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Libia: buio fitto sul sequestro di Pollicardo e Calcagno

Dall'identità dei rapitori al pagamento del riscatto, fino alla dinamica della liberazione: niente è chiaro nel rapimento dei due connazionali

Sono ancora molte le cose da chiarire sul rapimento di Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, i due tecnici della Bonatti che per otto mesi sono rimasti sotto sequestro in Libia, dopo essere stati rapiti il 20 luglio scorso mentre cercavano di raggiungere a bordo di un fuoristrada la base di Mellitah insieme ai colleghi Fausto Piano e Salvatore Failla, gli altri due tecnici rimasti uccisi qualche giorno fa probabilmente durante uno scontro a fuoco, dopo aver condiviso con loro, fino al 3° marzo, i lunghi mesi di prigionia. "Ci hanno separati casualmente probabilmente perché quel covo non era ritenuto più sicuro. Sono stati portati via a bordo di un pick up con due uomini, una donna e un bambino, quando il gruppo è stato intercettato da un gruppo di miliziani" ha detto Calcagno. Miliziani o agenti della sicurezza libica, come dicono altre fonti?

E dunque: chi erano i carcerieri? Gli investigatori, dopo aver interrogato i due lavoratori che hanno fatto ritorno in Italia, tendono ora a escludere che Piano, Failla, Pollicardo e Calcagno siano stati rapiti dall'Isis, come avevano fatto intendere qualche giorno fa. I rapitori erano, nel racconto di Calcagno, delinquenti comuni che non hanno mai sentito mai pregare negli otto mesi in cui sono rimasti segregati. Delinquenti comuni che i tecnici della Bonatti avrebbero  supplicato a più riprese - sempre nel racconto di Calcagno - affinché non fossero venduti allo Stato islamico. Ricevendo per tutta risposta un "Tranquilli, non lo faremo". Eppure, alla luce di quanto raccontato da una fonte locale della zona del sequestro, nel nascondiglio in cui sono stati tenuti i quattro tecnici italiani rapiti sono stati trovati dei passaporti riconducibili a un leader dell'Isis, Noureddine Chouchane, considerato tra i responsabili dell'attentato del marzo 2015 al museo del Bardo di Tunisi e morto in un raid statunitense del 19 febbraio. Insomma: buio fitto. Voci, smentite, guerra di informazione, come spesso avviene quando ci sono di mezzo i servizi.


"Non so se eravamo in mano all'Isis o a delinquenti. Lo stabiliranno altri. Ma certamente eravamo tenuti da criminali. Perché solo criminali possono fare queste cose. C'erano delle donne e un bambino...una famiglia di delinquenti e di criminali" aveva riferito Calcagno durante il primo interrogatorio. L'intelligence ritiene ora improbabile che i due siano stati tenuti prigionieri dal gruppo di Al Baghdadi in Libia. Così come tende a negare che sia stato pagato un riscatto.

E ancora domande: la liberazione dei due ostaggi, che hanno dichiarato di essere riusciti a liberarsi da soli facendosi poi trovare nella casa dove erano stati tenuti segregati, è stata il frutto di una trattativa? È stato un blitz dei militari locali - come hanno sostenuto - oppure si sono liberati da soli? 

Il racconto di Calcagno agli investigatori ma non aiuta a dipanare le ombre. Secondo il tecnico ligure i carcerieri li avrebbero improvvisamente abbandonati, lasciandoli soli per 48 ore, fin quando non sono fuggiti. "Ci avevano detto che era tutto finito e ci hanno abbandonato mentre noi siamo rimasti dentro. Ci chiedevamo perché. Da allora ho lavorato molto su quella porta dietro la quale eravamo rinchiusi. Con un chiodo ho capito che si poteva fare molto. Ho lavorato sulla serratura, un legno duro, ma con la caparbia ho indebolito la parte. Poi ho chiamato Gino: 'Forza, se dai due colpi siamo fuori, gli dicevo. E così è stato. Dopo avere superato la prima porta, pensavamo che c'era la porta esterna, ma si è aperta facilmente. Ci siamo camuffati perché avevamo paura che qualche altro gruppo ci prendesse e una volta fuori cercavamo la polizia che pensavamo fosse l'unica a poterci aiutarci. Il buon Dio ci ha messo sulla strada giusta. Poi sono tornato indietro con la polizia per il riconoscimento della casa". Sul perché i carcerieri abbiano abbandonato così a lungo le vittime non c’è ancora risposta.


Calcagno e Pollicardo: dopo la liberazione, il giallo del riscatto

Quanto al riscatto il mistero è fitto. Il presidente del Copasir Giacomo Stucchi ritiene improbabile che sia stata pagata una cifra ma non ha escluso nulla. "Ho sentito del pagamento di un riscatto e ho sentito del pagamento di un riscatto in mani sbagliate. Dico solo che delle modalità di risoluzione di un sequestro come questo il Comitato che presiedo viene informato e può acquisire tutta la documentazione in merito. Per questo posso dire che non mi risulta che ci sia stata una scelta di questo tipo".

Rimane anche da capire se il blitz americano del 19 febbraio a Sabrata che ha ucciso un gruppo di jihadisti tunisini e due ostaggi serbi possa aver determinato indirettamente la morte di Piano e Failla, tenuti sotto sequestro insieme a Pollicardo e Calcagno prima di essere divisi, il 1° marzo, dai loro compagni. È possibile che siano stati usati come scudi umani nello scontro a fuoco coi militari libici? Oppure lo scontro a fuoco è avvenuto con miliziani rivali ingolositi dalle prede? Un altro mistero nel fitto castello di dubbi emerso finora dopo il rilascio dei due connazionali. 


Libia: Pollicardo e Calcagno liberi - video

Dopo il rilascio

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Gino Pollicardo e Filippo Calcagno accolti dal ministro Paolo Gentiloni. Roma, 5 marzo 2016.

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