L'Italia dei grandi disastri
La lentezza dell'azione nelle zone del terremoto del 2016 è il segno della paralisi del paese: disoccupazione, mancata crescita economica, vuota propaganda
Sforzarsi di guardare i fatti senza le lenti del pregiudizio significa osservare la realtà per quel che è. Se si vuol ricorrere a una parola impegnativa, la fatica è quella di raccontare la verità. E ci sono sul tappeto diverse questioni che obbligano a dire la verità.
È un fatto che l'Italia si conferma ultima in Europa (sia a livello di Eurozona sia rispetto all'intera Unione europea) per il tasso di crescita e che la media Ue doppia quella italiana.
È un fatto che questo dato ci condanna a combattere una disoccupazione che rimane, in particolare sul versante giovanile, a livelli inaccettabili.
Così come è un fatto che il macigno del debito pubblico non accenna a diminuire ma continua ad aggiornare i suoi record negativi: l'ultimo certificato pochi giorni fa da Bankitalia è di 2.260 miliardi di euro, in aumento di 20 miliardi sul mese precedente. Fin qui è macroeconomia, anche se gli effetti sono poi percepiti da ognuno di noi nella vita quotidiana.
È però innegabile che la semplice osservazione di questi numeri spinge ad affermare che le ricette messe in campo su crescita, disoccupazione e diminuzione del debito pubblico si sono rivelate fallimentari.
Dai numeri della finanza pubblica scendiamo sul terreno della realtà. Andiamo nelle regioni devastate dal terremoto tra agosto e ottobre 2016. Fino a oggi scandiamo il tempo con la consegna delle "casette" agli sfollati pomposamente chiamate Sae e cioè Soluzioni abitative per l'emergenza.
Mai acronimo si rivelò più disgraziato perché, limitandoci a Norcia, dopo sette mesi dall'inizio dell'emergenza la "soluzione" è arrivata solo per 100 famiglie su 600 che aspettano.
In provincia di Macerata sta per esplodere uno scandalo annunciato: 192 terremotati dovranno lasciare la struttura che li ospita per far spazio ai turisti e nessuno sa dove finiranno.
Si vive nell'angoscia e c'è chi a 58 anni, depresso perché rimasto senza tetto e in attesa di una stalla peri suoi animali che non arrivava, si è impiccato. È successo il 20 maggio, alla vigilia della manifestazione delle "magliette gialle" indetta dal Partito democratico nelle zone del sisma.
Sui telegiornali non ne avete visto traccia perché si è trattato di un clamoroso autogol certificato dall'assenza del promotore della manifestazione, Matteo Renzi: non si è visto, non ha inviato un video, nonè intervenuto in collegamento magari con l'amato Facebook.
L'uomo che dice di metterci la faccia è rimasto a casa "indisposto" e non ha dato alcuna giustificazione della sua assenza. Chi vive e frequenta quei luoghi sa che mai "indisposizione" si rivelò più opportuna per evitare di subire una clamorosa protesta.
Perché è davvero intollerabile constatare che, a pochi mesi dal primo anniversario del terremoto, non siano state rimosse neppure le macerie e che ricostruzione fa rima con utopia.
Nell'Italia dei grandi disastri trovano spazio la gestione dell'Alitalia e quella dell'Ilva senza dimenticare la tragicommedia della Rai e il disordine sull'immigrazione con l'incubo di sapere che anche noi siamo nel mirino del terrorismo.
Fatto lo scatto di maturità di non considerare gufo chi osa guardare la realtà per quel che è, rimane un'amara riflessione: abbiamo sprecato del tempo e questo ha provocato e provoca drammi e tragedie. È ora di fermare le lancette della propaganda mentre si parla di elezioni anticipate in autunno.
Ecco, dopo aver buttato al macero il 2016 per inseguire la chimera del referendum costituzionale, non si ripeta l'errore adesso: nell'Italia dei grandi disastri problemi non aspettano, marciscono