Tavoli, cimici e troppe parole
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Tavoli, cimici e troppe parole

Un noto ristorante romano. Un’indagine per riciclaggio. E le microspie che svelano l’affaire Dell’Utri, ma anche accuse verso alcuni giudici. Così la procura frena la "pesca a strascico"

Deve avere fruttato una scorpacciata d’informazioni ai poliziotti della mobile di Roma ascoltare per quasi un anno che cosa si raccontavano, tra un crudo di pesce e l’altro, gli avventori dell’"Assunta Madre". Al ristorante di via Giulia, nel cuore di Roma, gli investigatori cercavano (e cercano ancora) tutta la verità sulla vita del titolare, Gianni Micalusi detto Johnny, un omone amato e corteggiato da vip e affini per ottenere uno strapuntino e poter gustare "aragosta viva al vapore" o, altra specialità della casa, "pasta ai ferri con scorfano e pachino".

Cibo a volontà non a modico prezzo, ma anche vino e tante, troppe chiacchiere, talvolta indigeste, intercettate da decine di cimici disseminate come per la pesca a strascico in un mare ricco di risorse. Perché i piatti di Micalusi fanno impazzire un po’ tutti: attrici e soubrette, uomini di chiesa e di peccato, pregiudicati e magistrati, attori e politici che vanno lì anche per acchiapparsi a vicenda (la storia di Italo Bocchino e Sabina Began, l’ape regina, nacque a quel desco...). Solo a immaginarle, le portate di gamberi e gossip fanno venire l’acquolina in bocca.

Da quella che doveva essere un’indagine per riciclaggio nei confronti di Johnny, per esempio, gli investigatori hanno tratto elementi sul presunto tentativo di fuga di Marcello Dell’Utri, condannato in appello a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Ma anche, da quanto risulta a Panorama, discorsi che gettano ombre su alcuni magistrati romani.

Andiamo per ordine. L’8 novembre 2013 il fratello del cofondatore di Forza Italia, Alberto, parla seduto a un tavolo dell’Assunta con l’imprenditore Vincenzo Mancuso. Il dialogo riguarda il possibile soggiorno all’estero di Marcello in caso di condanna definitiva, per la precisione in Guinea Bissau, con una onlus finanziata da Silvio Berlusconi per costruire "ospedali in Africa". Una conversazione lunga e dettagliata, a tratti confusa dalla voce del ristoratore, che i poliziotti della mobile diretta da Renato Cortese portano al sostituto che coordina le indagini, Francesco Mìnisci, e al capo della Procura di Roma, Giuseppe Pignatone, insieme al resto del materiale raccolto. Ma le registrazioni sono tante altre e la pesca dev’essere stata davvero "eccessiva" se gli stessi magistrati pochi giorni dopo, il 20 novembre, sentono il bisogno d’inviare una direttiva al dirigente della mobile.

Preso atto che il ristorante potrebbe essere un punto d’incontro e di riunione tra gli indagati ed esponenti della criminalità operante a Roma, "questa squadra mobile non procederà alla registrazione dei colloqui che si collocano certamente in ambito diverso da quello delineato dal gip, avendo cura di sospendere le attività tecniche relative a quei colloqui che, a fronte di un iniziale verosimile interesse per le indagini, nel corso delle conversazioni risultino estranee alle stesse". In parole povere, no alla pesca a strascico. Nei giorni a seguire, però, il nastro sul presunto piano di fuga di Dell’Utri sarà sbobinato e gli atti verranno trasmessi alla procura competente, quella di Palermo, il 20 febbraio 2014.

Perché il procuratore di Roma è stato così determinato nel dare un preciso ordine al capo della mobile? Il lavoro delle cimici si era rivelato superiore al previsto? Si è accorto che la sottile linea rossa delle intercettazioni era stata superata, captando conversazioni che nulla c’entravano con l’oggetto dell’indagine? Probabile.

Ma una spiegazione potrebbe riguardare proprio i discorsi su esponenti della magistratura capitolina registrati dalle cimici della polizia e di cui Panorama è venuto a conoscenza. Un notissimo imprenditore romano, nel corso di una cena in via Giulia con più commensali, avrebbe infatti raccontato di poter fare pressioni su alcune toghe importanti per scongiurare una serie di arresti. Il racconto sarebbe stato dettagliato con nomi, cognomi e contorno dell’inchiesta, ma al momento è gelosamente chiuso nei cassetti della procura e della squadra mobile. Non si sa come e quando gli uffici potrebbero procedere per capire se si tratti di millanterie, calunnie o invece spunti di indagine: la valutazione, tra l’altro, spetterebbe ai magistrati di Perugia competenti per le vicende che vedono i colleghi della Capitale nella veste d’imputati o parti offese.

Certo è che quelle parole, pronunciate tra un antipasto e un bicchiere di champagne, possono aver indotto Pignatone a mettere alcuni paletti alle intercettazioni in corso. Cautela ovvia per chi conosce il codice, visto che il tribunale chiamato a riesaminare la richiesta di vietare l’espatrio a Dell’Utri, il 4 aprile, l’ha respinta giudicando inutilizzabile l’intercettazione tra il fratello e Mancuso perché proveniente da altra indagine e non indispensabile per l’accertamento del reato.

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Emanuela Fiorentino