I misteri del ministro Lanzetta
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I misteri del ministro Lanzetta

Matteo Renzi sapeva che l’ex sindaco è indagata per abuso d'ufficio? E che il suo vice era il genero di un boss della ’ndrangheta? E che la Corte dei conti ha dichiarato il dissesto del suo Comune per un "buco" da oltre 1 milione di euro?

Il prudente Pier Luigi Bersani, che pure l’anno prima l’aveva celebrata come eroina dell’antimafia, nel 2013 non l’aveva nemmeno voluta come candidata del Pd alle elezioni politiche. Lo spavaldo Matteo Renzi, invece, l’ha addirittura scelta come ministro degli Affari regionali, pur se in quota alla riottosa minoranza di Pippo Civati.

È quasi un mistero, Maria Carmela Lanzetta, 59 anni, farmacista: dal 2006, per sette anni, ha governato la cittadina di Monasterace, un comune di 3 mila abitanti in provincia di Reggio Calabria. Più volte oggetto d’intimidazioni (la sua farmacia era stata bruciata nel 2011 e l’anno dopo la sua Panda era stata colpita nella notte da tre colpi di pistola), descritta dalle cronache ed esaltata dalla politica come amministratrice coraggiosa e irriducibile nemica della ’ndrangheta, nel luglio 2013 Lanzetta all’improvviso si era polemicamente dimessa da sindaco: "La politica mi ha abbandonato".

Da allora era scomparsa. Quando Civati il 21 febbraio scorso se l’è trovata a sorpresa nella lista del governo ha detto, con qualche imbarazzo: "La nomina del ministro Lanzetta è una cosa che non si fa. Graziano Delrio avrebbe potuto farmi una telefonata. Le faccio gli auguri, ma non ne sapevo nulla. Né da Renzi, né da lei". Forse Bersani, un anno fa, si era trattenuto sul nome di Lanzetta perché aveva avuto la notizia: dal 2012 l’ex sindaco antimafia ha qualche guaio con la Procura di Locri. Ma è possibile che oggi Renzi lo ignorasse? Eppure è così: secondo quanto accertato da Panorama, Lanzetta a Locri è indagata per abuso d’ufficio.

Oggetto dell’indagine sono lavori dell’illuminazione pubblica per 230 mila euro, affidati non con gara d’appalto ma direttamente a una ditta locale. Il fascicolo è il n° 1.432, aperto alla fine della primavera di due anni fa e oggi sul tavolo del procuratore Luigi D’Alessio. L’indagine era nata da un esposto firmato nel marzo 2012 da quattro consiglieri di minoranza di Monasterace, tutti del centrosinistra: Cesare De Leo, Nicola Gara, Diego Origlia e Nicola Propocopio avevano denunciato la "condotta abusiva del sindaco". Lanzetta s’era difesa con poche parole: "Sono stata ingenua, mi sono fidata dei collaboratori".

Al telefono, il procuratore D’Alessio si lascia sfuggire con "Panorama" che il procedimento potrebbe essere archiviato. Si vedrà. Di sicuro, al momento, c’è che il ministro Lanzetta è indagata a Locri insieme con Vito Micelotta, ex capo dell’area tecnica del comune, a sua volta già coinvolto nell’inchiesta "Village" condotta nel dicembre 2010 dalla Procura di Reggio Calabria: qui Micelotta era stato arrestato con Benito Ruga, ritenuto boss di ‘ndrangheta, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, falso ideologico e abuso d’ufficio. Il processo nei confronti di Micelotta è stato poi trasferito a Locri perché è caduta l’accusa più grave (l’associazione mafiosa) e inizierà il prossimo 7 marzo.

Intanto il funzionario comunale un anno fa ha pubblicato un libro, intitolato Io ho un sogno, nel quale ha lanciato parole come pietre contro il suo ex sindaco. Micelotta sostiene che Lanzetta avrebbe "fatto riunioni con una persona condannata per il reato di 416 bis (associazione mafiosa, ndr), al quale chiese l’ingresso nella sua lista di un suo familiare".

Il libro, che finora non è mai stato smentito né querelato, sostiene addirittura che Lanzetta avrebbe chiesto aiuto a esponenti della ’ndrangheta per la sua campagna elettorale. E Micelotta aggiunge di non essersi fermato al libro: "Quanto scritto l’ho riferito e verbalizzato al tenente del nucleo carabinieri di Locri". Verità, oppure illazioni velenose? Panorama ha chiesto con insistenza un commento al ministro Lanzetta, sia sulla sua iscrizione nel registro degli indagati sia sul libro di Micelotta, senza purtroppo ottenere alcuna risposta.

Resta il fatto che l’attività amministrativa dell’ex sindaco pare mostrare qualche grave neo. Da sindaco, per esempio, Lanzetta aveva nominato come suo vice Francesco Antonio Siciliano. Costui è il genero di Vincenzo Ruga, condannato in via definitiva per associazione mafiosa e considerato il boss dell’omonima cosca della Locride, combattuta tenacemente negli anni scorsi dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria guidata da Giuseppe Pignatone (ora procuratore a Roma) e dal suo aggiunto Nicola Gratteri. Lanzetta aveva affidato a Siciliano le deleghe sul centro storico, sulla viabilità e sul decoro urbano.

Ma la vera débâcle di Lanzetta pare riguardare la sua gestione economica di Monasterace. La Corte dei conti della Calabria, con due diverse delibere, ha infatti certificato il default del comune. Il primo richiamo dei giudici contabili risale al marzo 2009, quando Lanzetta era già sindaco da tre anni: "Il risultato dell’amministrazione" si legge nella delibera "risulta negativo e la criticità è dovuta all’operazione di indebitamento". E ancora: "Devesi rilevare che i debiti fuori bilancio, riconosciuti nel 2007, sono sintomo di criticità nella gestione dell’ente".

Nonostante quell’allarme, a Monasterace il deficit comunale continua a crescere. Si arriva così al mancato pagamento degli stipendi degli impiegati comunali e al vero e proprio dissesto finanziario. Lo certifica sempre la Corte dei conti nell’aprile 2013, con queste parole: "Il Comune di Monasterace versa in notevoli difficoltà finanziarie, determinate da una grave carenza di liquidità, dalla cospicua situazione debitoria pregressa, da un rilevante ammontare di debiti fuori bilancio, da una gravosa situazione del contenzioso civile dovuta principalmente alle difficoltà riscontrate nel pagare i fornitori entro un tempo ragionevole".

I giudici calcolano che il 2011 si sia chiuso con un disavanzo di oltre 88 mila euro, e soprattutto che a bilancio, in quel momento, risultino attivi "insussistenti" per 1 milione e 117 mila euro. Un bel buco, per un comune di appena 3 mila abitanti. E non proprio un viatico d’eccellenza per un ministro che ora dovrà fare i conti con le regioni.

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