Il New York Times contro Giovanni Paolo II: non è un santo
Giovanni Paolo II durante un viaggio negli Usa (Getty Imagines / Luke Frazza)
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Il New York Times contro Giovanni Paolo II: non è un santo

Un durissimo attacco contro la sua canonizzazione da parte del quotidiano liberal per eccellenza. L'accusa: ha coperto lo scandalo dei preti-pedofili

L'articolo appare nella pagina delle opinioni e dei commenti. Lo firma Maureen Dowd, columnist del New York Times dal 1995, vincitrice di un Premio Pulitzer quattro anni più tardi per i suoi pezzi sullo scandalo Clinton - Lewinsky. Un'autorevole editorialista del quotidiano più prestigioso del mondo. Quello che lei pensa è ciò che pensa il giornale.

Giovanni Paolo II non è un santo. Il titolo non poteva essere più diretto. Alla vigilia della cerimonia, il NYT spiega perché è contrario alla canonizzazione di Karol Wojtyla. Papa di grande fascino, ma - secondo la Dowd - con una macchia indelebile sulla sua biografia: non ha fatto nulla per mettere fine allo scandalo dei preti pedolifi che ha squassato la Chiesa Cattolica negli anni in cui la governava. Anzi. Lo ha coperto.

Si è girato dall'altra parte di fronte agli abusi dei sacerdoti

Questa, per molti americani, per molti cattolici americani, è un ferita ancora aperta, solo in parte curata dalle iniziative di risarcimento delle vittime di Benedetto XVI prima, e poi di Papa Francesco. Negli anni scorsi, sono state diverse le cause intentate contro i sacerdoti accusati di abusi e contro i vescovi chiamati in causa per non aver denunciato questi casi. E'uno scandalo che la stampa liberal ha ampiamente seguito, come ha fatto il New York Times. Così, non dovrebbe essere sorprendente che il quotidiano newyorchese lo "richiami" in pagina a poche ore dalla santificazione di Giovanni Paolo II.

Il tono usato da Maureen Dowd non concede nulla alla diplomazia ed è anzi carico di una fortissima verve polemica. L'editorialista prima attacca Benedetto XVI ("Conosciuto come il Rasputin di Giovanni Paolo II") per aver bypassato il tradizionale periodo di cinque anni prima di iniziare il processo di canonizzazione e poi si concentra sull'opera di Karol Wojtyla durante il suo papato. "Giovanni Paolo aveva molto carisma e, sotto molti aspetti, era un grande uomo, ma dal momento che ha guidato la Chiesa Cattolica per quasi tre decenni mentre era in corso un vasto scandalo di pedofilia e una mostrousa operazione per coprirlo, non può essere considerato un santo."

Qualche volta i leader possono raggiungere obiettivi eccezionali, ma poi fanno spettacolari errori che oscurano tutto quello che di bene hanno fatto, scrive ancora la Dowd. Lyndon Johnson avrebbe potuto essere ricordato per la sua battaglia sui diritti civili, ma lo sarà soprattutto per la guerra in Vietnam.

Per l'editorialista del New York Times, l'Errore di Karol Wojtyla è stato quello di non colpire i preti accusati di abusi sessuali. "Uno degli atti più vergognosi è stato quello di dare rifugio al Cardinale Bernard Francis Law, che rassegnò le sue dimissioni da arcivescovo di Boston nel 2002 dopo essere rimasto coinvolto nello scandalo. Un'altra terribile scelta fu la sua ostinata difesa del fondatore dei Legionari di Cristo, il sacerdote messicano Marcial Maciel Degollado, un pedofilo, donnaiolo, malversatore e drogato."

L'attacco al Papa "Conservatore"

Ma, Maureen Dowd non finisce qui. L'accusa contro Wojtyla è quella di ipocrisia: "Stupisce che Giovanni Paolo II abbia detto ad altre società, comunismo e capitalismo, di pentirsi dei loro misfatti. La tragedia è che lui non ha mai corretto i mali della sua società, quella che lui governava in modo assoluto (...) La sua, può essere considerata una figura rivoluzionaria nella storia della Chiesa, ma un uomo che ha guardato dall'altra parte mentre era in corso una vera e propria crisi morale non può essere santificato."

L'articolo dell'opinionista, infine, si concentra sui motivi della doppia canonizzazione e cita l'opinione di un esperto, Kenneth Briggs: "E'un atto di bilanciamento politico. Giovanni XXIII aprì la chiesa al mondo e Giovanni Paolo II iniziò a rinchiuderla, mettendo delle barriere, rendendola una comunità più ristretta". 

Un papa non amato dai liberal

Il New York Times non ha mai amato Papa Wojtyla. L'ha seguito, ascoltato, analizzato, raccontato, ma non ha mai espresso amore per lui, per quel Papa Superstar, che tante masse riusciva a mobilitare anche nei suoi viaggi americani. Ha sempre riconosciuto l'importanza della sua figura nella storia della Chiesa e del mondo nei 27 anni del suo pontificato, ha apprezzato alcune della sue cause (i richiami contro un certo capitalismo), ma l'ha sempre vissuto come un papa sostanzialmente tradizionalista per le sue battaglie su aborto, eutanasia, omosessualità, ricerca sulle staminali e aids.

Temi attorno ai quali si è cementato il fronte conservatore religioso americano (protestante e cattolico) che ha dettato l'agenda sociale e politica negli Usa negli anni di Bush, prima della svolta culturale e politica culminata con l'elezione di Barack Obama e la successiva sentenza della Corte Suprema sui matrimoni gay.

Per questo il New York Times, nel corso degli anni, ha spesso attaccato Wojtyla, come farà poi con il successore Papa Ratzinger, altro pontefice non certo amato dal quotidiano liberal per eccellenza. Con Francesco, l'approccio sembra ben diverso. Bergoglio piace perché ha messo in secondo piano le questioni della morale e al centro quelle economiche e sociali.  Perché appare un alleato nelle battaglie sulle diseguaglianze tra ricchi e poveri  sull'immigrazione e non un avversario su temi così centrali ora per gli americani come l'omosessualità.

In più, Francesco ha fatto importanti passi sullo scandalo della pedofilia, come istituire la commissione speciale composta da cinque laici, tra cui l'irlandese Marie Collins, vittima di un sacerdote all'età di tredici. Iniziativa molto apprezzata da una buona parte dell'opinione pubblica statunitense e dai liberal americani. Che non riescono a perdonare a Wojtyla, attraverso l'attacco sullo scandalo degli abusi sessuali, di essere stato - su questi temi - un conservatore.

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Michele Zurleni

Giornalista, ha una bandiera Usa sulla scrivania. Simbolo di chi vuole guardare avanti, come fa Obama. Come hanno fatto molti suoi predecessori

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