Il terrorismo di oggi si chiama anarchia
ANSA /Massimo Percossi
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Il terrorismo di oggi si chiama anarchia

Come operano i gruppi anarco-insurrezionalisti in Italia e quanto è credibile la minaccia di nuovi attentati. E in rete impazzano i fan dell'attentatore

Per qualche ora, domenica mattina - proprio nel momento in cui giurava il nuovo governo italiano - si è temuto che quello che poi si è rivelato il gesto isolato di un disperato, fosse da classificarsi come “atto di terrorismo politico”. Così non è stato, ma il panorama non è comunque tranquillizzante.

Il conflitto sociale nel nostro Paese vive da qualche anno un continuo inasprimento legato sì alla crisi economica ma anche a una dialettica politica che assume troppo spesso i toni da guerra civile. È facile oggi puntare il dito su questa o quella forza politica ma occorre ricordare a tutti che anche la stampa, nel suo complesso, offre un non trascurabile contributo alla diffusione di un pessimismo totale che sembra dare spazio soltanto ai disperati.

Quello di domenica non è stato un atto di terrorismo ma ciò non significa che in Italia oggi non esista un fenomeno di terrorismo diffuso, sostenuto invece da decine e decine di militanti semiclandestini che si riconoscono nella “Federazione Anarchica Informale” (FAI). Si tratta degli stessi che un anno fa hanno gambizzato a Genova Roberto Adinolfi, ad di Ansaldo Nucleare, e che hanno continuato a operare negli ultimi dodici mesi in modo capillare, colpendo banche, agenzie di Equitalia e tralicci della telefonia mobile.

Da ultimo, il 9 e 10 aprile, hanno inviato dei pacchi bomba ala redazione de La Stampa e alla sede dell’agenzia investigativa Europol di Brescia. Ambedue le azioni sono state rivendicate dalla “Federazione Anarchica Informale - Fronte Rivoluzionario Internazionale - Cellula Damiano Bolano”.

Come operano gli anarchici

La FAI opera su un doppio livello di attività: quello clandestino, degli attentati e dei pacchi bomba; quello semiclandestino, che si esprime nella partecipazione militarmente organizzata alle manifestazioni studentesche e antagoniste.

Alfredo Cospito, uno dei due incarcerati per la partecipazione all’attentato contro il manager di Ansaldo, si è vantato in rete di aver partecipato agli scontri del 15 ottobre 2011 di Piazza San Giovanni a Roma. Massimo Passamani, capo degli anarco-insurrezionalisti del Trentino, è in galera per le violenze in Val di Susa contro i cantieri TAV.  È dunque il movimento anarco-insurrezionalista che oggi in Italia sta assumendo la direzione politico-operativa del conflitto sociale, con logiche di intervento che mirano a colpire: i centri del potere tecnologico, le banche e le forze di polizia.

Gli anarco-insurrezionalisti italiani sono organicamente legati ai “compagni” greci e spagnoli. Il gruppo che ha colpito Adinolfi si è autodefinito “Nucleo Olga” , in riferimento a Olga Ikonomidou, anarchica greca attualmente in galera ad Atene perché colpevole di numerosi attentati. Quelli che hanno colpito il 9 e 10 aprile La Stampa e l’agenzia investigativa bresciana hanno preso il nome da Damiano Bolano, anarchico spagnolo che da Barcellona si è spostato in Grecia per partecipare al conflitto sociale locale e che dal 2011 è in prigione, anche lui, ad Atene.

I pericoli che corre l’Italia
La minaccia anarco-insurrezionalista in Italia è molto seria e si fonda su una rete diffusa di piccole cellule (i “nuclei di affinità”) che si compongono e ri-scompongono in vista della preparazione di attentati o di azioni di guerriglia di strada, compiuti i quali i militanti “rientrano” nella vita civile.

È per questo che le loro azioni sono difficilmente prevedibili e i gruppi sono praticamente impermeabili ai tentativi di infiltrazione da parte della polizia o dei servizi segreti. I “nuclei” sono informali e composti da militanti che si conoscono da tempo e agiscono sulla base di “manifesti politici” (che diffondono in rete con tanto di progetti e strategie), animati da un unico denominatore: abbattere una società che “fa schifo”.

Un esempio della loro capillarità e del loro modo d’agire si può desumere da un’azione piccola ma significativa: a settembre dello scorso anno, per colpire la sede di Casapound di Bologna, due anarchici sono partiti da Cosenza con la loro macchina, per poi farsi sorprendere nel capoluogo romagnolo dai carabinieri, mentre stavano per innescare una bomba. Oltre ottocento chilometri in una notte per partecipare a un’offensiva innescata da un tamburellante tam tam sul web non è poco.

La ripresa delle attività nel futuro prossimo
Da Trento a Cosenza, da Torino a Genova, da Perugia a Roma e a Napoli, è dunque con il fronte anarco-insurrezionalista che il nostro Paese oggi si trova a fare i conti. Un terrorismo forse meno organizzato rispetto a quello delle Brigate Rosse ma diffuso, pervasivo e capace di colpire secondo programmi meno ambiziosi di quelli dei gruppi marxisti-leninisti, ma bene impostati e perseguiti sulla logica del “tanto peggio, tanto meglio”.

Un episodio recente autorizza i peggiori sospetti: il 28 marzo a Roma due rapinatori armati di pistole hanno preso di mira la filiale Unipol di Porta Tiburtina e sono stati catturati immediatamente dopo il colpo. Nel corso delle successive perquisizioni nelle abitazioni di Danilo Galloni e Rocco Gallo, la polizia ha rinvenuto una grande bandiera nera con la “A” di anarchia al centro, e molti documenti di matrice anarco-insurrezionalista. Per questi motivi, gli investigatori ritengono che la rapina possa inquadrarsi in una pericolosa attività di autofinanziamento.

Se l’attentato di Palazzo Chigi non verrà sicuramente salutato da nessuna formazione politica estremista, è indubbio però che il clima del quale esso è espressione oggettiva, non potrà che favorire una ripresa dell’iniziativa anarchica in Italia.

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Alfredo Mantici