Il Ppe non rompe con Berlusconi
Deluso chi si aspettava un processo europeo contro il Cavaliere
Silvio Berlusconi esce quasi indenne dalla riunione del Partito popolare europeo a Bruxelles, all’indomani della sua ri-candidatura a premier nelle prossime elezioni politiche. Questa è già una notizia, per alcuni anche una sorpresa. Niente barricate, niente striscioni, niente plateali assenze (alla vigilia era stata messa in circolo la voce di una defezione della Merkel per non dover incrociare il Cav), niente clamorosi rifiuti di strette di mano. Anzi. Il presidente del Ppe, Wilfried Martens, ha invitato Mario Monti al pranzo ufficiale e non c’è stata alcuna scintilla, alcun dissidio. Berlusconi ha detto di stimare il Professore, le critiche a Monti riguardavano piuttosto l’impossibilità di portare avanti le riforme per via della zavorra di Bersani e della sinistra; non toccavano la persona del presidente del Consiglio, il suo talento.
A Bruxelles, Berlusconi insiste: Monti, se volesse, sarebbe il candidato ideale dei moderati per Palazzo Chigi. Il Ppe concorda, anche se evita di esporsi interferendo nelle vicende interne italiane. Il “no” su twitter di Bobo Maroni resta un cinguettio di sottofondo che non incide sui rapporti tra il PdL e la “grande famiglia” dei popolari europei. La preoccupazione del Ppe, dice Berlusconi, è che in Italia torni al governo la sinistra. E quale sinistra, poi. Non quella moderna di Matteo Renzi, ma quella di Bersani e Vendola. Il vecchio apparato. Il sindacato trinariciuto.
Certo, che Berlusconi non sia amato da tanta parte dell’Europa (soprattutto dai media ma anche da esponenti politici e di governo) è risaputo. Il Cav, per la prima volta dopo tanti anni di ininfluenza dell’Italia nelle decisioni dell’Unione Europea, da capo del governo ha sostenuto con carattere (in una maniera magari sopra le righe, non ortodossa, ma ferma e a volte pure coraggiosa) quello che considerava l’interesse nazionale. Ha usato il veto, ha battuto il pugno sul tavolo, ha espresso con franchezza il dissenso. Sì, è vero, non ha saputo contrastare con equilibrio di comportamenti l’ostilità degli “ambienti europei”. Però i dettagli spiegano molte cose. Un dettaglio che descrive certi atteggiamenti anti-berlusconiani in Europa è la personale crociata di Guy Verhofstadt, l’ex premier belga e attuale capogruppo dei liberali nel Parlamento europeo (una carriera in discesa), contro l’annuncio della possibile ri-candidatura del Cavaliere. Non si può fare “come niente fosse”, ha detto Verhofstadt. E Berlusconi non può sedere disinvoltamente accanto a Rajoy e alla Merkel, “andrebbe espulso” per i “danni enormi” provocati in Europa. Il dettaglio che rende un po’ sospetto l’accanimento di Verhofstadt è che fu proprio Berlusconi a impedirgli di coronare il suo sogno: diventare presidente della Commissione Europea. Era Guy, infatti, il candidato di Francia e Germania prescelto dal duo alla testa dell’Unione senza preventiva consultazione coi partner. Berlusconi rivendicò il ruolo dell’Italia (e del resto dell’Unione europea) contro le scelte “dall’alto” di Berlino e Parigi. E proprio in nome di un europeismo non riducibile alla diarchia franco-tedesca, fece asse con Tony Blair e coi leader dell’Europa dell’Est, mandando a carte quarantotto le decisioni preconfezionate di francesi e tedeschi. Così Barroso divenne presidente della Commissione. E Verhofstadt iniziò la sua parabola discendente. I leader del Ppe sanno perfettamente di non poter rompere con Berlusconi, che rappresenta il partito di maggioranza relativa tra i “popolari europei” in Italia.
Sanno che grande è la capacità del Cavaliere di raccogliere voti in campagna elettorale, non sarebbe perciò ragionevole “espellerlo”. Sanno anche di non poterlo dirigere e controllare; gli interessi nazionali, qui, si intersecano con quelli di partito. L’appoggio e la stima per Monti mettono però tutti d’accordo. Berlusconi e gli altri. Né i leader del Ppe chiedono a Monti di candidarsi: “Decidono gli italiani”. Per una volta il Cavaliere può tornare da una trasferta in Europa senza dover recriminare per la cattiva accoglienza. “Sono stato coccolatissimo”. Non rinuncia a una battuta: “Se l’Europa trema per il mio ritorno, allora sono forte”. Forse esagera, ma chi prevedeva o auspicava un’eclatante sconfessione è rimasto deluso.