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(Ansa)
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Implosione, pressione; ecco cosa ha portato alla tragedia del sommergibile Titan

Una fine orrenda, rapidissima, inevitabile. Sotto accusa lo stato del sottomarino

Quasi quattrocento chilogrammi per ogni centimetro quadrato. Questa è la pressione alla quale era sottoposto il piccolo sommergibile-battiscafo Titan, i cui resti ora giacciono a 3,8 km di profondità vicino al relitto del Titanic, obiettivo della missione. Una forza enorme se paragonata a quella che già avvertiamo come “fastidiosa” mentre scendiamo di qualche metro dalla superficie del mare quando facciamo snorkeling.

Difficile ormai capire se l'effettivo stato del mezzo lo rendesse idoneo all'utilizzo che se ne stava facendo, e neppure sarà semplice stabilire se, seppur sulla carta il progetto prevedesse operazioni a quella profondità, oltre tre chilometri sotto la superficie, se lo stato effettivo della struttura fosse buono e non, invece, già «delaminato» da precedenti missioni. Nessuno scampo quindi per le cinque persone a bordo, come ha confermato la Guardia Costiera americana dopo aver individuato cinque detriti inequivocabilmente appartenenti al Titan, tra questi il cono della prua e quanto restava dell'intera camera pressurizzata.

Le parole dell'ammiraglio John Mauger non hanno lasciato speranze: “i detriti mostrano un collasso totale della camera pressurizzata”.

Una morte orrenda avvenuta in modo estremamente rapido, circa 30 millesimi di secondo. Così è finita l'esistenza del fondatore e amministratore delegato della Ocean Gate Expeditions, Stockton Rush (che era anche il progettista del Titan), del miliardario britannico Hamish Harding, del celebre subacqueo francese Paul-Henri Nargeolet, dell'uomo d'affari pakistano Shahzada Dawood e di suo figlio Suleman, 19 anni.

La prima avvisaglia di un problema, la scorsa domenica mattina, è stata la perdita delle comunicazioni con la nave d'appoggio in superficie, impossibili da ristabilire, come ha testimoniato il regista di Hollywood James Cameron, che si trovava sul posto, dichiarando alla stampa: “Abbiamo avuto la conferma entro un'ora dall'inizio dell'immersione che c'era stato un forte scoppio a bordo, e nello stesso momento le comunicazioni erano cessate”. Cameron diresse il film vincitore dell'Oscar nel 1997 proprio sull'affondamento del Titanic, motivo della missione del Titan. Un'altra conferma è arrivata dalla Difesa Usa, che avrebbe ascoltato l'implosione attraverso i microfoni sottomarini usati per tracciare i movimenti dei sommergibili nell'oceano, come riporta questa mattina il Wall Street Journal.

Attualmente tre delle navi coinvolte nella ricerca sono ancora sul posto, mentre altre stanno rientrando verso le basi d'armamento. Nel tentativo di facilitare le ricerche si sono mosse in totale dieci unità navali, la maggior parte delle quali sta ora tornando al porto canadese di St John's, presso Terranova. La tragedia potrà però non essere stata del tutto inutile per la sicurezza marittima se recuperando i detriti i tecnici riusciranno a capire sia lo stato manutentivo del Titan, sia il punto dal quale si è generato il collasso strutturale dei semi gusci in carbonio. Quanto ai corpi dell'equipaggio, il loro recupero è un'impresa al limite delle possibilità.

Credere nella “maledizione del Titanic” è ovviamente poco realistico, tuttavia è vero che oltre a questo incidente è ancora ricordata la vicenda dell'editore inglese William Stead, ossessionato dalle maledizioni egizie. Pare infatti che all'epoca del viaggio del grande transatlantico egli stesse studiando una mummia rimossa dal suo sepolcro, e che chiunque se ne fosse occupato avesse, prima o dopo il naufragio, fatto una brutta fine.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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