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Madrid vs Barcellona, l'eredità del franchismo all'origine della crisi

A oltre 40 anni dalla fine del regime, la transizione alla democrazia è ancora un tema centrale, anche nello scontro tra Spagna e Catalogna

Forse il presidente della Generalitat catalana s’illude di essere riuscito a rimandare la palla nel campo avversario con la scelta di non indire nuove elezioni per mancanza di garanzie da parte di Madrid, ma una certezza può già averla.

Carles Puigdemont e i suoi sono infatti riusciti in un’impresa quasi impossibile: far apparire gli eredi politico-culturali del franchismo come i salvatori della costituzione della Spagna repubblicana. Da non credere. Sarà anche una contraddizione in termini, sarà anche un assurdo logico, ma questo è il dato principale che emerge dal cortocircuito politico iberico.

Certo la tattica dei vertici di Barcellona ora è chiara, e consiste nell’addossare la colpa dell’escalation a Madrid, la capitale autoritaria e radiale (dalla quale tutto emana e alla quale tutto confluisce, treni inclusi) rivelatasi insensibile alla “questione catalana” e pronta ad attivare l’ormai celebre articolo 155 nella sua lettura più intransigente.

Scontro di modelli e ideologie

In realtà in Spagna non esiste, com’è noto, solo il tema catalano. Quello che è stato definito il modello plurinazionale, al quale si richiama per prima la specificità dei Paesi Baschi, è un cavallo di battaglia storico delle sinistre iberiche, al quale si contrappone l’idea di Spagna mononazionale che è invece la visione storica delle destre falangiste e popolari.

Insomma, per la Spagna, a oltre 40 anni dalla fine del franchismo, è il momento di un bilancio onesto rispetto al tema della transizione alla democrazia. E il bilancio non è del tutto positivo.

La fuga in avanti impartita dalla Generalitat catalana non solo permette a Rajoy e al Partito Popolare di atteggiarsi, come detto, a difensori della Carta costituzionale, ma permette loro anche di allontanare i riflettori dall’attuale crisi sistemica che attanaglia ormai da anni il Paese.

In altre parole, il fallimento della transizione è in questa incapacità del sistema-Paese Spagna di uscire dalla stagnazione (l’attuale crisi non è molto diversa, per numeri e caratteristiche, da quella greca) dopo la lunga stagione che dalla monarchia post-franchista ha visto prima i socialisti e poi il popolari al potere.

La Transizione con la maiuscola ci appare quindi come il momento fondamentale della Spagna moderna e comprenderne il significato significa comprendere la natura profonda dello scontro attuale, al di là delle strumentalizzazioni della propaganda attiva sui due fronti.

La Transizione sullo sfondo della crisi economica

La Transizione, insomma, non fu quel modello neutro e imparziale che in molti vogliono accreditare. Fu anzi un impianto politicamente connotato dalla visione mononazionale delle destre post-franchiste riunitesi nella Alianza Popular, divenuta poi il Partido Popular oggi guidato da Rajoy. In questa prospettiva, la Catalogna, alla quale la Carta riconosce un’ampia sussidiarietà, non di meno dovrà sempre rimanere vincolata al patto di fedeltà con Madrid.

A questo punto, tuttavia, la crisi economica dell’Europa e della sua moneta unica ha illuso i vertici catalani, e con essi la vasta classe media della regione colpita dalla peggioramento del proprio status, che il giorno dell’indipendenza (e del benessere ritrovato) fosse più vicino.

Quello che poteva apparire come il momento favorevole per dare la spallata a Madrid, appunto a un sistema centralista pensato quaranta anni fa e con sacche di corruzione che macchiano addirittura la Corona, si sta trasformando nel peggiore.

Madrid e i Popolari al potere (così come la monarchia) hanno dimostrato di saper reggere alle accuse d’immobilismo politico, di corruzione e di ascendenze falangiste; aggiungere alla lista la sospensione dell’autonomia catalana tramite l’art. 155 non rischia di rovinargli la reputazione, dal momento che la spregiudicatezza di Puigdemont sta al contrario regalando loro l’immagine del ponderato baluardo della Costituzione.

Se il confronto in atto è una sfida tra due debolezze, chi ha più da perdere è certo la Catalogna, la quale dovrà trovare argomenti validi per convincere il cartello di tutte le sinistre iberiche, PSOE e Podemos, che la Transizione non è davvero finita e il suo completamento potrebbe essere alla base di una nuova Spagna plurinazionale finalmente in grado di superare il cosiddetto franchismo sociologico.

Se invece Barcellona darà l’impressione di voler andare da sola per ragioni egoistiche, in questo tradendo l’identità di tutte le anime identitarie spagnole e promovendo solo quella catalana, andrà in contro ad un’amara sconfitta.

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Alessandro Turci

Alessandro Turci (Sanremo 1970) è documentarista freelance e senior analyst presso Aspenia dove si occupa di politica estera

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