che l’accanimento nei confronti dell’ex premier abbia contraccolpi sul governo di larghe intese?

«Il mio punto di riferimento in queste ore, mesi e in questi anni è ed  è stato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Lui ha trovato la misura giusta, come dimostra il suo approdo riformista dentro il Pci e le varie sigle che si sono succedute, per far vivere  una grande capacità di mediazione ma tenendo contemporaneamente la barra molto solida nella direzione riformista e garantista. Questa è la strada. Però è chiaro che Napolitano non ha vinto questa battaglia. Ne ha vinte altre. Ma nel momento delicato della vita di questo Paese lui è diventato la soluzione, non un un problema».

Lo ha più sentito Epifani?

«No. Non ci siamo più sentiti. Lui si è adattato alla regola dei dirigenti del Pd: dove interviene la Procura, noi usciamo e aspettiamo che la giustizia faccia il suo corso. L’unica cosa che gli riconosco è che a differenza di altri altissimi dirigenti del Pd almeno lui non mi ha detto una frase che mi avrebbe profondamente ferito. E cioè: sono sicuro che tu riuscirai a dimostrare la tua innocenza. Frase che mi sono sentito dire e che ho ricevuto per iscritto. Ecco questa era la cultura giuridica di Torquemada, della Santa Inquisizione».

Sarà solo un segretario balnerare?

«Conosco abbastanza Epifani per dire che non contiene una bugia ma un’ammissione la frase nella quale dice che tra tre mesi lascia. Significa che al contrario lui spera che tra tre mesi gli chiedano una proroga, un po’ come a Napolitano».

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Paola Sacchi

Sono giornalista politico parlamentare di Panorama. Ho lavorato fino al 2000 al quotidiano «L'Unità», con la mansione di inviato speciale di politica parlamentare. Ho intervistato per le due testate i principali leader politici del centrodestra e del centrosinistra. Sono autrice dell'unica intervista finora concessa da Silvio Berlusconi a «l'Unità» e per «Panorama» di una delle prime esclusive a Umberto Bossi dopo la malattia. Tra gli statisti esteri: interviste all'ex presidente della Repubblica del Portogallo: Mario Soares e all'afghano Hamid Karzai. Panorama.it ha pubblicato un mio lungo colloquio dal titolo «Hammamet, l'ultima intervista a Craxi», sul tema della mancata unità tra Psi e Pci.

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