Addio a Maurizio Costanzo, il re del talk show che ha fatto la storia della tv
(Ernesto Ruscio/Getty Images)
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Addio a Maurizio Costanzo, il re del talk show che ha fatto la storia della tv

Il giornalista è morto a 84 anni. Fino all'ultimo stava preparando una nuova edizione del Costanzo Show e lavorando a nuovi progetti. Ha rivoluzionato il linguaggio tv, mescolato i generi e parlato ad un pubblico trasversale. Esponendosi sempre, fino a rischiare la vita per mano della mafia

Se n'è andato via con un colpo di scena inaspettato - sipario, sigla! - Maurizio Costanzo. Un'uscita di quelle inattese e per questo ancora più clamorose. Fino a pochi giorni prima del ricovero in una clinica romana scriveva, lavorava, imbastiva nuovi progetti, lui che non aveva remore ad autodefinirsi un "bulimico di lavoro". "Il mio motto è chi si ferma è perduto. Seguo un insegnamento di Piero Angela che mi disse di tenere sempre il cervello in funzione", raccontò in un'intervista. Se n'è andato a 84 anni, con la stessa curiosità che aveva da cronista esordiente e che ha coltivato per tutta la vita, trasformando il suo hobby in passione totalizzante e in lavoro. A spingerlo verso il giornalismo fu Indro Montanelli, che al Costanzo 14enne che gli scrisse una lettera rispose: «Se davvero quella è la tua passione, comincia il prima possibile».

Ma Costanzo poi non si è accontentato di fare il giornalista e così, negli anni, sperimenta tutti i linguaggi possibili, scopre la radio, poi la televisione - diventando, giovanissimo, co autore anche dei varietà di Antonello Falqui - poi conduttore, critico, sceneggiatore, autore di canzoni e persino attore. Ma è la tv lo strumento attraverso cui si esprime al massimo, gioca, si diverte, flirta col pubblico, inventa nuovi linguaggi: «Senza la televisione non so se saprei vivere», disse. Non è un caso che stesse già lavorando ad una nuova edizione del Maurizio Costanzo Show, prevista in primavera. E non solo a quello. Perché Costanzo era Costanzo e tutto era (o sembrava) possibile quanto a trasversalità: era l'unico cui era concesso di essere in onda contemporaneamente su Canale 5 ma anche su Rai1, e al tempo stesso fare radio (l'ultima esperienza quotidiana, su R101). Del resto, era patrimonio di tutta la tv: identificato per quattro decenni come uomo Mediaset, era stato a lungo volto del servizio pubblico dove cominciò la sua carriera che sa di cavalcata verso il successo. Finalmente domenica, Alle sette di sera e poi la svolta con Bontà loro nel 1976, primo talk show italiano in assoluto: lì Costanzo trova la sua cifra, inventa un genere (anche grazie ad un'intuizione di Angelo Guglielmi), se lo plasma addosso con quell'aria da gatto sornione (lui che amava moltissimo i cani, nel suo studio ai Parioli ha avuto per anni un gatto, Filippo) che sapeva benissimo a che pubblico stava parlando. Senza snobberie inutili.

Come plasma il talk all'italiana? Mescolando alto e basso, facendo dialogare mondi opposti, non avendo paura di sporcarsi le mani, dando voce ai politici ma soprattutto alla "società civile", sbagliando, chiedendo scusa, scoprendo talenti (Mastrandrea, la Merini, Iacchetti, Sgarbi, solo per citarne alcuni), intervistando senza riserve (ne ha fatte più di 45mila e il suo sogno, non realizzato era quella a Papa Bergoglio), appassionandosi per alcuni temi e sempre esponendosi. Per i diritti civili, per il "diverso" - sempre schivando la retorica, cui era allergico - e soprattutto contro la mafia. Nel 1993 scampa a un attentato: un’autobomba viene fatta esplodere in via Fauro a Roma, a pochi passi dal teatro Parioli, mentre era in macchina con Maria De Filippi: si salvano perché quel giorno cambiato l'auto e il sicario, non riconoscendola, pigiò il pulsante in ritardo. «Il giorno più brutto della mia vita? Il 14 maggio 1993, quando la mafia mi dedicò 70 chili di tritolo mentre tornavo a casa in macchina con Maria. Il più bello è stato accorgerci che eravamo vivi». E il legame con la De Filippi, che arriva dopo tre mogli e una convivenza («malgrado l’aspetto sono sempre stato fortunato con le donne», ironizzava), quello che cambia per sempre la sua vita: il loro diventa un sodalizio unico, professionale e soprattutto umano, vissuto lontano dai riflettori, una simbiosi difficile da raccontare ma certamente un amore unico. Che diventa ancora più inscindibile quando adottano Gabriele, che da tempo lavora in Fascino e nella discografia. «Come padre sono stato assente e sono meglio adesso: con Saverio e Camilla ci vediamo tutti i giovedì a pranzo, è il nostro appuntamento fisso», raccontava. Papà orgoglioso (Saverio Costanzo, per altro, è diventato un regista cult), nonno affettuoso ma a modo suo («non li porto ai giardini, per capirci), lavoratore instancabile con una carriera fatta praticamente solo di successi e un vero grande intoppo che si lega ad un rimpianto: l'iscrizione alla P2. Il suo nome fu trovato nella lista degli iscritti alla Loggia di Licio Gelli, tessera 1819, datata 26 gennaio 1978. Quando viene fuori la sua notizia, il telefono smette di suonare e viene lasciato solo da tutti. «L'ho fatto per dare retta a un paio di persone che conoscevo, ero confuso. Dopo non mi sono più iscritto neanche alla bocciofila», confessò. «Sono stato un cretino», aggiunse a Giampaolo Pansa. Fu Sergio Zavoli a dargli nuovo slancio e a riportarlo in tv.

Da quel momento non si è più fermato, prendendosi ogni anno un solo mese di ferie, ad Ansedonia, nella villa con vista sull'Argentario. Nella sua carriera ha fatto di tutto, dal cinema impegnato come sceneggiatore (il cinema fu la sua vera grane passione: c'è anche la sua firma in Una giornata particolare di Ettore Scola, tanto per citare un titolo) all'intrattenimento ultra pop, come le edizioni di Buona Domenica, che mettevano in scena gli ultimi scampoli di nazional-popolare pensato e soprattutto ragionato come palco in cui c'era spazio per tutti (ospiti blasonati e personaggi da periferia della popolarità, che trattava tutti con lo stesso rispetto o lo stesso disincantato cinismo). Poteva piacere o meno, ma pochi altri come lui sono stati capaci di utilizzare registri così diversi e apparentemente inconciliabili. Una vita di lavoro e di diete («Se uno mangia un piatto di spaghetti vicino a me ingrasso io»), con un episodio memorabile: i 24 bignè mangiati a San Giuseppe. «Per poco non fini in ospedale», ammise. Esagerare era un rischio che gli piaceva correre, nel lavoro, nel tifo (la Roma, sua passione fino all'ultimo, tanto da continuare a curarne la comunicazione) e in amore. Con l'incontro con la De Filippi cambia tutto, mette un punto. «Maria è una donna attenta, precisa, io sono abbastanza cialtrone, anche sulla mia salute. Se non avessi avuto questo cane pastore vicino non so come sarebbe andata. Mi dispiace dirlo perché non voglio darle soddisfazione, però è così: mi ha salvato da me stesso». Poi la frase che negli ultimi tempi ripeteva sempre più spesso: «Quando l'ho incontrata, per la prima volta nella mia vita ho pensato: 'Ecco, questa è la persona che stringerà la mia mano mentre morirò». Forse il sipario è calato davvero così.

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Francesco Canino