L’Ucraina stretta tra Putin e la Nato
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L’Ucraina stretta tra Putin e la Nato

La Nato torna protagonista in Europa, ma si allarga il fronte del “NO”: Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria non desiderano truppe atlantiche. Passerà la linea Obama o la fermezza di Putin?

per Lookout News

In passato, spesso si è preso ad esempio il cosiddetto modello slovacco per la “separazione consensuale” dell’Ucraina tra le regioni fedeli a Kiev e le insorgenti regioni dell’Est auto-proclamatesi repubbliche autonome. 

Nella ex Cecoslovacchia fu il parlamento a ratificare la divisione del territorio nazionale in due Paesi, Repubblica Ceca e Slovacchia appunto, che nacquero nel gennaio 1993 senza colpo ferire. L’occasione fu offerta dalla Rivoluzione di Velluto, una protesta non violenta che portò alla caduta del Partito Comunista e aprì la strada ai due Paesi che conosciamo oggi, i quali aderirono poi alla NATO: la Repubblica Ceca è entrata nel 1999, mentre la Slovacchia ha aderito all’Alleanza Atlantica più avanti, nel 2004.

E proprio in merito all’atteggiamento da tenere nei confronti della NATO, i due Paesi ritrovano ora un’unità d’azione, se è vero che entrambi gli Stati che formavano la Cecoslovacchia si sono rifiutati di ospitare truppe straniere e basi militari nei rispettivi territori (la Slovacchia confina con l’Ucraina). 

Era stato il presidente degli Stati Uniti in persona, Barack Obama, ad annunciare da Varsavia un’iniezione immediata di 1 miliardo di dollari per la difesa della sicurezza in Europa. Dollari che si tradurranno nel dispiegamento di più truppe, mezzi e pattugliamenti aerei negli stati che confinano con la Russia di Vladimir Putin e con l’Ucraina di Poroshenko. Circostanza che non può che preoccupare Mosca, visto che in tal modo dagli Stati Baltici alla Turchia un’alleanza militare come la NATO avvicinerebbe sensibilmente i propri confini operativi alla Federazione Russa.

- No alla NATO in Repubblica Ceca e Slovacchia

Ma i primi ministri ceco e slovacco si sono espressi contro la proposta della Casa Bianca. Il premier della Slovacchia, Robert Fico, ha dichiarato che il suo Paese è pronto a soddisfare i suoi obblighi come Stato membro della NATO, ma a suo dire è fuori questione uno stazionamento di truppe straniere: “Noi non possiamo immaginare truppe straniere nel nostro territorio in forma di basi militari”, ha detto Fico. 

Anche Praga la vede così e addirittura il ministro della Difesa, Martin Stropinsky, nelle scorse settimane ha scatenato polemiche in Repubblica Ceca, arrivando a paragonare l’ipotesi di Obama all’invasione sovietica del 1968, insistendo che questa è una sufficiente motivazione per non ospitare le truppe della NATO sul suolo sovrano ceco: “per noi questo delle truppe straniere è un tema straordinariamente sensibile”.

L’Ungheria, in giorni non sospetti, durante la conferenza Globsec 2014 di maggio, aveva già fatto sapere per bocca del ministro degli Esteri, Janos Martonyi, che Budapest ritiene che “non c'è bisogno di un potenziamento militare sui confini orientali del blocco Nato, malgrado l'acuirsi della crisi in Ucraina e i profondi cambiamenti nella situazione di sicurezza”. Ragion per cui “le corrette decisioni verranno prese al momento giusto”.

- Il fronte del sì

Così non la pensa la Polonia, che già ad aprile aveva chiesto l’invio di almeno 10.000 truppe americane nel suo Paese, e neanche i tre Paesi baltici, Lituania, Lettonia ed Estonia, che hanno accettato di ospitare contingenti di soldati USA, anche se ufficialmente solo per addestramento.   

Intanto, al G7 di Bruxelles - che sostituisce il G8 e per la prima volta esclude la Russia dal summit internazionale - i leader delle nazioni industrializzate hanno esortato Mosca a intraprendere colloqui con la nuova leadership di Kiev per porre fine alla crisi in Ucraina orientale: “La Russia deve riconoscere che il presidente Poroshenko è il leader legittimamente eletto dell'Ucraina e deve quindi coinvolgere il governo di Kiev”, ha detto Barack Obama.

- La battaglia prosegue

Si vedrà. In ogni caso, domani il presidente ucraino giura e s’insedia ufficialmente, mentre oggi alla commemorazione dei settant’anni dallo Sbarco in Normandia del 1944 l’ospite di casa, il presidente francese Francois Hollande, avrà vita difficile nell’attovagliare in due separati tavoli Obama e Putin, le cui nazioni furono le grandi protagoniste della sconfitta del nazifascismo in Europa, ma le cui divergenze anche diplomatiche riportano le lancette degli orologi indietro proprio di almeno cinquant’anni.

Intanto, però, la guerra prosegue soprattutto nel Donbas (nelle regioni di Donetsk e Luhansk) e il governo ucraino ha chiesto alla Russia 100 miliardi di euro come risarcimento per l’occupazione della Crimea, cosa che tra le righe certifica come le aspettative ucraine di riprendere la penisola siano intorno allo zero assoluto. Non è certo un buon punto di partenza per le trattative, dunque, e sinora non ci sono indicazioni che le operazioni belliche dall’una e dall’altra parte cessino. 

Ciò nonostante, l’influenza che gioca Valdimir Putin sulle truppe filo-russe che si vorrebbero staccare da Kiev sull’esempio della Crimea, potrebbe adesso essere decisiva. Ma solo nel caso in cui si decida una ragionevole spartizione del territorio e si garantisca la sicurezza in tutto l’Est. È infatti altissimo il rischio di ritorsioni ucraine sulla popolazione russofona, il giorno in cui i ribelli dovessero deporre le armi spontaneamente. Né rientra negli interessi di Mosca lasciar andare l’Ucraina nell’abbraccio della NATO e dell’Europa.

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Luciano Tirinnanzi