L'Ilva e l'ombrellone
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L'Ilva e l'ombrellone

L'assenteismo in aula: una consuetudine che leghisti e grillini hanno ipocritamente perpetrato, nonostante i proclami di rottura con il passato

I nostri parlamentari devono aver preso sul serio l'idea di essere rappresentanti del popolo. Infatti venerdì 20 luglio erano dove tanti italiani sono: al mare. E non in aula alla Camera per ascoltare la risposta del ministro Luigi DiMaio su un'interpellanza urgente.

Si parlava dell'Ilva a rischio chiusura, mica bruscolini, l'acciaieria con quindicimila lavoratori, attorno alla quale i magistrati, il governatore Michele Emiliano, le parti sociali, la politica e ora l'Anticorruzione stanno giocando col fuoco degli altiforni.

Nessuno vuol scottarsi, dunque si prende tempo, ognuno fa mezzo passo, non di più. E vabbé che i grillini vogliono risolvere i problemi del Sud col reddito di cittadinanza, ma l'Ilva non mi pare tema da snobbare.

Questa cosa dell'assenteismo in aula, anche se consuetudine, mi ha sempre mandato in bestia. Mi si obietta che alcune sedute sono inutili, non prevedono né dibattito né voto, ma io non la mando giù. È come quando sento i ragazzi dire che possono saltare quel giorno di scuola perché non ci sono verifiche o materie importanti. Si va a scuola punto. Si va a scuola perché ci si allena a fare il proprio dovere, per rispetto dell'istituzione scolastica e dei professori che si presentano puntuali. Si chiama educazione civica. Ma se l'educazione civica manca a chi ci rappresenta, come la si può pretendere dai cittadini? Che poi questa maleducazione civica venga da quelle forze politiche che hanno conquistato il governo in nome del popolo arrabbiato, in nome della rivoluzione dal basso, da quelle forze politiche che ci hanno detto di non rappresentare il popolo ma di "essere2 il popolo, mi fa cadere le braccia.

Il 20 luglio mi sarei aspettato dal governo una bella lavata di capo. Sarebbe stato un segnale forte sentire dal ministro dell'Interno che la "pacchia è finita" non soltanto per gli immigrati che pretendono di essere accolti anche se irregolari ma pure per i suoi parlamentari che hanno preferito la spiaggia alla discussione sull'Ilva.E ancora di più avrei apprezzato che il ministro Di Maio, lasciato solo in aula, avesse cominciato il discorso scusandosi per quei banchi vuoti e avesse pubblicato l'indomani i nomi della sua numerosa truppa assenteista con accanto la località balneare da loro scelta per il week end.

Sono pretestuose e prevenute le mie considerazioni? Non lo credo, anche se pretestuoso e prevenuto viene considerato ogni giudizio critico.

Non succede soltanto ai populisti di essere allergici alle critiche, sia chiaro, succede a quasi tutti quelli che si trovano a governare, però i governanti di oggi ci hanno fatto 'na capa tanta sulla loro diversità politica e morale, sulla svolta che avrebbe rappresentato la loro presa del potere. E che fanno alla prova dei fatti? Fanno dietrofront. Diventano finalmente garantisti se gli indagati sono nelle loro fila quando per anni hanno sventolato i cappi. E sulle poltrone mettono cappello. Benvenuti sulla terra.

Non mi scandalizzo se chi arriva al potere voglia mettere nei posti che contano persone di fiducia. Certo, da noi prevale il criterio di fedeltà a quello di capacità e questo rende il nostro spoil system spesso inefficiente. Si preferisce il cugino incompetente ma fedele, al tecnico competente con una sua autonomia.

I francesi da secoli formano la classe dirigente con Science Po, università iperselettiva da cui escono laureati destinati a diventare i futuri governanti. Hanno i loro orientamenti politici, quegli uomini e quelle donne, ma di una cosa si può star certi: sono i migliori su piazza perché sono stati forgiati per essere i migliori su piazza. È il cosidetto "sistema paese": pensare al domani della nazione costruendo una classe dirigente eccellente da cui partiti e istituzioni possono pescare andando a colpo sicuro.

Anche se ci manca la lungimiranza francese, comunque trovo legittimo che chi governa metta persone di fiducia nei posti che contano. Però quando lo facevano gli altri, leghisti e grillini gridavano alla lottizzazione, dicevano che con loro non sarebbe mai successo, che sarebbe finito il familismo, che sarebbero sparite le clientele perfino tra i portaborse. Invece si spartiscono le nomine col manuale Cencelli, dicono no su una poltrona per strappare il sì su un'altra, vogliono garantirsi una tv pubblica amica e una cassa depositi e prestiti generosa, mettono come segretarie amiche fidate e come portaborse parenti e conoscenti. Ripeto: non mi scandalizza questa consuetudine, per quanto da noi la competenza sia un optional e si seguano spesso criteri scadenti a cui non mi rassegno. Mi fa arrabbiare l'ipocrisia di chi ha conquistato il potere rivendicando la "diversità" e la rottura col passato.

Mi basterebbe un discorso onesto basato sul principio di realtà, l'ammissione che governare richiede di scendere dai palchi dei comizi e di fare i conti con dinamiche che prima si negavano. Dirlo aumenterebbe la credibilità, non il contrario. Sarebbe bello. Come sarebbe stato bello vedere i parlamentari riempire l'aula di Montecitorio e fare il loro dovere. Invece no. Perché è vero che l'Ilva è un dossier caldo, ma vuoi mettere il caldo che c'è in città il 20 luglio?

raffaele.leone@mondadori.it

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P.S. Quando ho finito di scrivere questo articolo ho pensato che sarebbe stato giusto fare nomi e cognomi dei parlamentari assenti. Ma erano praticamente tutti. Facevo prima a mettere i presenti. Così ho chiamato Carlo Puca, cronista politico di Panorama, e gli ho chiesto chi fossero quelle mosche bianche. Eccole: Susanna Cenni (Pd), Luciano Cillis (M5S), Mauro del Barba (Pd), Vincenza Labriola (FI), Pasquale Maglione (M5S), Giorgio Mulè (FI), Nicola pellicani (Pd), Filippo Sensi (Pd), Franco Vazio (Pd).

(Questo articolo è stato pubblcato sul numero di Panorama in edicola il 26 luglio 2018)

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Raffaele Leone