'Ndrangheta, ecco come si scovano i bunker dei boss
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'Ndrangheta, ecco come si scovano i bunker dei boss

Li costruiscono sotto le stalle, dietro ai camini, nei frutteti: le foto e le tecniche investigative dei Carabinieri addestrati per trovare i latitanti

Nella cella frigorifera

Li hanno scovati all'interno di un bunker ricavato sotto la cella frigorifera di un albergo-ristorante grazie ad un finto controllo dei Nas. I militari erano sulle loro tracce da oltre due anni, ma ogni volta che si avvicinava il blitz riuscivano a scappare. Questa volta, però, non sono riusciti a farla franca. Ed è così che i boss latitanti Franco Aloi e Nicola Tedesco sono stati arrestati insieme ai genitori di quest’ultimo, Aldo e Lina Rossomanno, accusati di favoreggiamento.

Quando i militari hanno avuto il sentore che i boss potessero nascondersi nell'albergo-ristorante Molo 13 di Guardavalle, sono ricorsi a uno stratagemma: chiamare i colleghi del Nas e del Nil, il Nucleo ispettorato del lavoro, per un controllo di routine.

Ma il crescente nervosismo dei titolari dell'albergo conferma i sospetti, e i militari fanno intervenire gli uomini dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria. Sono loro gli uomini che hanno sviluppato, in quasi 30 anni di esperienza, il "fiuto” per scovare  latitanti. Listanano ovunque: dentro a bunker in mezzo alle montagne dell’Aspromonte, nella aree impervie della Locride ma anche nelle boschi o negli immensi frutteti dei territori pianeggianti della fascia tirrenica. Oppure nascosti in pertugi ricavati intercapedini invisibili all’interno di ville o appartamenti.

Sono i Cacciatori di Calabria che riescono, silenziosamente, ad individuare i nascondigli più assurdi dove questi boss tentano di sfuggire alla giustizia. L’ultimo nascondiglio, quello di Tedesco e Aloi era dietro una botola, ricavata in un angolo nascosto del pavimento che una volta aperta ha dato accesso al rifugio sotterraneo in cui si nascondevano i due boss.

Nascondigli impensabili

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Il capitano Angelo Zizzi è ilcomandante dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria.

Comandante, dove si nascondono i boss calabresi?

Si nascondono ovunque, in luoghi veramente strani ed assurdi, dove anche la fantasia più sfenata della gente comune, avrebbe difficoltà ad immaginare. Li abbiamo scovati in buche scavate in mezzo alle montagne dell’Aspromonte nascosti da una foltissima vegetazione; in bunker ricavati sotto le stalle degli animali con l’ingresso scavato nella mangiatoia di maiali e mucche; dietro a frigoriferi da incasso, forni, caminetti, false cantine o in container interrati a due o tre metri di profondità in mezzo a campi coltivati, montagne o frutteti. In luoghi o covi davvero inaccessibili alle persone normali" 

Le tipologie di rifugio

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Quante tipologie di bunker possono esistere?
Moltissime, ma per comodità abbiamo scelto di dividerli in due grandi sezioni: i nascondigli della Locride e quelli della fascia tirrenica. È una suddivisione che non sta ad indicare ovviamente il grado di difficoltà nell’individuazione del bunker ma solamente la realizzazione “logistica” del covo. I boss si sono ovviamente adeguati nella realizzazione dei loro rifugi in base alla morfologia delle zone in cui risiedono. È così che nella Locride, per il territorio impervio, tendono a realizzare i bunker all’interno delle proprie abitazioni o in aree strettamente adiacenti; i boss della fascia Tirrenica, invece, in aperta campagna. Naturalmente ci sono sempre delle eccezioni.

Le tecniche investigative

Nad Fra

Comandante, come si scovano i boss?

Non è un lavoro facile. L’individuazione del bunker, paradossalmente, diventa l’aspetto più semplice. Noi Cacciatori infatti, negli anni, abbiamo dovuto imparare a ragionare come loro per poterli scovare nei loro territori e in mezzo alla loro gente. La vera difficoltà è proprio la gente che li circonda, i fiancheggiatori che spesso sono gli stessi familiari e affiliati alle ‘ndrine. In alcuni luoghi assistiamo anche al silenzio e alla protezione del boss che viene data da un intero paese. È questo l’aspetto più difficile, che rallenta l’individuazione del covo del boss e del latitante stesso. Una volta però individuato il luogo dove potrebbe nascondersi, con le nostre tecniche riusciamo a trovarli”

La lunga caccia

Arma dei Carabinieri

Ma voi siete riusciti a trovare bunker in zone impossibili e dietro pareti apparentemente perfette…

Noi veniamo addestrati a vivere in situazioni estreme, a sopravvivere in luoghi impervi e a condizioni atmosferiche altrettanto estreme. Questo ci permette di rimanere sulle tracce di una latitante per giorni o per settimane cercando tracce del loro passaggio, o dei loro complici, in mezzo alle montagne. In questo periodo sull’Aspromonte c’è la neve e una temperatura rigidissima, d’estate invece si superano i 40 gradi. Non sono ricerche facili ma i Cacciatori, più volte sono riusciti a trovarli…Nelle abitazioni, invece, è chiaramente più semplice. Anche nelle ricerche dentro le case, abbiamo, sviluppato una serie di tecniche investigative per individuare agevolmente il covo.

Tecnica e manualità

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Che strumenti utilizzate?
Il comandante Zizzi sorride per un attimo: “Trapano, cacciaviti, martelli sia durante le ricerche che durante l’apertura del bunker. Solitamente però l’utilizzo degli attrezzi è solo antecedente all’apertura perché l’apertura stessa talvolta è abbastanza veloce in quanto deve permettere l’ingresso del latitante in modo rapido e agevole. Quindi la vera difficoltà è nel trovarlo. Utilizziamo tutti gli strumenti che possono essere nella disponibilità di un muratore, di un geometra, di un manovale...ma siamo supportati dalle tecniche di un progettatore come ad esempio, un ingegnere”

Il sacrificio delle famiglie

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Il vostro lavoro consiste anche in lunghi appostamenti. Sparite, vi mimetizzate per settimane senza che le famiglie sappiano niente di voi…
Sì, il vero sacrificio è quello dei nostri familiari, mogli, figli, genitori che ci vedono uscire ma non sanno quando rientreremo. Ripeto, noi siamo stati addestrati a questo, è la normalità, e se c’è la passione non è unsacrificio. Per le nostre famiglie, invece, le assenze sono più difficili da vivere ma comunque capiscono che questa è la nostra vita ed è il nostro lavoro a servizio dello Stato. 

I pedinamenti

Quanto possono durare le vostre indagini?
Delle settimane come dei mesi, senza stop. Altre volte, invece, veniamo chiamati solamente quando i colleghi dell’Arma hanno individuato un possibile nascondiglio, come è accaduto nell’ultimo caso della cella frigorifera del ristorante pochi giorni fa. Comunque tutto dipende dall’omertà che circonda il boss.

In fondo al pozzo

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All'interno di questo pozzo, un boss ha ricavato il suo bunker. Gli ingressi dei covi sono solitamente molto stretti. Il diametro può variare dai 40 per 40 centimentri ai 70 per 70 centimentri. Sono pochi i nascondigli che hanno aperture "standard" come le porte. Solitamente sono botole o porzioni di pareti o pavimenti a scorrimento.     

Nascosto in un muro

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Il bunker era stato ricavato all'interno di un muro. L'ingresso, in questo caso, era stato progettato come una porta ma per evitare che al tatto, durante un sopralluogo, potesse risultare diversa rispetto al resto della parete è stata realizzata con cemento armato. Lo spessore era elevatissimo così come il peso. La difficoltà è stata proprio quella di individuarne l'apertura. Da una ispezione visiva, infatti, il muro sembrava perfetto, privo di qualsiasi manipolazione. La finta porta non si vedeva assolutamente.

Le finte scale

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È un tipico bunker della Locride, realizzato alll'interno dell'abitazioni del boss o dei suoi familiari. In questo caso il latitante si era fatto costruire un rifugio sotto delle finte scale. I gradini, con una leggerea pressione, scorrevano l'uno dentro l'altro dando la possibilità al latitante di scivolare all'interno del covo.   

Dietro al vino fatto in casa

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Sembrava una normalissima cantina con una parete realizzata appositamente per far invecchiare il vino. In realtà una piccola porzione della parete scivolava verso l'interno per circa una settantina di centimetri grazie ad un binario in acciaio. Nello spessore, sulla sinistra c'era un buco che conduceva direttamente al covo del boss. Una volta scivolato all'interno, il latitante poteva lasciare la porzione di cantinetta che, grazie ad una leggere pendenza, si richiudeva da sola senza far vedere niente.

E quando il boss voleva uscire?

Aveva la possibilità di far retrocedere dall'interno quella stessa porzione di parete. Compiva gli stessi gesti ma all'inverso e riusciva a tornare all'esterno.

I container sotterrati

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Nella Piana di Gioia Tauro, uno dei sistemi utilizzati dai boss per presidiare il territorio ma sfuggire alla cattura è quello di interrare a due o tre metri di profondità dei container. Questo è una modalità molto rapida per loro e molto difficile per gli investigatori rintracciarla. In questo modo a loro occorre solo una ruspa che in circa due ore riesca a scavare una buca. Una volta preparato il buco, ci viene calato il container e ricoperto. In questo caso se fossimo arrivati un'oretta dopo non avremmo più trovato niente.

Lo Squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria

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Il capitano Angelo Zizzi (nella foto) è il comandante dello Squadrone Eliportati Cacciatori di Calabria. Elemento distintivo dei carabinieri Cacciatori è il caratteristico basco rosso.

Lo Squadrone è stato fondato il 1º luglio 1991 all’interno Gruppo operativo Calabria dell'Arma dei Carabinieri. I militari sono stati impiegati sia nel difficile territorio aspromontano che in Barbagia, con compiti di contrasto alle attività della 'Ndrangheta e dell'Anonima sarda.

I reparti di Cacciatori sono specificamente dedicati ad azioni di ricognizione e disturbo (la scelta del nome non è casuale). I loro compiti sono: infiltrazione occulta nel territorio (ricognizione speciale e controllo del territorio); appostamento (acquisizione obiettivi e pianificazione operazioni); attacco rapido ed inatteso (azione diretta o assalto).

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Nadia Francalacci