Beni culturali a pezzi. In Italia la crisi colpisce anche i monumenti
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Beni culturali a pezzi. In Italia la crisi colpisce anche i monumenti

Dal crollo del muro del Pincio al degrado della Reggia di Caserta: 'monumenti' all'incuria

Nell’arena dove i Borboni allenavano i cavalli, i migliori dell’Europa del Settecento, ora si assiste a una danza macabra di saccheggiatori, vandali, topi affamati. E, allo sfregio da parte dei ladri, si aggiunge quello della pubblica amministrazione che ha lasciato che la Reggia di Caserta da gioiello architettonico diventasse  un monumento al declino.

E poi c’è l’Appia Antica: sgretolata, sporca, pericolante. Quasi come le rovine di Pompei: ostaggio di cani randagi, dalle mura intrise di muffa e umidità che cadono a pezzi. E ancora il Palazzo Reale di Napoli, la Fontana di Trevi e le Mura Aurealiane a Roma, i Palazzi storici di Firenze e i tesori nascosti di Milano: un intero patrimonio artistico vilipeso, svenduto, dimenticato. E pronto a crollare – nel vero senso della parola - sotto il peso dell’incuria e della mancanza di soldi.

L’ultimo caso nella Capitale: il rivestimento di un muro del Pincio, opera del Valadier, si è sgretolato su se stesso in via Gabriele D’Annunzio. E mentre la sovrintendenza ai Beni Culturali fa il conto con cause e polemiche, l’amministrazione locale arriva al nocciolo della questione: soldi, per la ristrutturazione, non ce ne sono. A causa della crisi economica il Ministero dei Beni Culturali ha subito la riduzione del proprio budget di un terzo (1,42 miliardi di euro) negli ultimi tre anni. Nonostante il patrimonio artistico italiano, “l’oro nero”, come lo chiama qualcuno, abbia un valore stimato di decine di miliardi di euro nessuno ritiene importante investire per preservare questa sorta di 'tesoretto' che arriva dal passato. Su un totale di 890 luoghi simbolici scelti in tutto il mondo, infatti, l’Italia ne detiene 44, cioè 1 su 20. Dai 4.739 musei pubblici e privati, 62.128 archivi, 59.910 beni archeologici e architettonici, fino alle 1.144 aree naturali e protette.

Ma la lista di monumenti storici maltrattati, lasciati in balia del degrado e della rovina, è lunga e si srotola per tutta la Penisola. A cominciare – appunto – dalla Reggia di Carditello, Caserta. Lì, dove le aquile alla base dell'obelisco diventano preda ambita dai saccheggiatori e i giardini sono discariche a cielo aperto (persino di amianto), il valzer di responsabilità e “scaricabarili” da parte dell’amministrazione pubblica (priva di fondi per il restauro) non ha sortito altro effetto che quello di  cederla all’asta. Prezzo di partenza: 11 milioni e 250mila euro. Nessuno, però, finora, si è fatto avanti. E il gioiello architettonico rischia di essere svenduto come un cimelio qualunque.

Ci si sposta poco più a Sud – sempre in Campania – e la situazione non cambia. Nelle rovine di Pompei, dove transitano almeno tre milioni di turisti all’anno, regnano degrado e disorganizzazione. L’ultimo crollo risale a un anno fa. E il sito storico è ostaggio di cani randagi, il cui solo censimento sarebbe costato 103mila euro. Uno scempio documentato anche dal quotidiano francese Le Monde che non più di pochi mesi fa titolava a due pagine: Pompei è ancora competenza dell’Italia?

Stessa musica nella vicina Napoli. Dove, prima fra tutte, spicca l’incuria del Palazzo Reale. Intonaci cadenti, antico mobilio coperto da una coltre di polvere, finestre rotte, infiltrazioni d'acqua, giardini reali pieni di immondizia e diventati ricovero per randagi e senzatetto: il palazzo simbolo della città partenopea, nel cuore della metropoli e a un passo dal golfo che il mondo intero ci invidia, è totalmente abbandonato a se stesso.

Ma gli esempi sono tanti: dai danni alle statue dei leoni di piazza del Plebiscito, imbrattate da scritte e vernice, fino all'edicola sacra di San Gennaro sul sagrato dell'antica chiesa di Santa Caterina a Formiello (patrimonio dell’Unesco),  “ferita” dalle bombolette spay.

La Capitale non ne è - per l'appunto - immune. Qui, ad andare in pezzi, sono soprattutto i monumenti. Oltre alle mura del Pincio a 'soffrire' di più sono il Colosseo e la Fontana di Trevi. Il distacco di fregi di piccole dimensioni – nella vasca progettata nel 1731 dall’architetto Nicola Salvi - sono quasi all’ordine del giorno. Un brutto colpo che ricade sotto la responsabilità del Comune: Roma, infatti, è l’unica città dotata di doppia autorità per i beni culturali, una statale, chiamata Soprintendenza, e una comunale, detta Sovrintendenza.

Salendo lungo la Penisola, si arriva a Firenze. Anche qui, nella città che diede i natali al padre della lingua italiana, Dante Alighieri, la situazione non cambia. A esserne colpito è il centro storico con i suoi Palazzi medievali. Come Palazzo dei Catellini da Castiglione, in pessime condizioni di conservazione. O Palazzo Strozzi, dove è tutt'ora visibile il "Cornicione del Cronaca" pericolante con le transennature nelle tre porte di accesso per il pericolo di caduta calcinacci. E risale al 2009 l’allagamento, a causa di un tubo rotto, della Biblioteca Nazionale.

Neppure l’operosa Milano è graziata dall’incuria del patrimonio artistico. Monumenti in rovina, arredo urbano a pezzi o privo di criterio, discariche a cielo aperto in mezzo ai palazzi. Da Città Studi a Porta Romana e dintorni, passando per piazzale Lodi.

Ma cosa si può fare, allora, per preservare i siti storici prima che sia troppo tardi o per salvare quelli ormai a pezzi? Come nel Rinascimento, ai Comuni non resta che affidarsi ai privati, moderni mecenati in grado di finanziare i lavori di restauro. E moltissime città d’arte, da Roma, Milano, fino a Venezia, hanno già preso l'iniziativa, rivolgendosi a grosse multinazionali, come la Coca Cola ed H&M. Concedendo in cambio alle agenzie di rivestire fino al 50 % della superficie dell’edificio con enormi pannelli pubblicitari per tutta la durata dei lavori. E se a Roma il patron di Tod’s Diego Della Valle si è aggiudicato i lavori di restauro del Colosseo con un’offerta di 25 milioni di euro, e a Venezia nel 2008 il gruppo Benetton ha acquistato il Fondaco dei Tedeschi (un palazzo del 1500, ex sede dei commercianti tedeschi a Venezia) per trasformarlo in un centro commerciale, il rischio è che si travalichi il limite. Un esempio su tutti: il palazzo Ducale della “Serenissima” avvolto da un enorme pannello pubblicitario della Coca Cola, che nascondeva interamente l’edificio rendendolo irriconoscibile. Di fronte alle proteste di turisti e cittadini, la risposta dell’amministrazione locale è stata secca ma disarmante: “Noi non abbiamo soldi. Gli sponsor sì”.

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Arianna Giunti