Ma all'estero chi crederà più all'Italia?
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Ma all'estero chi crederà più all'Italia?

Una politica estera non credibile, confusa e opaca ci rende inaffidabili. Mentre davanti all'Isis bisognerebbe tornare allo spirito di Pratica di mare

In politica estera la credibilità di uno Stato si misura sulla capacità di essere conseguente rispetto alle decisioni prese. Si tratta di un concetto elementare, quasi ovvio direi. Purtroppo però viviamo un periodo storico che difetta in radice di questo presupposto. E non è un problema dell’Italia, o meglio soltanto dell’Italia. Riguarda infatti in prima battuta chi dovrebbe avere capacità di essere guida sullo scacchiere internazionale. Non è l’Italia, e non ce ne voglia Matteo Renzi.

Oggi il più crudele e barbaro degli eserciti avanza nel mondo in modo spietato, a macchia di leopardo, con il dichiarato scopo di annientare la civiltà occidentale. Questo esercito non ha ancora incontrato sul campo un vero blocco contrapposto: ci sono stati "resistenti", aiutati qua e là con armi e munizioni, qualche azione di disturbo dal cielo. Ma nulla di più.

Bisogna purtroppo prenderne atto: contro i tagliagola dell’Isis viviamo uno stato di belligeranza a giorni alterni e assistiamo ad alambiccamenti sul ruolo da assegnare ad Assad. Non manca l’azione da parte dell’Occidente ma, più tragicamente, manca la pre-condizione: la visione d’insieme.

Le Nazioni Unite non sono capaci di fare sintesi (basta vedere il fallimento in Libia), l’America ha abdicato al ruolo dopo i disastri in Medio Oriente, la Russia si è arroccata. Quando blocchi così importanti non riescono a trovare un punto di mediazione dovrebbero entrare in scena figure "terze", capaci per la loro autorevolezza di rimetterle al tavolo.

Successe nel maggio 2002, dopo gli attentati negli Stati Uniti. E successe a Pratica di Mare, a pochi chilometri da Roma. Nel nome della irrinunciabile e comune lotta al terrorismo, la Russia divenne partner della Nato, un ossimoro diplomatico se si pensa che l’alleanza atlantica si era cementata nel 1949 proprio per arginare qualsiasi minaccia proveniente dalla ex Urss. Eppure i nemici divennero partner, la "guerra fredda" lasciò spazio a una coalizione che legava le nazioni da Vancouver a Vladivostock per combattere i fanatici di al-Qaeda.

Artefici di quel successo storico furono l’Italia e l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (il quale ebbe un ruolo definito "decisivo" da tutte le parti in causa), che seppero far dialogare George W. Bush e Vladimir Putin. È necessario più che mai, 13 anni dopo, tornare allo spirito di Pratica di Mare. La minaccia è ancora più grave rispetto al 2002, il salto di qualità dei barbari prevede non soltanto atti di terrorismo come allora ma, ripeto e sottolineo, l’annientamento sistematico di ogni forma di civiltà.

Che fa l’Italia? Un giorno condanna i bombardamenti aerei, quello successivo si candida a guidare una coalizione militare in Libia, quello successivo ancora "immagina" di bombardare (ma solo un po’) le milizie dell’Isis. È il frutto di una politica estera inevitabilmente non credibile, confusa e opaca.

Come nel caso dei riscatti pagati ai connazionali rapiti. L’ultima vicenda riguarda gli 11 milioni di euro che sarebbero stati versati dallo Stato italiano ai tagliagole che in Siria presero in ostaggio le due cooperanti Vanessa Marzullo e Greta Ramelli. Il governo ha sempre negato di aver pagato anche di fronte a numerose inchieste giornalistiche (inglesi, arabe, italiane) che dimostravano il contrario. Ora un tribunale islamico ha condannato un terrorista, accusato di essersi intascato 5 degli 11 milioni. E pensate che possiamo avere un briciolo di credibilità?

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Giorgio Mulè