Maltempo e alluvioni: tutti i numeri di un disastro
Due morti e un disperso nel piacentino. Ma in Italia sono 6.250 le scuole e 550 gli ospedali su aree a rischio. Le soluzioni? Non le vogliamo trovare
Due morti e un disperso è il bilancio provvisorio dell’alluvione (qui tutte le notizie e le foto) che nelle scorse ore ha devastato Valtrebbia e Valnure, nel piacentino.
Non saranno gli ultimi, arriveranno altre ondate di piena e l’acqua o la terra delle frane si porteranno via ancora tante vite umane. Succederà nei prossimi mesi e negli anni a venire. Dopo la Liguria, la Campania, la Sicilia, la Sardegna, forse toccherà a un’altra zona d’Italia. Chissà.
Di fronte ad affermazioni come queste, la reazione tipica di noi italiani è quella di toccare ferro, riparare nella superstizione o additare al pubblico ludibrio la Cassandra di turno. Poi arriva il momento del lutto, del cordoglio, delle promesse e dell’oblio, fino a nuova tragedia. E si ricomincia: altro giro, altra corsa.
Invece basterebbe guardare in faccia la realtà, fra l’altro ben rappresentata in innumerevoli e autorevoli studi realizzati da fior di studiosi che nel nostro paese non mancano.
L’Italia è un paese fragile. Il 10 per cento del territorio è esposto a rischio idrogeologico, una superficie che interessa l’89 per cento dei comuni e sulla quale sorgono 6.250 scuole, 550 ospedali, 46 mila industrie, 460 mila attività commerciali. Le persone che vivono su aree a rischio sono 5 milioni 700 mila. Si calcolano 706 punti critici lungo i 7 mila chilometri di rete autostradale, 1.806 nei 16 mila chilometri di rete ferroviaria e oltre 16 mila beni culturali a rischio.
È chiaro di cosa stiamo parlando? Questa è la terra che abbiamo sotto i piedi. Dovremmo guardare in basso dunque, piuttosto che continuare a rivolgere la testa verso il cielo per osservare la pioggia e invocare un destino favorevole. Anche perché gli studi dicono che le cause del dissesto idrogeologico vanno individuate soltanto per il 10-20 per cento nel clima, tutto il resto è dovuto all’uso improprio e scellerato del territorio.
Ecco il punto. L’Italia è il paese con il tasso di natalità tra i più bassi d’Europa, ma in quello di consumo del territorio non ci batte quasi nessuno. Tanto per avere un'idea, la Liguria negli ultimi 20 anni ha inghiottito il 45 per cento della superficie libera dal cemento. Dal 2001 al 2006 il Veneto ha costruito abitazioni per il triplo del numero dei suoi abitanti. La sola provincia di Vicenza, nella seconda metà del Novecento ha visto crescere la sua popolazione del 32 per cento, mentre la superficie urbanizzata è aumentata del 324 per cento. Dal 1954 a oggi, in tutta Italia si è consumato 8 metri quadrati di suolo al secondo, 70 ettari al giorno, pari a cento campi di calcio. Tutto ciò anche grazie ai condoni edilizi, in media uno ogni 10 anni (1983, 1994, 2003, 2014), che hanno sanato 4 milioni 600 mila abusi (dal 1948 a oggi) per un totale di 800 milioni di metri cubi di volumi edificati. La divisione ci consegna una cifra impietosa: 203 abusi al giorno.
Quanto ci è costato tutto ciò? Negli ultimi cento anni si contano oltre 4 mila frane e alluvioni per un totale di 12.600 vittime e 700 mila sfollati. Soltanto nel 2013, 351 eventi dannosi, 26 morti, 563 feriti, 5.300 persone che hanno dovuto abbandonare anche solo temporaneamente le loro case. I costi non sono soltanto in termini di vite umane ma anche economici, si calcola che i danni provocati da frane, alluvione, e terremoti, nel periodo dal 1944 al 2012 ammonti a 242,5 miliardi di euro, circa 3,5 miliardi l’anno.
Vite umane e soldi, abbiamo pagato e continuiamo a pagare un tributo elevatissimo. Eppure basterebbe tutto sommato poco: tornando agli studi realizzati dai ricercatori italiani, bisognerebbe mettere subito sul piatto 11 miliardi di euro da impiegare nelle aree a rischio classificato "estremamente elevato" e altri fondi per un totale di 44 miliardi da spendere nei prossimi 15 anni in 11 mila interventi riconosciuti essenziali dalla autorità di bacino per mettere in ragionevole sicurezza il territorio.
I problemi sono noti, le soluzioni pure. Si tratta soltanto di decidere qual è la priorità. Vivere o morire.