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(Ansa)
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L'orso «assassino», tra leggi della natura e quelle dell'uomo

Identificato, intanto, l’esemplare autore dell’aggressione: si tratterebbe di JJ4, una femmina identificata delle analisi biologiche e che aveva già colpito due anni fa. Non venne abbattuta per un ricorso al Tar

Introduzione forzata, fiuto infallibile, trappole olfattive, eco-turismo, aumento spropositato, senso di pericolo. Ecco tutte le possibili tracce che gli esperti dovranno seguire per cercare di dare una spiegazione all’uccisione del 26enne runner Andrea Papi, assalito ed ucciso lungo un sentiero della Val di Sole, nel comune di Caldes, in Trentino.

Gli esiti degli esami eseguiti presso i laboratori di analisi della “Fondazione Mach” di San Michele all’Adige hanno permesso di identificare l’orso bruno autore dell’aggressione mortale: si tratterebbe di una femmina, denominata JJ4 e identificata grazie al campione di tessuto cutaneo -pelo, praticamente- lasciato sul corpo della giovane vittima. Da quanto si apprende l’esemplare incriminato sarebbe dotato di radiocollare purtroppo scarico, circostanza che potrebbe allungare i tempi della sua cattura. Nell’area della provincia trentina vivono tra i 100 e i 110 orsi, l’85% dei quali schedato, mentre nella sola area dell’aggressione sarebbero non meno di 20 gli esemplari in circolazione e proprio l’esemplare identificato era già stato segnalato come pericoloso e indicato per l’abbattimento, operazione bloccata dopo una sospensiva emessa dal Tar.

Proprio la possibile coda giudiziaria potrà, intanto, inasprire la vicenda della problematica convivenza tra gli abitanti delle valli trentine e la comunità di orsi (si tratta del classico orso bruno, c.d. ursus arctos): il presidente della Provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, ha già annunciato l’abbattimento dell’orso incriminato e di altri tre esemplari che gli esperti avevano già definito “problematici”. In realtà l’intenzione sarebbe di dimezzare la popolazione degli orsi, innescando, evidentemente, anche una battaglia legale con le diverse associazioni animaliste già sul piede di guerra.

Panorama.it ha dialogato con Franco Tassi, storico ambientalista, per capire se l’attacco e l’uccisione del giovane runner possa aprire una nuova fase della difficile convivenza tra uomini e orsi all’interno delle montagne del Trentino.

Professore Tassi, la morte del ventiseienne ha colpito l’opinione pubblica.

«Si tratta di un episodio tragico che merita tutta l’attenzione della comunità scientifica italiana. Occorre fare chiarezza: l’orso bruno, quello che vive nel territorio italiano, è già da anni al centro dei nostri studi e ricordo bene come proprio dal Trentino, all’epoca della mia mia presidenza del Parco nazionale d’Abruzzo (dal 1968 al 2002, nda), inviarono una delegazione di esperti per studiare le strategie affinchè anche in quella regione si potessero ospitare esemplari dell’orso marsicano».

Ai suoi tempi l’Abruzzo era all’avanguardia nella gestione della comunità di questo plantigrado.

«Si trattava dell’animale simbolo del territorio sin dai tempi dei Sanniti. Ebbene, quello scambio di visite -occasione ritornatami alla mente in questi ultimi giorni- si concluse con un convegno a Trento nel corso del quale diedi tutta una serie di consigli di natura biologica e antropologica che all’epoca vennero disattesi».

Ci perdoni, professore: in che senso disattesi?

«Ricordo ancora il mio profondo scetticismo sulla possibilità di introdurre l’orso tra le montagne del Trentino, come se si trattasse di trapiantare un qualunque albero: affermai che l’orso avrebbe sofferto questa “introduzione forzata”. Avevo suggerito, invece, che l’animale potesse arrivare seguendo il suo naturale istinto, esattamente come stavano facendo da qualche anno i primi esemplari dalla Slovenia e dall’Austria, seguendo gli antichi sentieri alpini. Suggerii, in pratica, di limitarsi ad incentivare questa naturale migrazione “alpina” con i classici “attrattori alimentari”, per di più presenti in natura».

Di cosa si tratta?

«L’orso, come sappiamo, è dotato di un fiuto potentissimo, in grado di percepire la presenza del cibo già a diversi chilometri di distanza: addirittura tra cospecifici comunicano proprio attraverso gli odori. Avevo suggerito, sempre a quella delegazione del Trentino, di creare dei corridoi ecologici utilizzando le mele locali a condizione che fossero senza pesticidi. In questo modo, utilizzando il naturale odore di quintali di mele, gli orsi ne avrebbero seguito la traccia olfattiva e naturalmente avrebbero fatto ingresso nelle zone loro destinate».

In pratica, l’orso si sarebbe scelto l’area da occupare…

«Esattamente, in maniera del tutto naturale, senza importazioni contro natura, senza trasferimenti artificiali. Purtroppo i miei consigli scientifici non vennero ascoltati, e nel 1999, il Parco Adamello Brenta, la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica, grazie ad un finanziamento dell’Unione Europea, diedero il via al progetto Life Ursus: si trattava di salvare l’ultimo branco di orsi sopravvissuti tra le Alpi Centrali grazie alle immissioni di esemplari importati dalla Slovenia».

Franco Tassi era contrario a tale operazione, pare di capire!

«Dalla mia avevo il conforto della scienza: libri, articoli scientifici ed esperienza specifica in Abruzzo con quello stesso animale, mi permettevano di suggerire altre strade, anche attraverso una preparazione ecologica e socio-culturale. Senza dimenticare che la Slovenia si fece pagare bene gli esemplari di orsi da spedire in Trentino…».

Ci perdoni, ma in Trentino gli orsi non erano già parte del patrimonio faunistico?

«E’ la circostanza assurda di quel progetto! La regione poteva già contare sul suo nucleo indigeno di orsi che, purtroppo, nel tempo vennero letteralmente sterminati, fino all’ultimo esemplare. Poi le autorità si accorsero che si trattava di una forte attrattiva eco-turistica: pensate che sempre durante quel convegno in Tentino cui fui invitato, venne anche quantificato in 1 milione di euro il valore pubblicitario della presenza dell’orso come attrattore turistico. Capite bene, allora, il contesto in cui la reintroduzione dell’animale veniva a muoversi».

E fu così che si decise di riportarlo tra le montagne del Trentino…

«Gli esemplari vennero acquistati dalla Slovenia: il trasferimento fu perfetto dal punto di vista organizzativo, con furgoni attrezzati per il monitoraggio dei parametri vitali. Ma si commise l’errore di non considerare che l’orso avrebbe occupato un territorio già fortemente antropizzato, nel quale la gente è abituata a praticare, ad esempio, sport, durante tutte le stagioni. Ecco il conflitto naturale tra gli orsi e chi prima di loro, abitava le valli della provincia di Trento».

A proposito di conflitto: ricordiamo cosa accadde con gli allevatori…

«Occorreva preparare e attrezzare il territorio, evidentemente non ancora pronto per un massiccio arrivo di orsi: recinzioni, aree di pertinenza, foto-trappole, senza dimenticare l’utilizzo dei cani. In Abruzzo, i celebri pastori abruzzesi vengono addestrati da secoli a difendere le pecore dagli attacchi degli orsi; in Trentino, invece, tranne per iniziative personali, è mancato un sistema che separasse gli orsi dalle abitudini della popolazione. Senza dimenticare la mancanza di territorialità, cioè la destinazione in aree ben determinate, per evitare ogni forma di contatto».

A proposito di contatto tra orsi e uomini…

«E’ il punto che non mi stancherò mai di evidenziare: una parte della montagna va necessariamente lasciata alla natura, rendendola riserva integrale, precludendola cioè all’ingresso degli uomini per ogni tipo di attività, da quelle lavorative a quelle turistiche. In questo senso ritorna utile la vecchia percentuale del 20% del territorio di un parco da lasciare all’utilizzo esclusivo della fauna selvatica, in cui l’uomo non entra».

C’è un aspetto da chiarire: la quantità di informazioni sulla vicenda rischia di disorientare il pubblico a casa.

«Da giornalista scientifico faccio mio il rischio di una vera “infodemia” sul tragico accadimento trentino. Di sua natura l’orso evita l’uomo, in quanto associa il suo odore al pericolo, anche nei casi -definiti dai media- “problematici”, cioè di esemplari che si avvicinano pericolosamente ai nuclei urbani. Si tratta di una terminologia errata, in quanto non sono gli orsi ad essere tali o “confidenti” (come vengono anche definiti), quanto l’uomo ad esserlo, visto che proprio quest’ultimo ha allargato a dismisura, ad esempio per fini turistico-sportivi, la sua presenza laddove un tempo gli orsi erano signori incontrastati. Alla fine, si sentono minacciati a casa loro e reagiscono difendendosi».

Ci chiarisca anche questo aspetto…

«Nel 1990, nel saggio monografico “Orso vivrai!” indicai nel termine inglese spoiled quello più confacente alla condizione degli orsi che si avvicinavano all’uomo per ricercare cibo. Viziato, deviato, era la condizione dell’orso che a causa dell’errato comportamento umano, sempre pronto a nutrirlo e sfamarlo, aveva smarrito le sue naturali coordinate di animale selvatico».

Il termine “problematico” abbonda sui media.

«E’ un termine del tutto errato, carente di giustificazione scientifica. La corretta esperienza abruzzese ha dimostrato, nel tempo, che se non foraggiato, l’orso si mantiene naturalmente nel suo territorio, senza addentrarsi in quello frequentato dagli esseri umani».

Lei pone un problema di gestione degli orsi…

«Esattamente, e gli esempi cui ho assistito negli anni sono sintomatici. Anche in Abruzzo furono commessi degli errori, e ne racconto uno che potrebbe essere utile per comprendere l’atteggiamento. All’indomani del termine del mio incarico, gli orsi iniziarono a visitare villaggi e centri abitati, e ciò accadeva perché i ricercatori usavano, all’insaputa dell’ente parco nazionale, delle esche olfattive particolarmente attrattive per l’animale, collocate sulle barriere di filo spinato, allo scopo di strappare il pelo dall’animale e mapparne l’impronta genetica. In questo modo, l’orso, attratto dall’invitante odore, veniva praticamente viziato dall’uomo».

In Trentino l’orso è arrivato ad uccidere, però…

«Sarà molto difficile capire perché ciò sia accaduto. Direi che due potrebbero essere le spiegazioni scientifiche: innanzitutto gli esperti sanno bene che procedendo verso nord gli esemplari acquistano maggiore stazza fisica e, parallelamente, maggiore pericolosità: come per gli esemplari americani di grizzly, quelli russi ed, infine, per l’orso bianco, una macchina da guerra di una tonnellata di peso. Diventano maggiormente carnivori, quindi più aggressivi. Il nostro orso marsicano, per intenderci, è carnivoro solo per la dentatura, ma in realtà mangia di tutto».

E poi?

«L’altra spiegazione la individuerei nella maggiore abitudine che l’orso indigeno ha di accettare la presenza dell’uomo. In Abruzzo, infatti, l’orso convive con l’uomo da secoli, perché si tratta di esemplare indigeno e stanziale, mentre quello trentino, come detto, è stato introdotto nell’area solo da pochi anni, senza aver ancora avuto la possibilità di metabolizzare la presenza dell’uomo».

Due interpretazioni per dare conto di quanto accaduto tragicamente nel piccolo comune della Val di Sole…

«Aggiungerei, inoltre, la strana concentrazione di esemplari nella zona della morte dell’escursionista: se la cifra si rivelerà corretta, tenere concentrati una ventina di esemplari in una zona di ridotta estensione potrebbe rivelarsi pericoloso. Si tratta di una pericolosa densità di esemplari, perché gli orsi potrebbero essere stati attratti da una crescente quantità di cibo, tale da indurli a scegliere di spostarsi in massa verso questa zona. Sarebbe il caso di indagare in questo senso».

Attendiamo dei suggerimenti, intanto.

«Bisognerebbe accrescere nella popolazione la consapevolezza di convivere, in zone spesso isolate, con animali abituati a considerare il territorio come la propria casa, e non disposti a condividerla con gli esseri umani. Partendo dal presupposto che la popolazione locale sapesse della presenza di un numero così alto di esemplari, forse una maggiore prudenza negli spostamenti sarebbe, a questo punto, la precauzione migliore da seguire. Il rumore in genere e l’abbaiare dei cani rappresentano, per studi costanti, dei fattori di allarme per gli orsi che reagiscono per difendere il proprio habitat. Attaccano per difendersi…».

*

Franco Tassi, romano, classe 1938, biologo ed entomologo, è l’ambientalista italiano più noto al grande pubblico grazie alle sue storiche battaglie in difesa della natura, attualmente responsabile del Centro Parchi Internazionale. E’ stato per oltre un trentennio prima presidente e poi direttore soprintendente del Parco Nazionale d’Abruzzo, la più antica, importante e famosa area protetta d’Italia. Nella sua lunga carriera di manager-naturalista ha sviluppato un’eccezionale esperienza per conto di molti enti pubblici e ministeri, innovando una disciplina praticamente agli albori nel nostro Paese. Già docente di ecologia applicata alla facoltà di Veterinaria dell'Università di Napoli e di conservazione della natura all'Università di Camerino, è autore di 200 pubblicazioni scientifiche e 20 libri. Suo il contributo scientifico alla nascita del WWF Italia.

Panorama.it Egidio Lorito, 12/04/2023

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Egidio Lorito