La diplomazia dolce di Francesco: a Sarajevo pellegrino di pace e dialogo
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La diplomazia dolce di Francesco: a Sarajevo pellegrino di pace e dialogo

Memoria, perdono, riconciliazione, per una nuova "primavera" dei Balcani. Il messaggio del Papa rivolto soprattutto ai giovani

Chissà se il cardinale Vinko Puljic, si aspettava qualcosa di più. L’arcivescovo di Sarajevo da anni denuncia la «pulizia etnica» che, sulla scorta degli accordi di Dayton, colpisce i cattolici della Bosnia Erzegovina costretti a emigrare o a vivere da cittadini di serie B.

Ma Papa Francesco, nelle dodici ore che ha trascorso a Sarajevo, com’è nel suo stile, ha messo da parte i toni da crociata e ha scelto, ancora una volta, la «diplomazia della mitezza».

Non ha mancato di rivendicare, davanti alle autorità, «l’effettiva uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e nella sua attuazione, qualunque sia la loro appartenenza etnica, religiosa e geografica», a cominciare dall’esercizio della «libertà religiosa».

Però, nel corso di tutta la visita, il Papa si è sforzato di costruire ponti e non muri, di mettere da parte «la cultura dello scontro» per fare posto a quella «dell’incontro» e soprattutto di alimentare «la speranza» per una «nuova primavera» dei Balcani, dopo l’inverno della guerra. Una primavera che sbocci anzitutto grazie ai giovani, «la prima generazione del dopoguerra».

Ma rivediamo «il film» di questa breve e intensissima visita.

Sì all’ingresso della Bosnia Erzegovina nell’Ue
Nella cerimonia di benvenuto al palazzo presidenziale, l’attuale chairman, il serbo Mladen Ivanic, ha chiesto al Papa appoggio per far entrare la Bosnia Erzegovina nell’Unione Europea.

E Francesco, nel suo intervento, non ha fatto mancare il sostegno alla causa europea: «La Bosnia Erzegovina è parte integrante dell’Europa; i suoi successi e i suoi drammi si inseriscono a pieno titolo nella storia dei successi e dei drammi europei».

Però ha chiesto il rispetto dei diritti di tutti i cittadini, senza discriminazione per etnia o religione. E ha rivelato di essere rimasto molto colpito dall’accoglienza ricevuta dai bambini all’aeroporto. Nei loro occhi ha detto il pontefice, «ho visto la speranza» di un mondo migliore.

Mai più la guerra!
Nell’omelia della messa allo stadio Kosevo, gremito da 65 mila persone sotto un bel sole caldo, Francesco ha scandito le parole che erano già state di san Giovanni Paolo II: «Mai più la guerra!».

Bergoglio, ancora una volta, ha denunciato l’attuale «terza guerra mondiale combattuta a pezzi». Un «clima di guerra» alimentato da quanti «cercano lo scontro tra diverse culture e civiltà e speculano per vendere armi». Ma, ha concluso il pontefice, praticare la giustizia e avere il coraggio del perdono sono il segreto per costruire una pace duratura. «Fare la pace è un lavoro artigianale: richiede passione, pazienza, esperienza, tenacia».

La folla dei fedeli, composta anche da molti croati, polacchi, ucraini venuti da fuori, ha tributato un grande affetto al pontefice. Scandivano: «Papa mi te volimo» («Papa ti vogliamo bene»). Un piccolo incidente durante il trasporto ha spezzato la croce astile di Paolo VI che Papa Francesco porta sempre con sé nelle celebrazioni. Non potendo sostituirla è stata aggiustata in maniera improvvisata con dello scotch. Sull’altare, un crocifisso crivellato dai proiettili era testimonianza della follia della guerra che ha attraversato il Paese.

Memoria e perdono
E’ stata un’eccezionale catechesi sul valore della memoria e del perdono, quella fatta a braccio da Papa Francesco nel pomeriggio nella cattedrale di Sarajevo, dedicata al Sacro Cuore di Gesù, gremita da sacerdoti, religiosi, suore e seminaristi.

Il pontefice ha ascoltato con grande attenzione tre testimonianze sulle sofferenze patite negli anni della guerra, da parte di un religioso, un sacerdote e una suora.

Visibilmente commosso da queste parole, Bergoglio ha messo da parte il discorso scritto e, con l’aiuto di un traduttore croato, ha parlato a braccio.


Anzitutto Francesco ha sottolineato il valore della memoria: «Le testimonianze parlavano da sole. E questa è la memoria del vostro popolo! Un popolo che dimentica la sua memoria non ha futuro. Care sorelle, cari fratelli, non avete diritto di dimenticare la vostra storia. Non per vendicarvi, ma per fare pace».

Accanto alla memoria, il coraggio del perdono testimoniato da quei racconti: «Perdonare un amico che ti ha detto una parolaccia, con il quale avevi litigato, o una suora che è gelosa di te, non è tanto difficile. Ma perdonare chi ti picchia, chi ti tortura, chi ti calpesta, chi ti minaccia con il fucile per ucciderti, questo è difficile. E loro lo hanno fatto, e loro predicano di farlo!», ha detto il pontefice.

Dialogo tra le religioni
Un momento molto atteso della visita di Francesco a Sarajevo è stato l’incontro ecumenico e interreligioso ospitato presso il centro internazionale studentesco francescano.

Erano presenti circa 300 persone in rappresentanza delle diverse comunità. Francesco ha ascoltato le testimonianze di un musulmano, un ortodosso e un ebreo. Quindi ha preso la parola sottolineando l’importanza del dialogo per edificare la pace: «Il dialogo è una scuola di umanità e un fattore di unità, che aiuta a costruire una società fondata sulla tolleranza e il mutuo rispetto». Sarajevo «che nel recente passato è tristemente diventata un simbolo della guerra e delle sue distruzioni, oggi, con la sua varietà di popoli, culture e religioni, può diventare nuovamente segno di unità, luogo in cui la diversità non rappresenti una minaccia, ma una ricchezza e un’opportunità per crescere insieme. In un mondo purtroppo ancora lacerato da conflitti, questa terra può diventare un messaggio: attestare che è possibile vivere uno accanto all’altro, nella diversità ma nella comune umanità, costruendo insieme un futuro di pace e di fratellanza». Al termine dell’incontro il Papa ha recitato una preghiera per la pace.

"Siete i fiori di primavera!"
Erano oltre 800 i giovani che affollavano il Centro diocesano giovanile Giovanni Paolo II per l’incontro con Francesco, ultima tappa dell’intensa visita a Sarajevo. Il Papa si è rivolto a loro parlando, ancora una volta, a braccio: «Voi siete la prima generazione dopo la guerra. Voi siete fiori di una primavera che vuole andare avanti e non tornare alla distruzione. Trovo in voi questa voglia e questo entusiasmo. Voi avete una vocazione grande, mai costruire muri, soltanto ponti. E questa è la gioia che trovo in voi».

Poi Bergoglio è tornato a condannare il commercio delle armi: «Alcuni potenti della terra parlano e dicono belle cose sulla pace, ma sotto vendono le armi! Da voi io aspetto onestà, ma onestà fra quello che pensate, quello che sentite e quello che fate: le tre cose insieme. Il contrario si chiama ipocrisia! Anni fa io ho visto un film su questa città, era “Die Brücke” (“Il Ponte”). Non so come si intitola nella vostra lingua… E ho visto lì come il ponte sempre unisce. Quando il ponte non si usa per andare uno verso l’altro, ma è un ponte vietato, diventa la rovina di una città, la rovina di una esistenza. Per questo da voi, da questa prima generazione del dopoguerra, mi aspetto onestà e non ipocrisia, unione, fare i ponti, ma lasciare che si possa andare da una parte all’altra: questa è fratellanza».

Congedandosi dai giovani, Bergoglio ha affidato loro un compito: «Voi, i fiori di primavera del dopoguerra, fate la pace; lavorate per la pace». E ha chiesto a tutti di ripetere insieme a voce alta il motto del viaggio «Mir Vama» («La pace sia con voi»).



Pope Francesco con il pastorale riparato con il nastro adesivo, Sarajevo, 6 giugno 2015. Nel trambusto che ha preceduto la messa, il bastone è caduto e si è rotto. ANSA/LUCA ZENNARO

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Ignazio Ingrao

Giornalista e vaticanista di Panorama, sono stato caporedattore dell’agenzia stampa Sir e diretto il bimestrale Coscienza. Sono conduttore e autore della trasmissione A Sua Immagine su RaiUno

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