Meglio la tregua di un governicchio
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Meglio la tregua di un governicchio

Come uscire dall'ingovernabilità (presunta) - tutti gli eletti - speciale elezioni 2013 -

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Caro direttore, so come la pensa lei, ma devo dirle che nei partiti storici o similnuovi (Monti) fatico a riconoscermi. Nello stesso tempo non riesco a pensare al movimento di Beppe Grillo come a una vera alternativa. Come me milioni di italiani, quelli che i giornali chiamano gli indecisi. Che cosa deve sperare chi ha a cuore il bene dell’Italia?
Antonio Seminara

Banche e gruppi finanziari, sia in Italia che all’estero, continuano a sfornare report dettagliati sugli scenari che attendono l’Italia dopo le elezioni del 24 e 25 febbraio. Siccome non siamo in un sistema bipolare, per cui o vince uno o vince l’altro, le variabili sono parecchie. E contemplano ipotesi di ogni genere e tipo. Su un punto convergono tutti gli analisti e i sondaggisti che ho sentito fino a martedì 19 febbraio: nessuno degli schieramenti in campo sarà autosufficiente. Il che, automaticamente, proietta luci sinistre sull’affidabilità e quindi la tenuta di qualsiasi governo (con conseguenze nefaste su titoli di stato, spread, borsa e valore delle azioni) frutto di un’alleanza non elettorale ma dettata dalla contingenza. A ciò si sommino i toni ultimativi pronunciati da tutti i leader per escludere matrimoni postelettorali. In rapida sintesi e limitandoci ai principali competitor: Bersani non lascerà mai Vendola, che non si alleerà mai con Casini, il quale ricambia con identico disprezzo, mentre Monti ci mette il carico ed esclude nel modo più assoluto di stare con «questa coalizione di sinistra» e men che mai con Berlusconi, che se gli nominate ancora Monti rischia di andare in apnea per mancanza di epiteti goffi da indirizzare all’indirizzo del Professore (o professorino, va da sé).

Manca Grillo in questa lista. Per lui i partiti sono morti, i leader sono morti, la politica è morta, il sistema è morto, televisioni e giornalisti sono morti. Giusto il Papa s’è salvato, ma solo perché si è dimesso. In questo cimitero così esteso vivono e sopravvivono solo quei milioni di elettori che lo voteranno e che comunque meritano rispetto. Lo abbiamo raccontato mille e mille volte: sono i delusi, gli arrabbiati, gli scontenti, gli incazzati. Potremmo essere suoi elettori perfino noi liberali, se non avessimo fatto l’errore di ascoltare Grillo e soprattutto di leggere le sue proposte che si rivelerebbero, quelle sì, un cimitero per l’Italia. Ma l’onda – lo tsunami per dirla alla grillina – oramai è partito e dovremo fare i conti con un nugolo di deputati (addirittura un centinaio) e un drappello di senatori del Movimento 5 stelle. Se le previsioni della non autosufficienza dovessero essere confermate, i sunnominati leader, e cioè Bersani, Monti, Berlusconi, hanno solo una strada per sopravvivere: dovrebbero avere la maturità di mettere da parte gli odi elettorali e predisporre una base comune di riforme per affrontare i disagi reali del Paese. Una piattaforma di alcune riforme condivise per far ripartire l’Italia tenendo alta la guardia contro l’Europa dell’austerity voluta dalla Germania.

Non è fantascienza, si può fare e gli esempi in tutto il mondo non mancano. L’altra strada sarebbe inesorabilmente questa: il vincitore zoppo, con l’aiuto di 10 o 20 transfughi, mette su un governicchio, a maggio elegge un nuovo capo dello Stato che non avrà il favore di tutti e tira a campare per un po’. Poi, molto presto, il governicchio non starà più in piedi e si tornerà a votare. A quel punto, state sicuri, il balletto rischierà di chiudersi per sempre. Perché le urne consegneranno al Paese una sola forza autosufficiente e per di più in grado di seppellirci: Grillo.

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Giorgio Mulè