Testimonianze da Harvard, college dei suicidi
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Testimonianze da Harvard, college dei suicidi

Il giornale del campus pubblica un'inchiesta a puntate sui tentati suicidi all'interno di una delle più prestigiose università del mondo. Lo stress da prestazione ha indotto tre studenti a togliersi la vita nel 2012

Come ci si sente quando sei un poco fragile e vuoi (o devi) affrontare la scalata di una delle torri (d'avorio) più alte della cittadella accademica mondiale? E come ci si       sente       quando sai che in cima a quella torre sono arrivati (tra gli       altri)       una decina di presidenti degli Stati Uniti, più di una       trentina di Premi Nobel, due tra gli uomini più ricchi della  terra (Bill Gates e Mark Zuckerberg), e decine, centinaia, migliaia di persone che hanno avuto grande successo nella vita?

"College faces Mental Health Crisis " (l'Università affronta una crisi di disagio mentale) è il titolo con cui l'Harvard Crimson, il giornale del campus       universitario più prestigioso e famoso del mondo, ha presentato la prima puntata di una inchiesta tra gli studenti che hanno tentato il suicidio nel campus.

Nel 2012, tre di loro non si sono fermati (o non sono stati salvati in tempo). Nella speciale graduatoria delle università con il maggiore numero di suicidi, Harvard è al terzo posto, dopo la Columbia University di New York e Stanford, ma se si pensa agli studenti iscritti che si sono tolti la vita fuori dal       perimetro del campus, l'università che è stata fondata       376 anni fa, "balza" al primo posto: vince il primato delle "Sad News", delle notizie tristi.

Ansia da prestazione che si trasforma in poco tempo in un forte stress; una forte competizione tra studenti che in molti casi alimenta la solitudine e il senso di estraneità; un carico di lavoro e la paura di non corrispondere alle aspettative;  la fatica (per chi ha dovuto contrarre debiti per potersi       iscrivere) di tenere fede agli impegni economici presi: la pressione per arrivare tra i primi nelle graduatorie dei voti migliori, pena la paura di sentirti uno sconfitto, o peggio un fallito: sono tutti elementi di una situazione che per diversi giovani diventa insopportabile.

Anche perché, la tendenza all'interno dell'università è sempre stata quella di evitare che queste fragilitàemergessero, venissero a galla. Mostrarle è un ulteriore         segno di debolezza e va contro quella cultura del successo che domina - grazie alla tradizione , alla qualità dell'insegnamento e ai nomi famosi degli       iscritti - all'interno del campus. La redazione dell'Harvard Crimson ha avuto il merito di tirare fuori la piaga, rompendo il velo che       avvolgeva il tragico tema. ''Pensavo che sarebbe stato meglio uccidermi che accettare il fallimento'', ha raccontato Christine,  una allieva dell'ultimo anno, che nel corso dei quattro del college ci ha provato almeno due volte.

Ci sono altre testimonianze raccolte dal giornale. Martin ha tentato di togliersi la vita due volte.  ''Mettiamo la maschera di persone che non siamo'' - ha detto, aggiungendo che un disturbo mentale a Harvard e' motivo di emarginazione''. Caduto in  uno stato di depressione, paralizzato dalla paura, il ragazzo racconta ai redattori dell'Harvard Crimson come non abbia dormito per giorni a causa dell'angoscia che sentiva rispetto alle sue capacità di affrontare la “sfida”. “Mi  sentivo sempre più inadeguato e questo sentimento cresceva       sempre di più”. Ma l'ipotesi di lasciare per un certo       periodo i corsi, gli sembrava l'ammissione di una sconfitta. E aveva il timore che mostrare le sue difficoltà avrebbe potuto indurre le autorità dell'ateneo a chiedergli di lasciare Harvard. Non riusciva a evitare quel senso di angoscia, aveva paura che qualcuno, accorgendosene, lo mandasse via.

Alla fine, racconta. Martin è stato via un anno dall'ateneo. Ha viaggiato molto e tutte le esperienze fatte all'estero gli hanno permesso di capire di avere molti opzioni esistenziali e professionali, al di là dei risultati che avrebbe potuto raggiungere ad Harvard. Questa consapevolezza gli ha permesso di tornare a studiare nel campus.

Mackenzie, un' altra studentessa, ha ammesso di aver provato a togliersi la vita due volte al terzo anno dopo avere faticato a finire il percorso di studio assegnato. ''Essere un cattivo  studente  qui equivale a essere una cattiva persona''. Lei, che arrivava da una situazione famigliare difficile – si parla di abusi – aveva vissuto un'adolescenza all'insegna del disagio.Arrivata a  Harvard, questo doloroso carico è diventato ancora più         gravoso visto la situazione in cui si è trovata. Un  disagio mentale che avrebbe voluto affrontare con l'aiuto del  servizio di supporto psicologico interno all'ateneo, ma che ha       preferito portare fuori dalle mura del campus perché non voleva apparire come una persona debole agli occhi dei suoi       colleghi e dei suoi docenti. La ragazza si è così rivolta a un terapeuta esterno.

Katherine A. LaPierre, a capo dello Student Mental Health  Service, ha negato che gli studenti con disagio mentale  siano invitati a lasciare l'ateneo, ma le sue dichiarazioni sono smentite da altre testimonianze, come quella di Alexa, un'altra ragazza che ha tentato il suicidio, alla quale è stato suggerito di lasciare  l'università da parte di tutti i suoi interlocutori istituzionali all'interno dell'ateneo.

La paura di fallire, di non essere all'altezza è quella che fa germogliare il Male Oscuro tra le fila degli iscritti a Harvard. 'L'email con l'intestazione 'Triste Notizia' ci e' arrivata tre volte dall'inizio dell'anno. E ogni volta si e' aperta con la stessa frase: 'E' con grande dolore che annunciamo la morte di un       membro della comunita' di Harvard College'' - spiega il Crimson.       Che, nella sua inchiesta, sommando il numero di coloro che si sono uccisi       nel campus con quelli che l'hanno fatto fuori, ha scoperto che quella prestigiosa università ha un tasso di suicidi superiore alla media nazionale: 18,8 per centomila. E se a quel numero  si  aggiungono i ragazzi che decidono di farla finita dopo essersi messi in aspettativa dagli studi l'indice sale ancora: 24,4 per 100  mila.

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Michele Zurleni

Giornalista, ha una bandiera Usa sulla scrivania. Simbolo di chi vuole guardare avanti, come fa Obama. Come hanno fatto molti suoi predecessori

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