I ragazzi uccisi e il rischio di una ritorsione generalizzata
MOHAMMED ABED/AFP/Getty Images
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I ragazzi uccisi e il rischio di una ritorsione generalizzata

L’obiettivo dell’omicidio dei tre studenti israeliani potrebbe essere Abu Mazen, la guida di Fatah, il partito moderato palestinese. Ma Gerusalemme deve evitare un'azione su larga scala. Le foto dei disordini a Hebron

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I tre giovani israeliani che il governo di Israele cercava disperatamente da diciannove giorni sono infine stati trovati nella West Bank (Cisgiordania), non lontano da Hebron, assassinati “a sangue freddo”, come ha commentato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il giorno stesso della loro scomparsa.

 

La notizia, oltre che scioccare l’opinione pubblica israeliana e mondiale, ha provocato l’ira funesta del governo di Tel Aviv contro Hamas, l’organizzazione politica e paramilitare palestinese che governa la Striscia di Gaza, accusata di essere la mano che ha armato i killer dei giovani.

 

L'esercito israeliano ha infatti risposto questa notte, illuminando Gaza con il fuoco delle bombe e lanciando furiosi attacchi contro 40 obiettivi precisi, finalizzati a distruggere quelle che vengono definite “infrastrutture del terrore”. Inoltre, sono state rase al suolo le case degli uomini di Hamas ritenuti responsabili degli omicidi. Ma questo è solo l’inizio. Il generale Nitzan Alon delle Forze di Difesa israeliane, infatti, ha ricordato che “la guerra al terrore continua. Essa non è cominciata ora e non finirà presto”.

 

Perché questi omicidi a sangue freddo?
L’assassinio dei tre giovani studenti, per le sue modalità e la sua triste conclusione, fa pensare a un tentativo deliberato di far fallire la pace e di colpire in prima persona Abu Mazen, la guida politica di Fatah, il partito moderato palestinese che condivide con Hamas il governo dei territori e il destino della Palestina.

 

Quando nel 2006 i terroristi di Hamas rapirono il soldato israeliano Gilad Shalit, si preoccuparono di tenerlo vivo e prigioniero per anni, allo scopo di ottenere in cambio della sua liberazione la scarcerazione di mille detenuti palestinesi. Cosa che difatti avvenne nell’ottobre 2011 e che segnò un notevole passo in avanti verso la riconciliazione tra Israele e Palestina.

 

Il fatto che stavolta i tre ragazzi siano stati invece uccisi immediatamente dopo il rapimento, fa pensare che l’operazione abbia avuto il solo scopo di produrre una strategia della tensione, finalizzata a far saltare i nervi al governo israeliano, per poi portarlo alla definitiva rottura con l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) e mettere Abu Mazen nell’angolo.

 

Che fine fa l’accordo tra Hamas e Fatah
L’OLP racchiude in sé le due anime del popolo palestinese, l’intransigente Hamas e la più moderata Fatah. Il patto di unità tra queste due anime era stato raggiunto solo due mesi fa, dopo anni di contrasti e violente divisioni interne che avevano portato i radicali di Hamas a controllare la Striscia di Gaza e Fatah ad amministrare la Cisgiordania.

 

Abu Mazen era stato pesantemente criticato per tale accordo, caduto proprio nel momento di maggior vicinanza tra palestinesi e israeliani, e ritenuto un vero e proprio passo falso dell’OLP lungo la strada della pace. Da Washington, l’Amministrazione Obama aveva, infatti, prontamente sentenziato: “La riconciliazione tra l’OLP e Hamas potrebbe complicare gli sforzi di pace”. Detto fatto. Il risultato non si è fatto attendere.

 

È plausibile, dunque, che chi ha rapito i ragazzi, abbia lavorato per far fallire l’accordo tra Hamas e Fatah. Il gruppo di Hebron, responsabile dei tre omicidi, verosimilmente non accetta il percorso tracciato da Abu Mazen per arrivare in un modo o nell’altro a un accordo politico con Israele. Accordo che vorrebbe fondarsi su una geografia meno schizofrenica di quella attuale, essendo Hebron (Cisgiordania) sotto il controllo politico di Hamas ma sotto quello militare di Israele.

 

Come ha notato lo studioso pacifista israeliano Abraham Ben Jeousha, infatti, “i tre giovani studenti della scuola religiosa si muovevano tranquillamente in autostop perché convinti di stare in territorio israeliano, mentre erano di fatto in territorio palestinese”.

 

Abu Mazen, con tutte le sue timidezze e contraddizioni, ha tentato in più occasioni di ricucire il rapporto con Israele e oggi è anche lui vittima di questa barbara azione, gratuita e inutilmente crudele, che pare ogni ora di più essere stata concepita allo scopo di far saltare definitivamente il banco.

 

Chi è e cosa vuole Hamas
Hamas è ancora oggi classificato come “organizzazione terroristica” da Stati Uniti, Israele e Unione Europea. Acronimo di movimento di resistenza islamica, affonda le radici ideologiche nel movimento dei Fratelli Musulmani e nel suo statuto contempla la distruzione totale di Israele.

 

Ambiguo e pericoloso, il partito oggi è tornato a essere foraggiato anche dall’Iran sciita, pur essendo un movimento radicale sunnita, grazie alla mediazione del Qatar. Ma questo non deve confondere: pur ricevendo soldi da Teheran, Hamas resta il braccio sunnita e fondamentalista dei Fratelli Musulmani, e la loro alleanza è solo di convenienza, funzionale agli Ayatollah per mantenere uno strumento di pressione nei confronti di Israele dentro al proprio territorio.

 

Cosa farà Israele
Conoscendo la sensibilità degli israeliani nei confronti di simili episodi, è lecito supporre che la ritorsione sarà durissima e prolungata nel tempo. Speriamo solo che il gabinetto di guerra del premier Netanyahu mantenga la lucidità e, nel vendicarsi, colpisca solo i responsabili e non lanci piuttosto manovre su larga scala come fu l’operazione Piombo Fuso a cavallo tra 2008 e 2009, che provocò oltre mille e trecento morti nella Striscia di Gaza e che fece tornare in alto mare il processo di pace.

 

Anche perché il Medio Oriente vive oggi le sue ore più drammatiche, sprofondato nella guerra intestina tra sunniti e sciiti, che sta ridisegnando la mappa geografica di Siria, Iraq e chissà quale altro Paese ancora. Modificare anche la mappa di Israele e Palestina e muovere guerra contro Hamas proprio in questo momento, rischia davvero di avvitare l’intera regione in una spirale di violenza dagli esiti imprevedibili. Se Netanyahu porterà guerra su Gaza, ha avvertito Hamas, si apriranno per lui e per Israele “le porte dell'inferno”.

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Luciano Tirinnanzi