Ma andare a Londra non sarà così difficile
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Ma andare a Londra non sarà così difficile

Sulle rive del Tamigi, il grosso dei turisti che invade Londra si ferma alla London Eye, la gigantesca ruota panoramica. Solo una manciata, i più intellettuali e sofisticati, proseguono oltre, lungo la passeggiata che costeggia la Southbank, la riva meridionale, arrivano fino al Globe Theatre. Per gli amanti del teatro è come essere arrivati in Paradiso. Il Globe è la riproduzione fedele del teatro originale costruito nel 1600 dove William Shakespeare portava in scena i suoi drammi, peraltro non molto distante da lì: l'edificio originale era in Park Street. Si sta in piedi, all'aperto (il tetto non copre il palcoscenico) come ai tempi antichi, sole o pioggia. Bisogna essere dei veri amanti di Shakespeare.

Per capire cosa succederà il 31 gennaio, fatidico giorno in cui la Gran Bretagna uscirà dall'Unione europea, non c'è niente di più calzante che prendere a prestito il titolo di una delle opere più famose del Bardo, spesso in cartellone al Globe: «Much ado about nothing». Tanto rumore per nulla. Tre anni di clamore inutile, di propaganda sulla rovina del Paese, di euro-tifosi incatenati a Westminster che urlavano contro la scellerata decisione di uscire dalla Ue. E poi? E poi quando la mattina del 1° febbraio, Londra e l'Inghilterra si sveglieranno, dopo quasi 30 anni, fuori dall'abbraccio stritolante del pitone Bruxelles, la gente si accorgerà che è tutto come il giorno prima.

I turisti europei continueranno a salire sulla «panoramica» del London Eye, i più acculturati, gli stessi che si strappano i capelli a pagare per vedere le opere di Shakespeare al freddo e sotto la pioggia, che fa tanto radical chic. All'aeroporto di Heathrow gli aerei atterreranno come ogni giorno. Alla Locanda Locatelli, il ristorante preferito dal principe Carlo, continueranno a servire tagliolini al tartufo bianco di Alba e di Gubbio. Da Selfridge's i ricchi arabi e cinesi spenderanno una fortuna nello shopping di Prada, Gucci e Moncler. «Business as usual» era il cartello che a Londra, i negozi esponevano sotto i bombardamenti degli aerei tedeschi: figurarsi se gli inglesi hanno paura oggi.

Dopo aver rinviato due volte la Brexit (il 30 giugno e il 31 ottobre dell'anno scorso), stavolta il Regno Unito esce per davvero. Ma la vera notizia è che alla fine del mese non succederà niente: nessuna Apocalisse. Per mesi, anzi anni, è stata montata una feroce campagna mediatica. La motivazione più banale è che il 31 gennaio nulla cambia perché scatta solo l'inizio del ritiro della Gran Bretagna dalla Ue. Dal primo febbraio al 31 dicembre Londra dovrà negoziare con Bruxelles.

La Brexit vera e propria ci sarà solo a fine 2020, e dopo mesi di negoziati che la grancassa filo-Ue già descrive come impossibili e difficili ma dove in realtà tutti, la Ue in primis, avranno l'interesse a chiuderli entro la scadenza. Due gli scenari possibili: Boris Johnson riesce a negoziare tutto, cosa comunque non facile in pochi mesi, visto che la Ue è un baraccone burocratico che ha impiegato cinque anni a ratificare un accordo commerciale col Canada. Se non ci riesce, potrebbe scattare il temuto «No deal», che porterebbe alla Hard Brexit senza accordo.



Ma, di nuovo, nessuno ha davvero voglia di un salto nel buio. Il premier britannico agita lo spettro del «No deal» come arma negoziale. Da dicembre, andare a Londra non sarà più difficile che andare a New York, dove ogni anno milioni di italiani arrivano in vacanza senza problemi o senza perdere il sonno la notte e senza urlare contro il presunto suicidio di massa di un Paese. Londra è da secoli una metropoli globale, dove una grossa di fetta di capitali e persone arriva già da «fuori Ue» e ha bisogno di un visto. Per i tanti studenti, gli adolescenti che le famiglie italiane spediscono d'estate a studiare l'inglese e per i turisti non cambierà nulla. Basterà ancora la carta di identità per spostarsi; nella peggiore delle ipotesi servirà un passaporto, il cui costo non ha certo mai fermato nessuno dal fare un viaggio.

Le cose cambieranno, invece, per un cittadino Ue che vorrà andare a vivere e lavorare in Gran Bretagna. Sarà come un immigrato proveniente da qualsiasi altro Paese straniero del mondo: avrà bisogno di un visto. Anche qui, grandi polemiche. Ma già oggi, e da sempre, migliaia di italiani vanno a vivere negli Stati Uniti, hanno bisogno di un visto e nessuno si lamenta del fatto che ci voglia. Nella City, tra le banche e nel mondo della finanza quello che dovrebbe in teoria subire i contraccolpi più pesanti, preoccupa di più l'economia che rallenta e non la Brexit: la Banca d'Inghilterra ha lanciato un allarme sulla debolezza della locomotiva inglese. Colpa appunto della Brexit, subito urla la macchina della propaganda.

Ma l'uscita non c'entra. Anche dentro al presunto Nirvana della Ue, tutti i Paesi continentali sono in affanno: è una dinamica trasversale a tutte le economie mature. Anzi, a differenza dell'Italia, il Regno Unito può vantare la piena occupazione: i disoccupati sono al 3,4 per cento, il livello più basso dagli anni Settanta; mentre il Belpaese esulta perché i senza lavoro sono scesi al 9. Insospettabilmente, c'è vita fuori dalla Ue. Chi lo spiega ai fanatici adoratori della divinità laica chiamata Bruxelles?

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Alessandro Fantechi