L'attentato di Atocha, dieci anni dopo
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L'attentato di Atocha, dieci anni dopo

La strage islamista alla stazione dei treni di Madrid fece 191 morti e 2.057 feriti. Così Panorama raccontò l'11 settembre europeo. Foto

Così Panorama, in un reportage a firma di Marcella Andreoli, raccontò l'inchiesta per svelare i nomi degli autori della strage alla stazione dei treni della capitale spagnola avvenuta l'11 marzo 2004 che fece quasi 200 morti e oltre 2000 feriti.
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Il nome, come sempre, è impronunciabile per noi occidentali: Adelhai Djaouat. Nato 34 anni fa a Orano, in Algeria, Djaouat era finito in carcere in Spagna la scorsa estate. Alcune sue telefonate avevano insospettito la polizia madrilena. Riascoltate oggi, quelle intercettazioni fanno paura. Innanzitutto, perché si capisce che il piano della strage sui treni dell'11 marzo era in gestazione almeno dallo scorso giugno. Inoltre, confermano un drammatico sospetto: la rete terroristica islamica ha il suo epicentro nel nostro Paese.

L'algerino dal nome impronunciabile, quando discettava di bombe e sangue, era infatti al telefono con Mahdjoub Abderrazak, anche lui algerino e soprattutto grande organizzatore di Al Qaeda, fatto arrestare lo scorso autunno dalla magistratura milanese. Dunque Milano in collegamento con Madrid. Ma non solo. «Sta arrivando una grande bomba... mi hai capito?» era un altro messaggio che correva sul filo, prontamente intercettato dalla polizia italiana. Accadeva esattamente un anno fa, 11 marzo 2003, ore 11.40. Al telefono un mujaheddin, tunisino di nascita, di 45 anni: Mourad Trabelsi, imam della moschea di Cremona sino al giorno in cui è finito in carcere. Il sospetto degli inquirenti è che la comunicazione riguardasse la strage di Casablanca, avvenuta di lì a poco, il 15 maggio 2003. La polizia marocchina sostiene che la terribile azione dinamitarda (45 vittime) sia stata finanziata con quattrini, 25 mila euro, raccolti in Italia da Mohamed Rafik, 39 anni ed ex imam di Firenze, per il quale è stata chiesta recentemente l'estradizione. Dunque, Milano, Madrid e Casablanca.

E' almeno dal 1995 che in Italia segretamente lavora, come scrivono gli inquirenti, «la più importante stazione in Europa di supporto tecnico-logistico per le attività delle organizzazioni terroristiche». All'inizio il compito della cellula italiana era quello di reperire finanziamenti e documenti di identità. Molte inchieste, a cominciare da quella di Bologna su un traffico di banconote false avviata nel 1997, avevano messo in luce la potenzialità e capacità delle strutture terroristiche. Poi è stato deciso un cambiamento di strategia. Era l'autunno del 2000, pochi mesi prima dell'attentato alle Torri gemelle e al Pentagono. «Adesso noi siamo diventati mujaheddin muajirun», cioè mujaheddin combattenti, illustra un dirigente di Al Qaeda, tale Ben Heni Lased. Costui non sta parlando con uno qualsiasi, ma con il capo della struttura italiana di Al Qaeda, Essid Sami Ben Khemais, chiamato Saber, che vuol dire «il viaggiatore». Fino a quel giorno Saber ha girato per mezza Europa per tessere alleanze. Ma ora è chiamato, come gli altri suoi pari, a un compito ancora più impegnativo. Gli spiega il suo interlocutore: «Adesso l'Europa è sotto le nostre mani perché Dio ha mostrato a noi la strada. Dobbiamo portare avanti il nuovo compito con onore... Dobbiamo essere come i serpenti». Il contenuto del colloquio è chiarissimo: bisogna passare all'azione. Il nostro Paese, e soprattutto Milano, diventa un punto ancora più importante, nevralgico. E' in questo momento che entra in scena un personaggio di secondo piano, un tunisino di 35 anni domiciliato a Gallarate, in provincia di Varese. Si chiama Jelassi Riadh ed è già stato in carcere, negli anni Novanta, per traffico di stupefacenti.

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Folgorato dal verbo di Osama Bin Laden, ma forse anche da un'allettante prospettiva di guadagno, Riadh assume il ruolo di procacciatore di quattrini. Si tratta di un incarico delicatissimo perché, dall'Italia, i finanziamenti devono arrivare in tutta Europa. Il suo capo, Saber, sostiene che «tutti i problemi si risolvono con i quattrini». Teoria forse condivisibile, ma sul piano pratico non è facile raccogliere montagne di soldi per portare avanti il «grande attacco all'Occidente». Fino a quel momento il reperimento dei finanziamenti avveniva in modo artigianale. Riadh e Saber avevano persino stilato una specie di volantino in cui chiedevano «la beneficenza per i vostri fratelli mujaheddin». Ma ora servono tanti soldi. Riadh ricorre a un falsificatore di banconote che compie i suoi sofisticati lavori a Napoli. Le banconote in lire inondano mezza Europa. A cominciare da Madrid. «Il bello è stato in Spagna, 22 milioni» svela un mujaheddin molto fiero di essere riuscito a spacciare soldi falsi. La conversazione è stata registrata proprio a casa di Riadh. Durante una specie di summit. Dal tenore dei colloqui si capisce che da Milano sono partiti messaggeri fidati con le valigie piene di soldi. «In Irlanda ci hanno scoperto una sola volta» riferisce uno. «A Londra c'è stato anche un movimento veloce... E' un lavoro molto rischioso. Ogni giorno fai la preghiera e inizi a cambiarli (i soldi, ndr)» confessa un altro. Un certo Mohammed riferisce: «In Francia è difficile cambiare le 50 mila lire, ma si riesce facilmente a cambiare le 100 mila lire. L'ultima volta che ho cambiato i soldi l'ho fatto alla stazione di Belville».

Anche Saber, il Viaggiatore, percorre mezza Europa con la valigetta piena di banconote regolari, cioè ripulite. E' generoso, come prevede il suo ruolo di ufficiale pagatore. La polizia italiana lo segue nei suoi contatti con «lo spagnolo», Aouadi Mohamed, anello di congiunzione con le cellule annidate tra Barcellona e Madrid, considerate strategiche. Saber si reca (è la primavera del 2001) a Valencia, Pamplona, Irun, città spagnole, tenendo stretta la preziosa valigetta. All'ordine del giorno c'è «un incontro del movimento», fa intuire nel corso di conversazioni cifrate. L'organizzazione sembra in procinto di agire. Gli investigatori scrivono allarmati: «La rete operativa islamica in Europa è pronta a colpire in più aree». Ma alcuni provvidenziali arresti, a Francoforte, Parigi, Londra e Milano, fiaccano i progetti terroristici da attuare in Europa. L'attenzione dei mujaheddin combattenti si concentra sull'attacco dell'11 settembre contro gli Stati Uniti e sulla guerra in Afghanistan. La svolta avviene nell'estate 2002. I vertici europei di Al Qaeda si danno appuntamento e perfezionano una nuova organizzazione europea. Gli obiettivi sono due: aiutare i mujaheddin al lavoro nelle zone tradizionali del Medio Oriente e mettere l'Europa nel mirino. I finanziamenti sono abbondanti perché «ci sono molti soldi che circolano, bisogna solo studiare perché la guerra deve essere studiata». Mesi dopo, il tunisino dal nome impronunciabile avviserà i referenti della cellula di Milano che a Madrid i piani erano quasi pronti. L'11 marzo 2004 sarà la strage. 

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