Maurizio Abbatino
MASSIMO CAPODANNO/ANSA
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I segreti di Maurizio Abbatino, il Freddo della banda della Magliana

Quarant'anni fa a Roma comandava lui. Adesso si confessa per la prima volta in un libro. Abbiamo chiesto all'autrice del volume di raccontarci come ha fatto a vincere la sua resistenza e di anticiparci alcune rivelazioni

"Non so quante volte ho ucciso. Ma ricordo i nomi di tutte le mie vittime. La cosa strana è che non riesco a contarle". È stata la prima risposta di Maurizio Abbatino, l'ex capo della banda della Magliana, l'uomo che ho rincorso per due anni prima di un incontro.
Se ne stava seduto di fronte a me, al tavolo di un ristorante sul mare, mentre continuavoa ripetermi che avrei dovuto chiedere altro, non il numero dei suoi morti. "Mi pesano sulla coscienza. Anche se appartengono al boss che sono stato. All'altra mia vita".

La svolta interiore: l'uccisione del fratello

1349236Una vita che ho cercato, prima dell'appuntamento, nei verbali dell'inchiesta Operazione Colosseo, nelle centinaia di pagine che raccolgono le spaventose confessioni di un boss sanguinario, di un passato che Abbatino si dice certo di aver pagato davanti agli uomini, con una condanna a 30 anni mai appellata, e davanti a Dio col dolore per aver perso il suo unico fratello. "Ero latitante a Caracas quando Roberto è stato ucciso. I miei amici avrebbero dovuto proteggerlo. Di loro mi fidavo. Avevo protetto le loro famiglie. Era una nostra regola, e io l'avevo rispettata. Quando hanno lasciato uccidere mio fratello è morto anche il boss. Non ho sentito più alcun dovere verso di loro. Nessun obbligo".

Abbatino continua a parlare. Una storia che straborda. Troppi dettagli, troppi fatti da raccontare. Così La verità del Freddoè diventata un libro-intervista con la postfazione di Otello Lupacchini, il magistrato che per primo ascoltò le rivelazioni di Abbatino e firmò i 69 ordini di cattura che decimarono la banda della Magliana e una pletora di personaggi minori legati all'organizzazione.
Era l'alba del 16 aprile 1993 quando scattarono gli arresti dell'Operazione Colosseo. "Chissà perché gli eserciti attaccano sempre all'alba. Forse perché c'è l'effetto sorpresa. Quel giorno furono arrestati tutti i miei ex amici. Si pentirono anche altri affiliati alla banda dopo le mie dichiarazioni. Ci furono condanne pesanti, ergastoli. Roma fu ripulita quasi del tutto. Quasi...".

La chiave sulla scomparsa di Emanuela Orlandi

Il libro-intervista parte dall'operazione Colosseo e arriva all'uomo che ho incontrato ancora, per mesi, sempre nello stesso posto. Abbatino rivela fatti accertati e altri che meriterebbero nuove indagini. Come quelli svelati sull'omicidio di Pier Paolo Pasolini, sulla morte di Franco Giuseppucci, sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e sul sequestro di Aldo Moro: "La prigione era in zona nostra, in via Gradoli. A poche centinaia di metri c'era un residence, lo ricordo perché con Franco passammo a controllare. Poi riportammo la notizia a Flaminio Piccoli... era stato lui a chiederci di trovarlo".

Cosa sa del sequestro di Emanuela Orlandi? "L'omicidio di Michele Sindona e quello di Roberto Calvi sono legati al sequestro Orlandi. Se non si risolve il primo non si arriverà mai alla verità sul presunto suicidio di Calvi e sulla scomparsa di quella ragazza. I tre casi sono collegati da un flusso di soldi finiti nelle casse del Vaticano e mai restituiti". Licio Gelli lo ha mai incontrato? "Anche se lo avessi incontrato non lo avrei riconosciuto. Comunque partecipai a tre o quattro riunioni nella villa di Fabio De Felice. Con Edoardo Toscano e Alessandro D'Ortenzi. Mi sembrò una cosa strana. Parlavano di addestramenti militari. Di un colpo di Stato. Era tutta gente legata a Ordine nuovo. Che poi dietro aveva la P2. Non li presi sul serio".

Perché è stato estromesso dal programma di protezione

Di tutte le verità arrivate da Abbatino ho cercato traccia. Ho incrociato verbali e sentenze, ho cercato persone e trovato nuove fonti, anche sull'omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Un lavoro di ricerca durato un anno. Ricostruire la storia del Freddo e della sua banda non è stato semplice. Abbatino non è solo un ex capo o un ex pentito, è l'ultimo boss vivente di un'associazione mafiosa che ha governato, ucciso e deciso. E non solo a Roma. Perché la banda della Magliana non è stata solo una gang criminale ma una struttura importante di un'organizzazione ben più vasta che godeva di inquietanti protezioni in Italia e all'estero grazie ai rapporti con i servizi segreti, la mafia e la massoneria.

"Non so quante volte ho ucciso. Ma ricordo i nomi di tutte le mie vittime". Maurizio Abbatino

La storia della banda si chiuse con le dichiarazioni di Abbatino. Con la collaborazione dell'uomo che per mesi mi ha raccontato la sua vita. I suoi ricordi. Ho frugato nei suoi pensieri prima e nelle mie registrazioni poi, per ricostruire la storia di una banda che ha intrecciato i suoi morti con golpisti, banchieri impiccati e ragazze scomparse, con politici sequestrati e ammazzati, con fascisti mercenari di uno Stato che oggi spera di liberarsi dell'ultimo testimone dei suoi complottie dei suoi misteri.

Per questo Abbatino è stato estromesso dal programma di protezione. Per questo sono tutti lì a pregare per una sua veloce dipartita. A sperare che non aggiunga altro ai suoi ricordi. Altri episodi e altri nomi su indagini ancora in corso. Particolari su omicidi rimasti irrisolti e finora taciuti dal boss. Che oggi, a distanza di anni, potrebbero trovare riscontro nella voce di importanti personaggi finiti in manette solo di recente dopo una lunga latitanza. Personaggi che negli anni '80 hanno avuto un ruolo nella banda.

Certo, potrebbero decidere di non parlare, a sentire quel che dice: "Trent'anni che non commetto un reato, mi dicono che posso reinserirmi nel tessuto sociale, cercarmi un lavoro e affittarmi una casa, tutto ovviamente col nome di Maurizio Abbatino, 63 anni, ex boss ai domiciliari per malattia. La verità è che sono stato scaricato, tradito da uno Stato che non ha rispettato i patti". Le retromarce giudiziarie erano già toccate a Fulvio Lucioli e a Claudio Sicilia: il primo passò per pazzo e mitomane, l'altro, il Vesuviano, direttamente a miglior vita.

Il legame con Mafia Capitale

Abbatino è convinto che il trattamento riservato a lui, che mai ha ritrattato e mai ha fatto un passo indietro, al contrario di altri collaboratori della banda della Magliana, voglia far passare il messaggio che è meglio non parlare. Un messaggio che guarda caso è arrivato quando a Roma si è aperto il processo Mafia Capitale.
Ho cercato Abbatino prima di quell'inchiesta. Mi ha aspettata nel parcheggio di una stazione. Me lo sono trovato accanto mentre guardavo le facce degli uomini che mi passavano davanti. Mentre cercavo di riconoscerlo, lui era già alle mie spalle. Elegantissimo, con una giacca marrone e un foulard al posto della cravatta. Pochi giorni prima, il 3 aprile 2017, nell'aula bunker di Rebibbia, Massimo Carminati aveva fatto il suo nome. Lo aveva accusato di essere l'autore di un complotto ai suoi danni. Di aver organizzato tutto affinché il teste chiave del processo, uno skipper romano arrestato con 500 chili di cocaina, gli riconoscesse un ruolo nell'importazione di stupefacenti dal Sudamerica. Forse per questo il Freddo quel sabato, quando ci siamo incontrati la prima volta, aveva l'aria stanca.

Fuori dal programma di protezione dello Stato e davanti alla certezza di essere ancora nei pensieri di un nemico che giudica pericoloso, oltre alla sicurezza sembrava aver perso anche il sonno. Conoscevo la sua storia, era solo un assassino come gli altri, prevedibili e bugiardi. L'ho incontrato con questa convinzione e con la stessa sfrontatezza nelle domande, certa di sfuggire al dolore che da sempre mi investe quando a raccontare sono i familiari delle vittime. Ma non è soltanto questo, Abbatino. Perché la morte di un fratello e gli orrori del suo passato si sono stretti in un bagaglio pesante da portare anche per lui che era chiamato il Freddo.

Mi sono seduta di fronte a lui e ho ripercorso la sua vita, all'inizio con la sola ansia di sapere. Di farmi dire il più possibile. Perché da subito è stata l'ennesima sfida, l'ennesima ricerca di nomi e di verità che vuoi assolutamente scoprire. "Non so quante volte ho ucciso. Ma ricordo i nomi di tutte le mie vittime. La cosa strana è che non riesco a contarle", è la frase che mi ha accompagnata fino all'ultima pagina del libro, insieme alla sensazione che Abbatino possa sapere qualcos'altro. Qualcosa che non ha detto. Un segreto che non condividerà mai con nessuno. Una sensazione, soltanto questo.


(Articolo pubblicato sul n° 21 di Panorama in edicola dal 10 maggio 2018 con il titolo "I segreti del Freddo")


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Raffaella Fanelli