Mamma neonato parto
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L'Italia dei figli illegittimi

Nel paese in cui un padre su dieci cresce pargoli non suoi, aumenta il ricorso all'esame del dna

Oggi si parla dei Revelli, che forse dovrebbero chiamarsi Caracciolo perché il padre che li ha cresciuti non è quello che li ha concepiti. Si parla anche di Vittorio Sgarbi e dei figli che è stato costretto a riconoscere.

Prima era toccato a Vasco Rossi e Diego Armando Maradona, obbligati a sottoporsi al test del dna per stabilire se erano davvero i padri dei loro aspiranti eredi.

Con una certa regolarità e un po' di distacco, derivante dal fatto che in fondo è quasi naturale che ai famosi capitino di quelle storie, di tanto in tanto sui giornali si affronta il delicato tema del riconoscimento di paternità di figli naturali (fino al 1975 definiti illegittimi), nati fuori dal matrimonio e quasi mai voluti. La questione non riguarda soltanto i vip ma anche un numero sempre crescente di non famosi.

Al ministero della Giustizia hanno calcolato che nel 2007 ci sono state 447 richieste per la dichiarazione di paternità (o maternità) di minorenni.

Nella maggior parte dei casi procedimenti avviati da donne che si rivolgono al tribunale dei minorenni (i maggiorenni ricorrono a quello ordinario) perché obblighi il padre naturale a riconoscere e mantenere (anche retroattivamente) il figlio non voluto. Che l'uomo sia d'accordo o no, anche questi bambini (salvo rarissime eccezioni) hanno il diritto di avere un padre e una madre.

L'aumento delle domande non è casuale: sarà il cambiamento dei costumi, sarà il progresso della scienza, sarà la semplificazione normativa, fatto sta che gli italiani dubbiosi si sono fatti coraggio. Dichiarare di avere avuto un bambino fuori dal matrimonio per una donna fa sempre meno notizia. E anche per gli uomini accertare la paternità è facile grazie al test del dna, economico e ormai diffuso.

Ottenere il riconoscimento è più veloce grazie all'abrogazione, nel 2006, dell'articolo che prevedeva una valutazione segreta del tribunale prima di avviare la procedura. "Sono storie, tristi, di tante donne normali, ingenue o astute" racconta Simonetta Matone, capo di gabinetto del ministero per le Pari opportunità, per 18 anni pubblico ministero per i minorenni. "I casi nei quali mi sono più spesso imbattuta riguardavano infermiere messe incinte da medici che poi se la davano a gambe" racconta il magistrato.

Il feuilleton che in questi giorni vede coinvolti Carlo Revelli, 39 anni, e la sorella Margherita, 37, è solo più appassionante perché sul tavolo ci sono oltre 100 milioni di euro, fra impero editoriale e immobili.

Carlo e Margherita sono frutto di una relazione clandestina: quella di Maria Luisa Bernardini con Carlo Caracciolo, editore del gruppo L'Espresso e del quotidiano francesce Libération.

Spiega Bruno Dallapiccola, genetista alla Sapienza di Roma: "I bambini cresciuti da un padre che non è quello vero in Italia sono quasi uno su dieci. Di questi, comunque, solo una minoranza scopre la verità". Per gli altri, rimane la convinzione che il padre che tutti i giorni hanno visto sia quello naturale.

La figlia di Mario Bossi, quarantenne barese, per esempio la verità non la conoscerà mai. Nella sua storia è la madre, sposata con un altro uomo, a non voler svelare il padre naturale per non intaccare l'equilibrio familiare. "Dopo continui rifiuti da parte di quella donna, mi sono convinto che forse è davvero meglio così: terrò tutto segreto".

Così non è stato per i fratelli Revelli: a loro la notizia è stata data dalla madre nell'ottobre 2007. Da allora, dicono, sono intenzionati a mettere ordine nel loro albero genealogico. "Lo faccio solo per una questione di verità. Soprattutto per i miei figli, affinché conoscano le loro vere origini e non possano mai pensare che gli ho mentito" afferma Margherita Revelli, madre di quattro bambini.

Per avere la paternità di Caracciolo lei e suo fratello devono ottenere il disconoscimento dell'uomo che ha fatto loro da padre per tutta la vita. Anche da questo nasce l'accusa che l'eredità di Caracciolo, morto il 15 dicembre, c'entri.

Il patrimonio per ora è andato a Jacaranda Caracciolo Falck, figlia naturale dell'editore adottata nel 1996. Revelli nega che alla base della sua azione ci sia bramosia: "I soldi non c'entrano. Per fortuna non ho mai avuto problemi finanziari e questo denaro lo darò in beneficenza".

In linea di principio non la pensa così Chiara Saraceno, sociologa della famiglia: "Procedimenti tanto dolorosi vengono messi in atto solo quando si è alla ricerca di un patrimonio, anche piccolo". Più rari i casi di pura ricerca delle origini: "Nella mia esperienza" racconta Umberto Gragnani, avvocato esperto di diritto della famiglia, "mi è capitato una sola volta con una donna di 30 anni, intenzionata a ritrovare il padre solo per conoscere le sue radici e frequentare un po' l'uomo da cui discendeva. Le è andata bene, ma è un caso raro".

Non così felicemente si è conclusa la vicenda di un'altra figlia senza padre: Claudia Esposito, 16 anni, di Caserta. Nata da una relazione fra la madre e un uomo sposato, ha trascorso l'infanzia schivando le domande dei compagni di scuola sull'identità del padre e sul perché portasse il cognome materno. Pochi mesi fa ha deciso di rivolgersi all'uomo che l'ha concepita per chiedergli, invano, il riconoscimento. Ricevuto il rifiuto, è andata avanti convincendo la madre (i minorenni non ne hanno facoltà) a procedere per la dichiarazione giudiziale di paternità. Se il tribunale appurerà che la ragazza ha ragione, all'uomo non resterà che obbedire alla disposizione del giudice.

"Il test del dna, disposto in questi casi dalle autorità, è affidabile al 99,99 per cento e vale come prova certa" spiega Mario Zevola, presidente del Tribunale dei minori di Milano. "Il rifiuto di sottoporsi alle analisi corrisponde, comunque, a un indizio di paternità" chiarisce il magistrato.

La storia di Bianca Gatto, 34 anni, operaia di Torino, è invece emblematica della scarsa informazione sul tema: ha rinunciato ad avviare il procedimento per il riconoscimento della figlia di 11 mesi preoccupata dall'onere delle spese legali. Eppure, sempre che la madre non si sbagli, toccano sempre al padre. "E' il suo rifiuto a mettere la donna nelle condizioni di avviare la causa. La legge parla chiaro: paga chi soccombe" aggiunge Zevola, che guida il tribunale (Milano) che accoglie ogni anno il maggior numero di procedimenti: 60 solo nel 2007, molti dei quali avviati da donne extracomunitarie nei confronti di padri italiani.

"In linea di massima" riferisce Gragnani "la madre inizia a sentire questa necessità quando il bambino è vicino all'anno e mezzo di età. Per due motivazioni principali: essere pronta a dare spiegazioni al figlio quando sarà più grande e avere un contributo alle spese di mantenimento".

Il messaggio di Gragnani agli uomini è chiaro: "Se non vogliono figli, prendano più precauzioni: una volta nati vanno riconosciuti, mantenuti e inseriti nell'asse ereditario". Monito al quale Vittorio Sgarbi non ha mai dato ascolto: sei figli all'attivo, tra riconosciuti e aspiranti. "Non ho mai voluto fare il padre: lo sanno tutte. Queste qui mi hanno usato come banca del seme" provoca con pochissima ironia il critico d'arte. "E hanno sbagliato, perché avrebbero dovuto incastrare uomini più ricchi. Le spese per il mantenimento sono calcolate in base al reddito del padre, il mio è basso" dice il sindaco di Salemi.

Lamenta Gianpaolo Cicconi, avvocato e "grillo parlante" di Sgarbi: "Non faccio che ripeterlo a Vittorio: deve fare attenzione a chi si porta a letto". Dopo il riconoscimento di Carlo Brenner, 20 anni, imposto dalla Cassazione, il critico ha dovuto riconoscere anche Evelina Hary, di 10 anni, ed è stato chiamato in causa per Alba Kozeta, anche lei del 1998.

L'ex deputato, il cui unico introito sicuro, di 5 mila euro mensili, deriva dalla pensione della Camera dei deputati, dà 3 mila euro al mese a Carlo, rimasto senza madre, e 1.250 a Evelina. "Se fosse costretto a mantenere anche la terza figlia, dovrebbe ridurre l'assegno di entrambi".

Chissà come se la vedrà l'avvocato Anna Maria Bernardini De Pace, legale sia di Carlo che di Kozeta: il riconoscimento dell'una ridimensionerebbe le entrate per l'altro. "Purtroppo non esistono diritti per l'uomo fesso incastrato dalla donna furba" commenta Cicconi. Aidini Kozeta, per esempio, la madre di Alba, ha chiesto la paternità di Sgarbi dopo la morte del marito Albino Curcio, fino a quel momento padre legale della bambina. A questo scopo, come nel caso dei Revelli nei confronti del padre presunto (defunto nel 2002), anche Kozeta ha avviato il disconoscimento per Curcio. "Peccato che fosse fuori tempo massimo. Una madre lo può proporre entro i sei mesi dalla nascita del figlio" sostiene Cicconi.

La mancata puntualità nel presentare la domanda di disconoscimento è l'elemento su cui si basano sia la difesa di Sgarbi sia quella di Jacaranda Caracciolo Falck: i rispettivi legali ritengono fuori tempo quelle presentate da Kozeta e dai Revelli. "In cause di questo tipo, i termini temporali sono fondamentali" spiega l'avvocato Gragnani. Si tratta di uno dei pochissimi casi in cui la legge mette in secondo piano la realtà dei fatti. Ma è davvero fondamentale scoprire sempre come stanno le cose? A detta di Maria Rita Parsi, psicopedagogista, sì: "La scoperta della verità, se affrontata con gli strumenti giusti, porta chiarezza".

Il figlio di un padre non naturale vive comunque, inconsciamente, una condizione di fragilità: "Può maturare insicurezze e tensioni che vanno affrontate. Non bisogna avere paura dei traumi". Meno ottimista, forse perché il trauma lo ha vissuto in prima persona, Margherita Revelli ammette il suo dolore: "Con il senno di poi, lo confesso, avrei forse preferito non saperlo. La scoperta di certe verità ti stravolge l'esistenza: passato, presente e futuro si scombinano all'improvviso" racconta con la voce strozzata. "Realizzi che il padre che per vent'anni ti ha accompagnato a scuola non è quello che ti ha concepito e ti accorgi che i tuoi piedi sono identici a quelli di uno sconosciuto. Da lui hai preso la camminata e il modo di ridere, ma avresti potuto non saperlo mai".

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Lucia Scajola

Nata e cresciuta a Imperia, formata tra Milano, Parigi e Londra, lavoro a Panorama dal 2004, dove ho scritto di cronaca, politica e costume, prima di passare al desk. Oggi sono caposervizio della sezione Link del settimanale. Secchiona, curiosa e riservata, sono sempre stata attratta dai retroscena: amo togliere le maschere alle persone e alle cose.

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