Matteo Salvini
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Salvini vince, ma per adesso non vuole stravincere

Il caso Aquarius. Le elezioni comunali. I rapporti di forza con Luigi Di Maio. La Lega sopravanza i 5 Stelle e nell'occupare la scena e nel portare a casa i risultati maggiori. Ora dovrà mantenere la sua rendita di posizione senza scossoni per il governo

Primo punto: la Lega sta sgonfiando il Movimento 5 Stelle. Secondo: Matteo Salvini sta bruciando Luigi Di Maio. Terzo: in chiave strategica e non tattica, il Carroccio ha ancora bisogno dell'alleanza con Forza Italia. Quarto: archiviato (almeno per qualche settimana) Matteo Renzi, e riesumato Paolo Gentiloni, il Pd è tornato a respirare.

L'elettorato fluido italiano

I suddetti quattro punti erano analizzati da un po' di tempo. La loro certificazione ufficiale è arrivata con il primo turno delle Amministrative svoltesi il 10 giugno. Insomma, il voto - che ha riguardato sette milioni di elettori - pare aver già cambiato faccia al quadro politico italiano rispetto alle elezioni politiche del 4 marzo. Confermando una tendenza ormai chiara: negli ultimi anni l'elettorato è più fluido che mai, sono ormai centinaia di migliaia gli italiani che decidono all'ultimo istante per chi votare. È successo anche questa volta. In contemporanea con un avvenimento dirompente. Il voto del 10 giugno ha infatti coinciso col Caso Aquarius, la nave di immigrati respinta da Salvini e infine accettata dalla Spagna del neo premier Pedro Sánchez.

I migliori sondaggisti, da Alessandra Ghisleri a Roberto Weber, stanno studiando l'effetto che l'evento ha prodotto sull'elettorato. E dalle prime rilevazioni già emerge che l'elettorato ha apprezzato. D'altronde uno studio precedente, firmato da Nando Pagnocelli il 9 giugno, aveva decretato che il provvedimento prioritario chiesto dal 37 per cento degli italiani - di ogni colore politico - riguarda le "misure di controllo dei flussi immigratori e di contrasto alla clandestinità". Soltanto dopo, e ben staccate nelle preferenze, arrivano altre richieste (modifiche alla legge Fornero e al Jobs act, flat tax e reddito di cittadinanza).

Dunque, alle Amministrative i 5 Stelle hanno pagato alla Lega la loro subalternità programmatica sugli immigrati. La rappresentazione plastica si è avuta con il ministro pentastellato per le Infrastrutture, Danilo Toninelli, costretto ad assecondare i desiderata imposti da Salvini, oltre che dall'atteggiamento di Giuseppe Conte. Sull'Aquarius il presidente del Consiglio dei 5 Stelle non ha toccato palla, se non per ringraziare Sánchez. Insomma, mentre il leader leghista respingeva, il premier spagnolo accoglieva, Conte ringraziava. E Di Maio? Cosa faceva il secondo vice premier ? Ha balbettato qualche frase a effetto, assecondando pure lui, di fatto, le politiche di Salvini.

Il risultato? Appunto, le elezioni del 10 giugno. Mentre il capo politico del M5s parlava di "Davide che continua a crescere contro Golia", persino un grande conoscitore del movimento, ovvero il direttore del Fatto quotidiano Marco Travaglio, sottolineava lo "stato di salute pessimo dei 5 Stelle", spariti anche "nei due municipi romani tornati alle urne". Così, secondo lui, il trionfo del 4 marzo 2018 "rischia di diventare come quello di Renzi alle Europee del 2014: un fatto unico e irripetibile".

Movimento 5 Stelle senza identità ben definita

Il dato politico, infatti, è evidentissimo: per ora comanda la Lega. E lo fa grazie anche a un recente studio socio-antropologico, finora riservatissimo, custodito nella sede di via Bellerio. Una fonte leghista rivela a Panorama che "rappresenta un po’ l’uovo di Colombo. Sostiene che un elettore, tra l’originale e la copia, sceglie sempre l’originale. E sulle politiche anti-immigrati, ma anche sui Rom e la flat tax, la Lega ha evidentemente la primogenitura. Chi ci imita è destinato a perdere. Di contro, noi mai e poi mai ci dobbiamo immischiare con il reddito di cittadinanza. Sarebbe una catastrofe".

Di conseguenza, sul tema migranti, ai 5 Stelle servirebbe darsi un’identità propria e ben definita, altrimenti si alimenta l’effetto collaterale seguente, segnalato sempre dai sondaggisti: gli elettori di destra che alle Politiche hanno votato 5 Stelle, il 10 giugno hanno scelto in larga parte Salvini; quelli di sinistra, che il 4 marzo hanno punito il Partito democratico, alle Comunali o si sono astenuti oppure, peggio ancora per i grillini, hanno nuovamente scelto il Pd. Volendo sintetizzare: il movimento, dichiaratosi né di destra né di sinistra, è apparso né carne né pesce.

Il malumore dentro i 5 Stelle

Tra l'altro, dentro i 5 Stelle, il malumore è enorme. E non soltanto quello dichiarato apertamente dal sindaco di Livorno Filippo Nogarin, dalla senatrice Paola Nugnes e dalla consigliera regionale del Piemonte Francesca Frediani. No, tutta l'ala "dura e pura", che fa capo al presidente della Camera Roberto Fico, è sul piede di guerra. Chiede maggiore attenzione ai diritti umani e meno alle poltrone di governo.

Più in generale, il movimento sembra essere tornato ai primi giorni della precedente legislatura, quando deputati e senatori tramavano contro i leader. Stavolta, una pattuglia di mezza dozzina di parlamentari è stata incrociata martedì 12 giugno dalle parti del Ghetto, a Roma, da un collaboratore di Panorama. È spuntata, off the records, una critica pesante a Di Maio: il capo politico sa di essere all'ultimo giro di giostra per il limite dei due mandati imposti da Beppe Grillo. E perciò è disponibile ad assecondare Salvini (quasi) a ogni costo pur di mantenere il proprio ruolo.

L'insofferenza dei leghisti e la strategia di Salvini

Di contro, nel Carroccio c'è chi tenta di spingere da subito il ministro dell'Interno a umiliare i 5 Stelle. Per esempio, è nota l'insofferenza degli economisti leghisti, Alberto Bagnai e Claudio Borghi, verso il ministro dell'Economia Giovanni Tria, considerato troppo morbido verso l'euro e l'Europa. Bagnai e Borghi si guardano bene dal chiederne la testa, sarebbe troppo presto, il governo è appena nato. Puntano però a commissariarlo insediandosi come sottosegretari per poi praticare le politiche economiche a loro tanto care (meno ai grillini).

E così altri, nella Lega, puntano su Armando Siri quale nuovo viceministro per le Comunicazioni, un posto che invece i 5 Stelle chiedono a gran voce per poter almeno nominalmente combattere la battaglia sul conflitto d'interessi ("Tanto la Lega non farà mai passare una legge in termini punitivi per Silvio Berlusconi", dicono da via Bellerio).
Tuttavia Salvini non ha alcuna intenzione di forzare la mano con i 5 Stelle. Da bravissimo stratega qual è, sa che gli conviene sempre vincere ma mai stravincere. Sa di portare su di sé e sulla Lega la responsabilità di deleghe che possono regalargli un'autostrada di voti, a partire dall'immigrazione.

Mentre su Di Maio e sul M5s sono caduti i problemi maggiori, a partire dal Lavoro. Per questo non farà alcuna forzatura sui sottosegretari e sulla delega alle Comunicazioni. Quanto a Forza Italia, Salvini non pensa affatto di staccarsi da Berlusconi, come pure vanno chiedendogli i giovani eletti nordisti. Non è affetto il suo, è strategia. Per intenderci, le Comunali segnalano come nel Sud Italia gli azzurri siano un partito ancora in salute, mentre la Lega non riesce ancora a sfondare né, a volte, nemmeno a esistere. In prospettiva futura, quindi, il vicepremier immagina nel Mezzogiorno (e non solo) un Carroccio alleato di Berlusconi e un Partito democratico in ripresa (se derenzizzato) e capace di strappare molti voti a un M5s ridimensionato. Perché una cosa è certa: anche mentre fa il comandante del Viminale, Salvini non smette di pensare alla nave delle elezioni. Anche quando questa si chiama Aquarius.


(Articolo pubblicato sul n° 26 di Panorama in edicola dal 14 giugno 2018 con il titolo "Salvini vince, ma per adesso non vuole stravincere")


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Carlo Puca