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Kenya: quali saranno le prossime mosse degli Shebab

Dopo il massacro nel campus i miliziani potrebbero colpire nuovi obiettivi tra il Kenya e la Somalia. Obiettivo: affiliarsi all'Isis come Boko Haram

Di Marta Pranzetti per Lookout news

A dispetto dell’attacco al campus universitario di Garissa dello scorso 2 aprile, l’“età dell’oro” di Al Shabaab in Somalia è ormai tramontata. L’epoca attestata tra il 2007 e il 2010, quando i “giovani” (dall’arabo Shabaab) qaedisti somali controllavano una vasta porzione di territorio – la più ampia che Al Qaeda ha mai rivendicato in Africa – ha lasciato il posto ad azioni spettacolari per lo più condotte al di fuori della Somalia.

 Dopo l’attentato al centro commerciale Westgate Mall di Nairobi (settembre 2013, 70 morti) e dopo l’attacco nella località turistica kenyota di Mpeketoni (giugno 2014, una cinquantina di vittime), come detto è stato l’attentato del 2 aprile nel collegio di Garissa (nel sud-est del Kenya) a richiamare l’attenzione internazionale sul gruppo jihadista somalo. Oltre 140 i morti accertati per una strategia che deve essere ancora del tutto delineata.

Chi sono i miliziani di Al Shabab

 

Al Shabaab ieri e oggi

Se tra il 2007 e il 2010 Al Shabaab in Somalia è arrivato a controllare anche la capitale Mogadiscio, il principale porto del sud del Paese di Kismayo e altri porti minori come quello di Brava – sfruttandone le risorse per trarne profitti economici e amministrando i territori attraverso la rigida imposizione della Sharia islamica – oggi la realtà è ben diversa. Perduti tutti i suoi principali avamposti e ridottosi a operare intorno alla località meridionale di Jilib, il gruppo degli Al Shabaab deve fare i conti con la sempre più evidente mancanza di finanziamenti provenienti da Al Qaeda oltre che dai suoi traffici clandestini.

 Ma non sono queste le uniche caratteristiche che emergono dal confronto delle strategie operative utilizzate nel presente rispetto al passato dall’organizzazione qaedista somala. Durante gli anni dei grandi attentati a Mogadiscio, la leadership di Al Qaeda aveva criticato l’“eccessivo” massacro dei musulmani da parte di Al Shabaab (la Somalia è quasi interamente musulmana). Anche in questa ottica si spiega il ripiegamento degli Shabaab in Kenya.

 Oltre a rappresentare uno dei Paesi con il maggiore contingente militare all’interno delle forze dell’Unione Africana che operano in Somalia (AMISOM), il Kenya – che confina con la porzione di territorio rimasta sotto il controllo delle milizie islamiste – è un Paese a maggioranza cristiana (82% contro uno scarso 11% di musulmani). Sia nel caso del Mall di Nairobi che del collegio di Garissa, è stata l’élite urbana e cristiana del Kenya a essere colpita. E in entrambi gli attentati – come anche nel massacro degli oltre 30 minatori “infedeli” avvenuto nel dicembre del 2014 vicino a Mandera al confine con la Somalia – i miliziani islamisti hanno accuratamente separato i cristiani dai musulmani. Una prova evidente della capacità dell’organizzazione di rinnovarsi nonostante l’apparente declino territoriale ed economico.

 

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Anche Al Shabaab in rotta verso lo Stato Islamico?
Adesso resta da verificare se il messaggio della disfatta di Al Qaeda, lanciato la scorsa settimana da Ayman Al Zawahiri, sgancerà l’organizzazione somala dal brand qaedista per segnare la sua virata verso quello che oggi rappresenta il più allettante marchio della jihad globale, lo Stato Islamico.

 Dopo la conferma, giunta nelle scorse settimane dalla leadership di ISIS, dell’affiliazione dei miliziani islamisti nigeriani di Boko Haram al Califfato di Al Baghdadi, è verosimile ipotizzare che l’ingresso degli Al Shabaab nelle fila dello Stato Islamico possa contribuire a smantellare anche le vestigia di AQIM (Al Qaeda nel Maghreb islamico) nell’Africa settentrionale, nel Sahel e nel Corno d’Africa.

La strage di Garissa

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