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Migranti: 5 paradossi sulla situazione che stiamo vivendo

Sbarchi di disperati dove la gente prende il sole, paesi (ma non l'Italia) che dicono no alle navi delle ong, buoni che diventano cattivi e viceversa

Paradossi e assurdità. La dinamica delle migrazioni e la loro gestione “politica” riservano colpi di scena, prese di posizioni inattese, scene ed episodi surreali. Che segnalano tutta la difficoltà di affrontare un esodo epocale con gli strumenti operativi e culturali inadeguati in una Europa perennemente in ritardo sulla Storia.

Lo sbarco di Cadice

La prima scena surreale è quella documentata in un video diventato virale sulla web. Un gommone sgonfio e pieno di migranti taglia a bracciate l’ultimo tratto di un lungo viaggio via mare e si arena su una spiaggia di Cadice, Spagna, tra bagnanti incuriositi che fanno ala allo scatto finale, una corsa scomposta sulla sabbia dell’estate andalusa verso un destino di clandestinità o l’abbraccio odioso di un gendarme.

Cadice, nave di migranti sbarca tra i bagnanti | Video

I paradossi qui sono due: il primo è la discrasia fra la tragedia di un pezzo di Africa sofferente e la routine vacanziera di una normale giornata di giochi d’ombrellone. Il secondo è che ci troviamo non a Lampedusa ma a Cadice, scopriamo all’improvviso che anche la costa andalusa è raggiungibile da un gommone, quindi dev’esserci qualcosa di diverso dalla distanza a fare da deterrente. Tanto è vero che in questo modo migriamo al secondo paradosso...

Le rotte spagnole ritrovate

È rinata la rotta spagnola attraverso il Mediterraneo occidentale e il Marocco. In quasi duemila negli ultimi giorni hanno dato l’assalto al “muro” (dimenticato) di Ceuta. Gli arrivi in Spagna si sono più che raddoppiati, mentre sembrano essersi dimezzate le partenze dalla Libia verso l’Italia. Già, perché le enclave spagnole di Ceuta e Melilla sono la porta dell’Europa direttamente in Africa. Qui non c’è da attraversare il mare. Bastano i piedi. Qui il muro somiglia a quello tra Stati Uniti e Messico.

Ceuta: i migranti sfondano alla frontiera ed entrano in Spagna

Con doppie altissime recinzioni e guardie armate, e il ricordo di passati tentativi finiti nel sangue tra fucilate e morte. Anche ora la reazione delle polizie marocchina e spagnola è stata tosta, inflessibile, tra inseguimenti a manganellate, ferimenti, catture e respingimenti a muso duro. Tutto documentato. Altro che rispetto dei diritti dei profughi.

In questo pezzo di Europa si usano le maniere forti. Con tanto di blocco temporaneo della frontiera. Così, mentre la Spagna fa quello che vuole senza che le istituzioni europee o le organizzazioni internazionali insorgano, per l’Italia si pretende spesso una disponibilità esclusiva ad accogliere e una collaborazione totale anche con Ong che non accettano codici di comportamento, con il risultato di una complicità oggettiva coi trafficanti di esseri umani.

Solo i porti italiani dicono sempre si

I porti italiani, poi, sembrano essere sempre quelli più vicini, anche a dispetto della geografia. Così succede che la nave della Ong spagnola Proactiva Open Arms, per inciso una di quelle che il codice lo hanno firmato, chieda di sbarcare nel porto più vicino i suoi 3 (dicansi 3) profughi salvati in mare, senza però ottenere il via libera perché quel porto è pur vicino, ma è maltese e Malta, come la Spagna, decide come applicare le regole a suo piacimento. Cioè non applicarle. L’Italia protesta, obietta che quello è il porto di destinazione, che non accetta di mettere a disposizione i suoi. Ma alla fine, chissà perché, la nave finisce in Italia con i suoi tre disperati. Per non parlare dei porti tunisini o degli stessi porti libici, fuori gioco. Perché?

Se capita l'incidente in mare

Un perché, riguardo alla Libia, c’è e ci porta al quarto paradosso. La nostra missione navale può sconfinare nelle acque territoriali libiche ed è di supporto alla Marina e alla Guardia costiera libiche per contrastare i viaggi della morte (bisognerebbe cominciare a chiamarli così, viaggi della morte, non viaggi della speranza). Ma, sottolinea in un commento su “La Stampa” Vladimiro Zagrebelsky, si pone un non facile problema: e se capita l’incidente? Se nel respingere verso la costa libica un gommone appena partito muore qualcuno in mare senza essere salvato?

Il paradosso è psicologico: l'"attesa" dell’incidente aiuta gli scafisti e insieme gli umanitari a oltranza. Perché al primo grosso incidente la missione italiana verrà dipinta come criminale, a vantaggio degli uni e degli altri. Allora delle due l’una: o si contrastano gli scafisti per impedire le morti, o li si aiuta (sempre per impedire le morti). In ogni caso il bilancio a breve termine di qualsiasi politica, vuoi di apertura vuoi di chiusura, è un bilancio di sangue. Ma è nel lungo termine che la politica delle frontiere controllate può dare risultati in termini di sicurezza, lotta alla criminalità e diritti umani.

I cattivi diventano buoni, i buoni cattivi

E questo ci porta al quinto (apparente) paradosso. Ci era stato detto che il mondo cattolico è sempre e comunque per accogliere senza se e senza ma, a braccia aperte. Ma anche nel mondo cattolico è emersa adesso una voce dissonante. Forse, una rottura. Ma sempre in nome dell’aiuto ai più deboli.

Le parole del cardinale di Perugia, Gualtiero Bassetti, sono chiarissime: “Di fronte alla piaga aberrante della tratta di esseri umani è necessario porre il più netto rifiuto a ogni forma di schiavitù moderna. Rivendico però con altrettanto vigore la necessità di un’etica della responsabilità e del rispetto della legge. Proprio per difendere l’interesse del più debole, non possiamo correre il rischio, neanche per una pura idealità che si trasforma drammaticamente in ingenuità, di fornire il pretesto, anche se falso, di collaborare con i trafficanti di esseri umani”.

Quindi, le Ong firmino il codice. Si pongano dei limiti all’andare a raccogliere i profughi dai loro gommoni sgonfi. Si eviti che partano per andare a morire, in pochi o in tanti. Il paradosso qual è? I buoni possono rivelarsi cattivi. I cattivi, buoni.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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