Ketamina, il farmaco che potrebbe curare la depressione
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Ketamina, il farmaco che potrebbe curare la depressione

Uno studio ha scoperto il meccanismo biologico con cui agirebbe sul cervello nel combattere i sintomi del male oscuro

È un vecchio farmaco anestetico, oggi utilizzato solo in ambito veterinario. Ma è anche una sostanza finita nella lista delle sostanze di abuso per le sue proprietà allucinogene.

Da qualche tempo, però, la ketamina è stata rivalutata sotto un altro punto di vista: si è scoperto che questa molecola ha proprietà anti-depressive fuori dal comune.

In particolare, sembrerebbe in grado di indurre effetti quasi immediati sull’umore, annullando in poche ore i sintomi più invalidanti della depressione, una cosa molto insolita nel campo della psichiatria farmacologica.

I più comuni farmaci antidepressivi richiedono infatti almeno tre settimane per dare qualche risultato. Finora però, nonostante ci siano alcune sperimentazioni cliniche in corso per capire se e quale ruolo la ketamina possa avere nel trattamento della depressione grave, quasi niente era noto dei meccanismi biologici attraverso cui potesse esercitare il suo effetto. Un gruppo di ricercatori ha ora scoperto il meccanismo chiave con cui la sostanza sembra agire nel cervello, illustrato in un articolo pubblicato sulla rivista Nature

Il "luogo" della depressione

Già da tempo gli scienziati sospettavano che la sostanza potesse agire su una minuscola formazione nel cervello, la abenula laterale, che è anche nota come centrale delle decisioni. Questa area, infatti, inibisce i centri circostanti che controllano i meccanismi del piacere e della ricompensa. L’ipotesi è che nella depressione questa area possa essere troppo attiva.

Neuroni troppo veloci

Sperimentando con topi e ratti geneticamente modificati per sviluppare una condizione simile alla depressione, i ricercatori hanno infatti scoperto un’anomalia nel modo in cui i neuroni di questa formazione si attivano negli animali depressi.

La percentuale di cellule che producono scariche veloci e ravvicinate si è rivelata decisamente più alta (23 per cento) negli animali depressi rispetto a quelli sani, dove a produrre questo genere di attivazione è solo il 7 per cento dei neuroni.

Prova e controprova

Altri esperimenti hanno supportato questa ipotesi. La registrazione diretta dell’attività neurale nel cervello degli animali ha mostrato lo stesso: quelli che erano stati sottoposti a una procedura stressante avevano più cellule che si attivavano in quel modo caratteristico.

I ricercatori hanno fatto anche una sorta di controprova: anno aumentato, con una tecnica particolare che sfrutta la luce (optogenetica) l’attivazione dei neuroni dell’abenula. A questo punto i topi hanno iniziato ad accentuare i comportamenti tipici della depressione, per esempio rimanendo immobili anche quando posti in una situazione altamente stressante, per esempio costretti a nuotare in una vasca.

Con la somministrazione della ketamina, invece, l’attivazione delle cellule diminuiva, e nello stesso tempo diminuivano i comportamenti depressi.

Diversi esperti hanno definito questo studio molto ben fatto e rivelatore. Se davvero questo fosse il meccanismo o uno dei meccanismi che fa da base biologica della depressione, potrebbero essere immaginati e sviluppati farmaci che lo contrastano.

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Chiara Palmerini