Modesti consigli per la nuova Rai
(Ansa)
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Modesti consigli per la nuova Rai

La Rubrica - Come Eravamo

Da Panorama del 25 aprile 2002

Vi piacciono le bugie? A me sì, ma solo se ben dette.

Quando Silvio Berlusconi dice che, con le nomine Rai, è finalmente realizzato il pluralismo dell informazione, che lui a Mediaset non telefona dal 94, e varie amenità, provo il disagio tipico di chi sta di fronte a un bambino preso con le dita nella marmellata.

Quando Piero Fassino e Francesco Rutelli fingono di non aver trattato la solita spartizione di reti e testate; quando i consiglieri Rai dell opposizione, due su cinque, fanno «le ritrose»; quando l’Unità titola sul «sequestro governativo della Rai» e Il manifesto minaccia, ohibò!, lo sciopero del canone, provo esattamente lo stesso imbarazzo.

Bugie mal dette. Il conflitto di interessi nel campo dell informazione è irrisolvibile, e il presidente del Consiglio e proprietario della Mediaset può al massimo temperarlo con una legge Frattini in via di miglioramento. Ma avrà sempre il problema di rassicurare e garantire, nonostante i molti controlli che il sistema italiano prevede, chi dice la più semplice ed evidente delle cose: cinque reti e mezzo sono troppe, la posizione dominante è evidente, la possibilità dell abuso è dietro l’angolo.

Al tempo stesso è impossibile sciogliere la contraddizione in cui si trova l’opposizione, che quand’era governo ha fatto frettolosamente in Rai le stesse nomine di chi al governo è arrivato un anno fa, per poi mandare in onda una faziosità antiberlusconiana che a parti rovesciate non abbiamo ancora visto in onda con la nuova maggioranza (per fortuna): se quando governa fa porcate, l’opposizione perde ogni diritto all’urlo e allo scandalo quando va in minoranza.

Questione di logica e (per dir così) di etica.

La parola passa ora a quelli che la televisione la fanno, dopo gli exploit di coloro che la possiedono e l’hanno posseduta nella legislatura del centrosinistra. Lì si vedrà se in Italia esista una società civile e intellettuale capace di autonomia di fronte agli imperativi più terra terra della blandizie e dell adulazione politica. Invece di cacciare o mettere in frigorifero «quelli di sinistra», idea insieme pericolosa e risibile, bisognerà che qualcuno pensi a distruggere i meccanismi manipolatori che fanno della Rai la Rai e non la Bbc (per non parlare della Banca d Italia che ci aveva promesso un altro bel giocoliere e illusionista come Walter Veltroni). Ce ne sono tanti, di simili meccanismi, ma quello del format cosiddetto di approfondimento, con un conduttore demiurgo che fa populismo e demagogia personale, in rapporto con il «suo» pubblico, è il principale. Lo hanno segnalato di recente anche il presidente della Vigilanza parlamentare, Claudio Petruccioli, e un mostro sacro della tv sopra le parti come Jader Jacobelli, chiedendo che della questione si faccia un tema da discutere in pubblico.

Di che si tratta? Semplice. Oggi la trasmissione di approfondimento è fatta così. C’è un giornalista-conduttore che mi piace chiamare CUdC (Conduttore Unico delle Coscienze). E' considerato la star. E' strapagato e i suoi compensi sono rigorosamente segreti. Ha tutti i diritti e nessun dovere. E' colui che assume e forgia la redazione, decide in solitudine i pesi e le responsabilità, impagina ogni riga del programma. Fin qui potrebbe essere un direttore di giornale o di tg di quelli con molto potere e molta responsabilità, ma c è un paio di differenze da segnalare: il direttore di un giornale o di un tg guida una macchina complessa e multiversa (prima differenza) in accordo strategico con un editore privato o pubblico, mentre il CUdC scrive ogni settimana un lungo articolo personale che è anche una piazza, una tribuna, una palestra di retorica e oratoria politica in accordo esclusivo con il «suo» pubblico (seconda, decisiva differenza). Chiaro, no? Un direttore guida una redazione che gli preesiste e gli sopravvive, un CUdC plasma dalla creta del suo genio e delle sue inclinazioni il team che preferisce. Un direttore di giornale si muove tra le cose che accadono, e ne dà conto o le commenta con maggiore o minore piglio personale, ma il demiurgo televisivo crea il fatto, detto anche un «evento televisivo», ed evoca le emozioni forti della tv insegnando alla gente che cosa debba sentire (pensare è già più difficile). Il CUdC è veramente solo, la sua centralità è divina, i suoi collaboratori non gli forniscono articoli, opinioni o commenti ma elementi, invece, per la costruzione di un discorso unico saldato con le aspettative evocate nel pubblico.

La salvezza di un informazione democratica sta nel fatto che nessuno detiene il potere assoluto di informare (come nelle dittature) e nessuno detiene il contropotere assoluto di controinformare (come nelle società demagogiche). Se quelli che fanno la tv, nelle discutibili e imbarazzanti condizioni in cui la nostra storia politica degli ultimi dieci anni ci ha incastrato, riusciranno a mettere il giornalismo al posto dello star system, sarà riforma. Altrimenti si moltiplicheranno i deus ex machina della manipolazione predicatoria, e sarà Babele.

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Giuliano Ferrara