A Montecitorio tutti colpevoli
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A Montecitorio tutti colpevoli

Nessuno può dirsi innocente per aver portato dentro le istituzioni queste coorti sbrindellate di picchiatori, urlatori, rissosi ignoranti, alieni

Italia balcanica, fanalino di coda della ripresa (non solo economica, ma politica e morale) europea. Mai come negli ultimi due giorni (e notti) lo spettacolo che ci ha dato Montecitorio ha rispecchiato lo sfascio del paese. Nessuno può dirsi innocente per aver portato dentro le istituzioni queste coorti sbrindellate di picchiatori, urlatori, arrampicatori di scranni, rissosi ignoranti, alieni.

L’aula della Camera non è più “sorda e grigia” come una volta. È diventata un bivacco di manipoli, fuori e dentro l’emiciclo: scene invereconde, scambi d’insulti, diserzioni polemiche, ressa manesca oppure squallido deserto. Assomigliamo sempre meno a una moderna democrazia occidentale e sempre più una piazza balcanica nella quale può succedere di tutto. Chi ha mai detto che i servizi sanitari di Montecitorio fossero inutili e sovradimensionati? L’infermeria della Camera è necessaria quanto (anzi, più di) quella che si affaccia sulla sabbia delle Plaza de Toros a Siviglia, nella Spagna delle corride. Finalmente ha un senso tenere un’ambulanza dedicata e sempre pronta nel seminterrato del Palazzo.

Ma il malato è l’Italia. È deprimente il paragone tra quanto avvenuto nelle ultime ore alla Camera e il confronto duro, frontale, ma verbale, tra una chiara maggioranza e una franca opposizione a Londra. A Montecitorio, le uniformi sono sbiadite, o invertite, le casacche camaleontiche, cambiano colore a seconda delle convenienze politiche (e personali). Appena qualche giorno fa tutta la sinistra, PD e SEL all’unisono, applaudiva l’elezione del capo dello Stato, Sergio Mattarella. Perfino qualche grillino apprezzava la scelta di Renzi. A destra invece andava in scena lo psicodramma del Patto del Nazareno tradito da Matteo, con tutte le conseguenze che comportava e che si vedono adesso: l’indisponibilità di Forza Italia e l’Aventino, con la decisione di uscire dall’aula insieme a SEL, cinque stelle, Fratelli d’Italia e Lega. Non su un provvedimento qualunque, ma sulla riforma della Carta costituzionale.

Semplice il messaggio: perché mai si dovrebbe condividere la riforma dello Stato se non si riesce a eleggere insieme il presidente della Repubblica? Certo, Renzi l’ha spuntata. È apparso come un “bullo” (parola di Renato Brunetta, capogruppo azzurro) apparendo sui banchi del governo nelle ore piccole del dibattito (o rissa) parlamentare, ma intanto ha portato a casa il sì dei deputati. A marzo il voto definitivo. Ma al Senato, se nel frattempo Renzi non si sarà riconciliato con Berlusconi dopo lo strappo del Quirinale, il governo avrà vita dura: i numeri sono il frutto di un sistema elettorale diverso che non dà i premi di maggioranza della Camera (sono le incongruenze italiche).

Si naviga a vista, mentre il paese soffre. Renzi “minaccia” le elezioni. Ma è una minaccia solo per gli eletti, i parlamentari, da sempre i veri frenatori del voto anticipato (aggrappati allo scranno come molluschi). Dubito che Matteo voglia davvero mettere a rischio il governo col voto anticipato. E dubito pure che il centrodestra sia pronto alle elezioni. Ma il rispetto della democrazia vorrebbe che finalmente si tornasse tutti alle urne. Al più presto.   

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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