La vita è tutta un tweet
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La vita è tutta un tweet

Un cinguettio può distruggere l'esistenza, ma a volte anche salvarla

Un cinguettio ti può distruggere la vita, ma anche salvarla. E nel gioco di specchi che è il web con i suoi variegati social network (la peculiarità di Twitter, come ben sanno quelli che amano cinguettare, è la sintesi, cioè l’obbligo di stare nelle 140 battute), può succedere che l’illusione virtuale che si può rifrangere all’infinito nei retweet venga spezzata all’improvviso dalla morte, dalla violenza, dal suicidio. E che nella morte, nella violenza e nel suicidio proprio Twitter svolga un ruolo decisivo, in positivo ma anche in negativo. A  Panorama è successo di scoprire che, “cinguettando”, una ragazza stava comunicando in Rete (entità multipla ma anche impersonale) la sua volontà di uccidersi. È stata individuata, assistita, salvata. Altri non hanno avuto la stessa fortuna: le loro urla di dolore, i loro segnali di morte, i loro propositi suicidi sotto forma di messaggini nella bottiglia del mare magnum del web sono stati scoperti solo dopo. A tragedia consumata. Su Twitter c’è tutto. Il presente, il futuro. E dopo, quel futuro lo ritrovi come un passato decifrabile. Come i post e le foto degli stragisti delle scuole in America, o dei kamikaze in Medio Oriente.

L’ultimo episodio sconvolgente è quello di Carolina, che credeva di aver perduto la faccia proprio sui social network, che dei social network (e dei tanti che li usano a sproposito) è stata vittima, fino a non sopportare più un bullismo che solo superficialmente possiamo definire virtuale. La parola è tutto. La parola colpisce e affonda. La parola è il gesto più efficace. Quindi non c’è nulla, in realtà, di virtuale nelle parole dei tweet, se non la forma, la piatta-forma. Nel XXI secolo la vita è un Tweet e la conclusione resta aperta.

Si fa un gran parlare della necessità di tutelare la privacy nel web, ma ci dimentichiamo che Twitter è anch’esso vita. I primi a violare la privacy (la propria e quella delle persone care o di quelle odiate) sono i passerotti che cinguettano. Siamo noi. Un gioco che nel web ha avuto il suo momento di popolarità consisteva nel costruirsi una seconda vita in un secondo mondo/universo, con una seconda famiglia, un secondo lavoro, secondi amici e nemici. Ecco, a volte i social network rispondono a un desiderio di vivere o vivere diversamente, che si scontra con le emozioni (reali) degli altri: la cattiveria, il bullismo, l’odio. Alla fine scopri che nel bene come nel male non c’è scampo a questa vita, neppure in Rete, anzi soprattutto in Rete, ed è giusto che sia così; è triste e divertente, dolce e pericoloso, che sia così.  

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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