I ricorsi che fanno male alla scuola italiana
Le vicende del liceo Leonardo da Vinci di Trento sbalordiscono per l’insistenza nell’azione contraria a qualsiasi principio educativo e generano un precedente da dimenticare, prima che diventi un modello a cui ispirarsi
Venti giorni di ordinaria follia senza esclusione di colpi. Venti giorni da cui forse la scuola per una volta ne esce bene in compattezza e con il sostegno dell’opinione pubblica, per quanto ulteriormente indebolita, avvilita, martoriata. Proprio questo è accaduto al liceo scientifico Leonardo da Vinci di Trento, anche se probabilmente non abbiamo ancora visto l’epilogo di una storia che si ambienta a scuola ma che di educativo non ha nulla.
Ecco i fatti. Al termine dell’anno scolastico, una studentessa di quinta è risultata non ammessa all’esame di maturità a causa di cinque insufficienze, precisamente in italiano, matematica, fisica, scienze e diritto. Una situazione lacunosa diffusa e eterogenea apparentemente inappellabile, che certifica un anno andato male con la bocciatura, una eventualità sempre traumatica ma prevista dal percorso scolastico e pertanto da considerare possibile.
Dal giorno della non ammissione all’esame, però, ha avuto inizio un percorso giudiziario e di vicende in cui si sono alternati i toni della tragedia e quelli della farsa: prima il ricorso e l’ammissione con riserva, poi la bocciatura all’esame – inevitabile, viste le cinque insufficienze a giugno tra cui alcune proprio nelle materie con prova scritta alla maturità - con tanto di docenti dell’istituto presenti in massa in aula per garantire solidarietà e avvocati nei corridoi alla caccia di una novità, fosse anche un cavillo, a cui aggrapparsi per predisporre le prossime mosse.
Si tratta di una nuova pagina nera della scuola italiana, non più vista come un ente educativo, ma come un ostacolo da eludere. Un ostacolo vero e proprio, in questo caso, poiché l’ammissione con riserva all’esame era stata concessa perché la studentessa aveva già guadagnato l’ammissione all’università. Come dire, se ti fai ammettere in una facoltà universitaria, con merito ci mancherebbe, la scuola può dirsi conclusa, non potrai essere bocciato. La pericolosità di questo precedente è spaventosa e mina l’indipendenza di giudizio dell’istituzione scolastica, oltre alla sua già precaria credibilità.
Eppure non dovrebbe essere difficile capire che bisognerebbe ricorrere alla giustizia in casi rari, e gravi, di disagio, di violenza, di traumi educativi, di vessazioni, di pressioni, di mancati diritti garantiti. Invece la scuola e i suoi verdetti sono sempre più soggetti all’azione legale che, controllando la regolarità dell’apparato burocratico, capita che trovi qualcosa a cui appigliarsi per procedere e far cambiare, a torto o a ragione, diversamente da quanto stabilito in precedenza.
Questo meccanismo reiterato produce effetti collaterali nell’azione dei docenti, impauriti dai ricorsi e sempre più attenti alla burocrazia per evitare di incorrere in problemi, scansando – sbagliando – sempre più le situazioni spinose, come la restituzione di un dato reale e difficile da digerire, un insuccesso scolastico, casistica che potrebbe far mangiare il fegato, come in questo caso peraltro.
La vicenda del liceo di Trento rischia di insegnare che vale tutto sempre e comunque, perché ottenere l’ammissione alla maturità con cinque insufficienze non è altro che questo.
Inoltre, mette in contrapposizione l’operato della scuola rispetto alla giustizia, ma apre anche una frattura insanabile tra scuola e famiglia, sempre se l’azione della scuola non risulta gradita. Infine, la picconata più forte va al ruolo della scuola, ridotta a un parcheggio da cui uscire sgommando per andare altrove. Senza patente.