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«L'apertura della Chiesa alla comunità Lgbt manca di coerenza»

Il decano dei vaticanisti italiani commenta la svolta impressa da Papa Francesco segnalando come verso i transessuali continui a esserci una forma di discriminazione

Comunità Lgbt, apertura del Vaticano, per Papa Francesco, “Tutti sono chiamati a vivere la Chiesa”. Sul cambio di orientamento del Vaticano, Gian Franco Svidercoschi, decano dei vaticanisti italiani, ritiene che forse ci sia stata «una migliore interpretazione della dottrina relativa alla transessualità. O forse, a dirla malignamente, c’è stato l’arrivo del cardinale Fernandez a capo dell’ex Sant’Offizio»

Muta l’orientamento del Vaticano sulla transessualità e l’accoglienza all’interno della Chiesa, e a rimarcare il cambio epocale il papa è intervenuto sulle pagine de La Civiltà Cattolica sostenendo che “per accompagnare spiritualmente e pastoralmente le persone ci vuole molta sensibilità e creatività. Ma tutti, tutti, tutti, sono chiamati a vivere nella Chiesa: non dimenticatelo mai”. E ancora: anche una persona transessuale può ricevere il battesimo “alle condizioni degli altri fedeli”, e può fare da padrino o testimone a un matrimonio. Anche le persone omosessuali che coabitano con un’altra persona possono essere padrini e testimoni alle nozze”.

Quel “tutti, tutti, tutti” pare essere il segnale atteso da molti: la nuova posizione del Dicastero per la Dottrina della Fede che ha risposto ad alcuni quesiti, e Papa Francesco ha apposto la sua firma alla dichiarazione del Prefetto del dicastero per la Dottrina della fede, il cardinale argentino Victor Manuel Fernandez che in più ha chiarito che “può essere battezzato il figlio, adottato o concepito tramite la gestazione per altri, di una coppia omosessuale”.

Dunque il Vaticano muta atteggiamento, testimoniato proprio da Papa Francesco, che già di ritorno dal Portogallo, lo scorso mese di agosto, aveva sottolineato, in piena conferenza stampa -quasi a voler amplificare la nuova posizione della Chiesa- come quest’ultima fosse appunto “aperta”, mentre -sue parole- la “ministerialità è un’altra cosa”. Ecco alcuni aspetti della nuova posizione della Chiesa.

Trans e figli di coppie gay: testimoni e padrini/madrine

Il Vaticano dichiara che “un transessuale, che si fosse anche sottoposto a trattamento ormonale e a intervento chirurgico di riattribuzione di sesso, può ricevere il battesimo, alle medesime condizioni degli altri fedeli, se non vi sono situazioni in cui c’è il rischio di generare pubblico scandalo o disorientamento nei fedeli”.

Bambini o adolescenti

“Nel caso di bambini o adolescenti con problematiche di natura transessuale, se ben preparati e disposti, questi possono ricevere il battesimo”, è l’indicazione del Vaticano.

Transgender testimone di nozze o padrino/madrina di un battezzato.

“A determinate condizioni, si può ammettere al compito di padrino o madrina un transessuale adulto che si fosse anche sottoposto a trattamento ormonale e a intervento chirurgico di riattribuzione di sesso. Non costituendo però tale compito un diritto, la prudenza pastorale esige che esso non venga consentito qualora si verificasse pericolo di scandalo”.

Genitori gay e figlio per gestazione per altri.

“Due persone omoaffettive possono figurare come genitori di un bambino, che deve essere battezzato, e che fu adottato o ottenuto con altri metodi come l’utero in affitto?”, chiedeva al Vaticano il vescovo del Brasile. La risposta del Dicastero della Fede: “Perché il bambino venga battezzato ci deve essere la fondata speranza che sarà educato nella religione cattolica”.

Panorama.it ha chiesto a Gian Franco Svidercoschi qualche di riflettere sugli aspetti di una evidente rivoluzione dottrinale.

Dottor Svidercoschi, la Chiesa sembra ondeggiare tra aperture e chiusure.

«Per quanto possa valere il mio giudizio, devo dire che il documento della Congregazione per la dottrina della fede – sulla possibilità che i trans possano essere battezzati e far da padrini o madrine di battesimo – mi ha lasciato molto perplesso. E per due motivi».

Ci chiarisca come stanno le cose!

«C’è un primo motivo di ordine generale: se Cristo ama tutti gli uomini, pur con i loro peccati, e la Chiesa, come ripete spesso papa Francesco, apre le porte a “tutti, tutti, tutti”, non capisco perché il dicastero vaticano incaricato dei problemi dottrinali debba fare un documento apposta per i transessuali. Come se fossero una “categoria” a parte».

Il punto sembra essere questo…

«E’ come se Gesù amasse i transessuali un po’ meno degli eterosessuali. Non c’è, anche senza volerlo, qualcosa di “discriminatorio”? Se un trans vuole ricevere il battesimo, o far da padrino o madrina, non basta il buon senso pastorale del parroco a stabilire se ci sia o no rischio di scandalo, e quindi ad accettare o meno la richiesta?».

C’è anche un suo secondo punto di ragionamento, pare di capire.

«Certamente, perché ai primi di settembre del 2015, la Congregazione per la dottrina della fede, in risposta alla domanda di un vescovo spagnolo, aveva sancito che “i transessuali non possono fare da padrini”. Dunque, nel giro di otto anni, lo stesso dicastero ha dato due versioni completamente diverse; e citando, tutt’e due le volte, documenti di Francesco, la “Laudato sì” nel 2015 e l’ “Evangelii gaudium” nei giorni scorsi».

Ma che cosa è cambiato in otto anni per emettere un giudizio così diverso?

«A dirla positivamente, forse c’è stata una migliore interpretazione della dottrina relativa alla transessualità. O forse, a dirla malignamente, c’è stato l’arrivo del cardinale Fernandez a capo dell’ex Sant’Offizio: fedelissimo di Bergoglio, curatore dei suoi testi più importanti, teologo di idee avanzatissime, e nemico giurato delle scuole teologiche europee».

Nonostante la sua lunga frequentazione del Vaticano la avvertiamo dubbioso…

«Al di là delle congetture, non si può chiedere alla Santa Sede un po’ più di coerenza e di trasparenza? Perché non spiegare i motivi del cambiamento di giudizio? Perché far “sparire” il documento del 2015 dalla lista ufficiale dei testi della Congregazione? Insomma, perché non considerare le conseguenze che vicende come questa hanno su tanti credenti, creando confusione, sconcerto e sofferenza?».

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Gian Franco Svidercoschi, nato ad Ascoli Piceno, classe 1936, di origini polacche, è il decano dei vaticanisti italiani. Dopo gli inizi della professione giornalistica nel 1959, è stato inviato dell’ANSA al Concilio Vaticano II per assumere, poi, l’incarico di vicedirettore de l’Osservatore Romano. Tra le numerose pubblicazioni, il volume autobiografico di Karol Wojtyla, Dono e Mistero. Diario di un sacerdote (1996) e, con l’arcivescovo di Cracovia e già segretario particolare di Giovanni Paolo II, Stanislaw Dziwisz, Una vita con Karol (Rizzoli 2007) e Ho vissuto con un santo (Rizzoli 2013). La Lettera ad un amico ebreo (1993), è stata tradotta in venti lingue: è stato tra gli sceneggiatori del film "Karol, un Papa rimasto uomo"

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Egidio Lorito