M5S senza democrazia, come in altri partiti
La denuncia del grillino Favia è la scoperta dell'acqua calda. E chiediamo: nel Pd anti-Renzi c'è democrazia? - chi è Casaleggio - l'intervista a Favia -
No, davvero. Questa roba del giornalismo fatto col microfono nascosto, con la trappola del caffè, con la telecamere che continuano a riprendere all’insaputa dell’intervistato nei momenti in cui si apre una parentesi e si confidano cose che non si vogliono dichiarare in video, a me non piace. Sì, certo, è una “bomba”, uno “scoop” di Piazzapulita (su La7), l’accusa di un consigliere regionale del Movimento 5 Stelle, questo gruppo semi-virtuale ma con volti e voti veri, modernamente talebano, invasato degli eccessi di un comico fiancheggiato e forse diretto da un guru della comunicazione online. Una storia fantapolitica, alla Orwell, non una proposta di governo per l’Italia in una delle fasi più delicate della sua storia.
Ma in fondo cosa dice il giovane e ingenuo consigliere emiliano del M5S Giovanni Favia? Che non c’è democrazia interna perché a comandare è il duopolio Beppe Grillo-Gianroberto Casaleggio. Casaleggio, in particolare, “prende per il culo tutti perché da noi la democrazia non esiste. Grillo è un istintivo, lo conosco bene, non sarebbe mai stato in grado di pianificare una cosa del genere (il M5S). I politici, Bersani, non lo capiscono. Non hanno capito che c’è una mente freddissima molto acculturata, molto intelligente dietro, che di organizzazione, di dinamiche umane, di politica se ne intende…”. E ancora: “Casaleggio è spietato, è vendicativo. Adesso vediamo chi manda in Parlamento, perché io non ci credo alle votazioni on line, lui manda chi vuole”. Abbiamo scoperto l’acqua calda.
Nessuno poteva credere sul serio (neanche Bersani, checché ne chiacchieri Favia) che un movimento così rigidamente strutturato e costruito, che applica le più avanzate tecniche di comunicazione in Rete e sui social network, potesse davvero scaturire solo dall’improvvisazione di un comico. Favia, tramite Enrico Mentana che da Piazzapulita gli ha subito telefonato, ha fatto sapere d’aver detto quelle cose perché aveva appena litigato con Casaleggio, e che ormai la sua carriera politica è finita e lui è un uomo distrutto.
Ma importa a qualcuno, se non a qualche grillino credulone, che dentro il movimento di Grillo non vi sia democrazia, dibattito vero? C’è democrazia negli altri partiti? Guardiamo a quanto sta avvenendo in questi giorni nel Partito democratico.
Matteo Renzi, il sindaco di Firenze che ha osato sfidare l’intera nomenklatura del PD e appare oggi come l’unico potenziale anti-Grillo, deve fronteggiare la levata di scudi e gli attacchi dei vecchi (in testa D’Alema e Bersani) e dei loro giovani portaborse. Nella stanza dei bottoni, lui che rappresenta un fetta crescente di PD, non entra neppure. E in quali partiti, oggi, si può dire che vi sia “democrazia interna”?
Non è il dibattito dentro i partiti, ma il voto, l’unico possibile catalizzatore di nuovi rapporti di forza tra correnti e gruppi dirigenti. Una parte di italiani non smetterà di avere simpatia per Grillo perché Casaleggio è strapotente nel M5S o perché non c’è trasparenza nella scelta dei candidati. Gli italiani hanno simpatia per il comico proprio per la sua violenza verbale, per i suoi eccessi, per le sue reazioni viscerali e gli atteggiamenti talebani e perché no per il polso duro nella gestione insieme a Casaleggio (per inciso, quanti sanno che faccia ha?) di un movimento che si propone di fare piazza pulita (appunto) del sistema, dei “corrotti”, dei vecchi partiti.
Grillo non si sconfigge svelando i meccanismi poco democratici della sua conduzione “di partito”, ma dando spazio alla crescita di proposte nuove nel panorama dell’offerta politica. Vincerà le elezioni chi saprà trasmettere agli italiani un’idea di pulizia e rinnovamento (speriamo anche di serietà).
Insomma, la democrazia interna è un optional. Un po’ come la deontologia nel giornalismo di oggi.