Abu Bakr Al Baghdadi
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ISIS, Il Califfo ordina la controffensiva

Mentre il premier iracheno ottiene l’appoggio USA, i miliziani islamici hanno attaccato la più grande raffineria irachena e quasi ripreso Ramadi

Questa settimana il premier iracheno Haider Al Abadi è volato a Washington D.C. per chiedere denaro e supporto militare agli Stati Uniti d’America, dopo aver annunciato in patria di aver lanciato “una vittoriosa campagna militare contro lo Stato Islamico nella grande provincia di Anbar”, che dal confine con la Siria arriva quasi a lambire la capitale Baghdad.  

Giunto alla Casa Bianca, Al Abadi ha confermato al presidente Obama i successi sul terreno del suo esercito, che oggi è formato sia da truppe regolari sia da milizie sciite volontarie, alcune delle quali, come al-Hashd al-Shabi (le brigate dell’Imam), sono diventate la “terza forza militare” dopo esercito e polizia. Il che getta più di un’ombra sulla reale preparazione dei soldati iracheni.


 “Abbiamo ripreso il 25% del territorio, quasi 15mila chilometri quadrati strappati allo Stato Islamico” ha esordito trionfale il premier appena sbarcato in America, consapevole che per ottenere 200 milioni di dollari in forniture militari e per la continuazione del sostegno aereo da parte degli americani, bisognava pur portare dei risultati tangibili. Del resto, dopo la campagna nella provincia di Salahuddin che ha portato alla riconquista di Tikrit, al governo questo è parso il momento migliore per attaccare anche la provincia di Anbar. Come a dire che Baghdad è in grado di vincere sul terreno e perciò bisogna foraggiarla.

 Il giusto sforzo diplomatico del premier iracheno è servito a convincere sia il Pentagono che il presidente, i quali hanno convenuto lo stanziamento di nuovi aiuti. Peccato però che nelle stesse ore in cui il premier si attovagliava con Barack Obama per sigillare l’intesa, una fonte irachena rilanciava una notizia per nulla rassicurante: “Centinaia di combattenti dell’ISIS, per lo più di nazionalità straniera, sono arrivati alla periferia della provincia di Salahuddin”.

 

L’assalto alla raffineria più grande dell’Iraq

 

A fare cosa? Si sono domandati tutti. La risposta è stata presto soddisfatta. Lo Stato Islamico ha attaccato la raffineria di Baiji, la più grande del Paese, e ha stretto d’assedio la città facendo breccia dal fianco est grazie a uomini-bomba che hanno aperto la strada alle milizie del Califfato. La raffineria di Baiji rifornisce ben undici province irachene, producendo attualmente oltre un terzo del fabbisogno nazionale, con i suoi circa 300mila barili di petrolio giornalieri.

 Il sindaco di Baiji, Mohammed Mahmoud al-Juburi afferma che i militanti ISIS hanno il pieno controllo dell’Oil Institute, degli edifici che controllano il ramo distribuzione del petrolio e degli impianti chimici all’interno della raffineria. Nel momento in cui scriviamo (mercoledì 15 aprile) sono ancora in corso violenti combattimenti con le forze governative, impreparate all’assalto e colte del tutto alla sprovvista dall’iniziativa dello Stato Islamico.

 “I miliziani sono venuti dalla città siriana di Raqqa a bordo di veicoli militari e civili” ha affermato la medesima fonte che aveva avvistato le colonne di combattenti “e sono stati altri tre giorni a Mosul, prima di andare a combattere”.

 I grandi movimenti di queste milizie, libere di scorazzare per un territorio enorme senza essere intercettate, testimoniano la grande libertà di movimento e l’effettivo controllo del territorio da parte dell’ISIS e certificano la volontà del Califfo Al Baghdadi di voler avviare una vera e propria controffensiva in grande stile, per riprendere le porzioni di territorio perdute negli ultimi mesi e levare alto il grido di minaccia e terrore che il Califfato si porta dietro, comunicando implicitamente all’Iraq e al mondo che lo Stato Islamico è vivo e prospera.

 

Ramadi, il capoluogo della provincia di Anbar

Prima di lanciare la controffensiva, Al Baghdadi ha chiamato a sé un intero reggimento, concentratosi nella capitale siriana e poi confluito in quella irachena, probabilmente per ricevere gli ordini e le munizioni. Quindi, è stato dato il via alle operazioni. Che non si sono concentrate solo sulla mega raffineria irachena, ma hanno visto anche l’assalto di Ramadi, che si trova a soli 110 chilometri ad ovest di Baghdad e che è il capoluogo proprio di quella provincia di Anbar, cuore sunnita dell'Iraq, che il premier iracheno Al Abadi diceva di essere in procinto di liberare.

Ramadi è oggi cinta d’assedio em secondo la CNN, starebbe per capitolare. Il Vice Capo del Consiglio provinciale di Anbar Falih Essawi ha riferito al network statunitense che i miliziani dell’ISIS hanno fatti progressi significativi in tre aree ad est di Ramadi, Albu Soda, Albu Ghanem e Soufia, che conduce proprio al centro di Ramadi.

 Se dunque la città cadrà nuovamente nelle mani del Califfato e così anche Baiji, le sorti della guerra si potrebbero definire nuovamente capovolte, dopo che sino a pochi giorni fa gli analisti del Pentagono affermavano che ISISha perso il momentum della guerra” e dopo che i governativi iracheni parlavano già di riconquista e di assediare Mosul, la capitale irachena dello Stato Islamico. Tutto ciò mentre in Siria non è cambiato quasi nulla e lo Stato Islamico continua anzi a proliferare, attirando nuovi combattenti stranieri e studiando le prossime manovre strategiche per allargare i confini Califfato.

 Questo è forse il risultato ottenuto dopo che Al Qaeda ha dato il “via libera” ai jihadisti sunniti di rompere le righe e sciogliere i legami di appartenenza con l’internazionale terroristica che fu di Osama Bin Laden. A seguito di quell’annuncio, infatti, numerosi combattenti sono ora liberi di ingrossare le fila dello Stato Islamico e probabilmente questo sta già accadendo. Inoltre, dopo che i miliziani di Jabhat Al Nusra, attivi nel teatro siriano, hanno stretto un’alleanza tattica con ISIS, Al Baghdadi si sente più forte e può serrare i ranghi per meglio concentrare i propri sforzi bellici in Iraq.

 

La guerra continua.

 

 

ANSA /EPA /Ali Moahmmed
Il difficile compito di identificare le vittime. Tikrit, 7 aprile 2014

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Luciano Tirinnanzi