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Greco, il procuratore non sgradito a Renzi

Il nuovo capo della Procura di Milano è stato sempre corteggiato dalla politica. Quella politica che gli chiede ora continuità con Edmondo Bruti Liberati

Che Francesco Greco, procuratore aggiunto a Milano e da sempre in corsa per il vertice dell'ufficio, fosse uno dei candidati favoriti per diventare il successore di Edmondo Bruti Liberati, era noto.

Che il 30 maggio avrebbe sicuramente ottenuto la nomina dal Consiglio superiore della magistratura è stato evidente alle 16 di quello stesso giorno, quando Giovanni Melillo, capo di gabinetto del ministro della Giustizia e uno dei due concorrenti residui, ha annunciato la revoca alla candidatura al vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini.

Sostengono i maligni che il via libera a Greco, in realtà, sia arrivato direttamente dal ministro Andrea Orlando, e che sia stato il Guardasigilli in persona a chiedere a Melillo di fare un passo indietro.

Melillo, va detto esplicitamente, respinge la tesi con forza: "Una falsità" dice a Panorama.it "nessuno mi ha chiesto nulla". E allora perché si è ritirato? "Quando uno capisce che sta per andare a uno scontro capace di spezzare in due il Csm" risponde Melillo "si ritira per senso delle istituzioni".

Resta il fatto che il duello tra Greco e Melillo aveva comunque favorito non poco l'ascesa del classico terzo litigante: Alberto Nobili, l'altro procuratore aggiunto milanese, considerato un "conservatore". Non nel senso politico del termine, bensì in senso tecnico: Nobili passa per "rigorista", e la rigidità (si sa) non piace all'attuale vertice del Pd, né al Matteo Renzi inventore del Partito della nazione, la cui cifra è lo sprint verbale e l'elasticità.

Certo, non che Greco possa essere considerato particolarmente "flessibile", professionalmente. Ma Nobili impensieriva molto di più il governo in quanto sicuramente meno propenso al dialogo e meno garante di continuità nella gestione dela Procura. Di certo Nobili non avrebbe mai fatto quel che nel maggio 2015 aveva fatto l'ex procuratore Bruti Liberati, garantendo un'inedita moratoria nelle indagini sull'Expo 2015.

Greco, del resto, è sempre stato molto legato a Bruti Liberati. E non soltanto per contiguità di corrente (Magistratura democratica).

Da procuratore aggiunto e capo del pool reati economici e finanziari, Greco ha preso parte molto attiva nella "guerra" che nel 2014-15 ha trasformato in trincea i corridoi al quarto piano del tribunale: con un'audizione al Csm si era rivelato come uno degli avversari più tignosi di Alfredo Robledo, l’ex procuratore aggiunto che in quel periodo accusava di parzialità e abusi vari Bruti Liberati (e poi è stato censurato e trasferito per incompatibilità a Torino). Greco aveva anche ispirato e firmato il "manifesto" dei 62 pubblici ministeri milanesi favorevoli a Bruti.

Una gioventù da extraparlamentare di sinistra, una maturità spesa dietro a tutte le più importanti inchieste finanziarie d’Italia, a leggere i giornali Greco in realtà è sempre stato in corsa per qualche nomina e pronto a dialogare con la politica. L’ultima gara l’aveva ingaggiata (e persa) nel 2014 per sostituire Attilio Befera al vertice dell’Agenzia delle entrate.

Del resto, Greco nel febbraio 2014 è divenuto consulente fiscale del governo di Matteo Renzi sul «dossier Svizzera» per il rimpatrio dei capitali.

Ma è dal lontanto 1998 che la politica lo insegue, lo corteggia, lo considera il terminale più adatto per interloquire con la Procura di Milano.

All’inizio di quell’anno, mentre in Parlamento la Commissione bicamerale pareva in dirittura d’arrivo sulla riforma della giustizia, il suo presidente Massimo D’Alema spedì Giuliano Amato, ministro delle Riforme, da Greco: voleva capire proprio da lui se i pm milanesi potessero condividere una "soluzione politica" alla stagione di Mani pulite. Si incontrarono più volte. Alla fine Greco, astutamente, disse che quella decisione "spettava al Parlamento". E cinque mesi dopo, in giugno, la bicamerale fallì.

Di Greco e con Greco la politica si era poi rimessa a parlare, e molto, già nel 2005: in quell'estate per le sue inchieste sulle parallele scalate all’Antonveneta e alla Bnl, e per quella dell’immobiliarista Stefano Ricucci alla Rcs; in dicembre per la voce che lo voleva successore di Antonio Fazio al vertice della Banca d’Italia. In quel periodo il pm milanese si occupava del processo per il crac Parmalat, scriveva per il Sole 24 Ore e sosteneva che "il mercato finanziario italiano è il Far-west dell’Occidente".

Da allora Greco è stato candidato ai più prestigiosi incarichi istituzionali in campo finanziario e tutti gli ultimi cinque governi, di destra come di sinistra, gli hanno affidato l’incarico di sovrintendere a qualche fondamentale riforma.

Nel 2007, con Romano Prodi premier, il guardasigilli Clemente Mastella gli aveva consegnato il coordinamento di una Commissione di studio per l’utilizzo delle risorse della giustizia, con l’obiettivo di riversare nel circuito dei tribunali i 2 miliardi dei beni confiscati. Un amico gli aveva chiesto allora: "Ma come fai ad andare d’accordo, tu, con Mastella?". E Greco aveva risposto: "Sono di sinistra, ma sono anche pragmatico. Se la giustizia oggi non dispone di un Giustiniano, mi va bene anche un buon vecchio democristiano".

Nell’estate del 2008 Giulio Tremonti, allora ministro dell’Economia del governo Berlusconi, lo avrebbe voluto al vertice della Consob, al posto di Lamberto Cardia: sul nome di Greco si era detto d’accordo anche Angelino Alfano, in quel momento ministro della Giustizia. Poi non se n’era fatto nulla: Cardia era stato confermato fino al novembre 2010, per essere poi sostituito da Giuseppe Vegas, l’attuale presidente.

Ma Greco era tornato in corsa già nel dicembre 2008, con Tremonti che insisteva a volerlo alla guida di Equitalia Giustizia, la società nata dal suo impegno con Mastella e chiamata a gestire le risorse sottratte ai condannati e alla criminalità organizzata. In quel caso Greco aveva rifiutato, forse perché aveva appena avuto in premio dall’allora procuratore Manlio Minale il diritto di essere «destinatario unico delle segnalazioni provenienti da Banca d’Italia, Consob, Ufficio italiano cambi e da tutte le autorità di vigilanza»: da allora il suo pool reati finanziari era assurto quasi al ruolo di un vero superpotere.

La politica è poi tornata a cercare Greco nel 2012, quando Mario Monti l’ha nominato presidente della Commissione per la riforma dei reati fiscali e societari. Il pm ha consegnato il suo rapporto al ministro della Giustizia Paola Severino nell’aprile 2013, pochi giorni prima che a Palazzo Chigi s’insediasse Enrico Letta. Le sue proposte? Inserire nel codice il reato di autoriciclaggio; reintrodurre in pieno il falso in bilancio, attenuato nel 2002; accrescere le pene contro gli evasori. "Perché i blitz sono sacrosanti" diceva Greco allora "ma rischiano di essere fumo negli occhi se non accompagnati da una seria riforma del contrasto all’evasione fiscale".

Quelle idee erano rimaste in un cassetto, ma Letta aveva affidato a Greco l’incarico di una proposta di legge sul rientro dei capitali esportati illegalmente, incarico confermato da Renzi.

Perché Greco piace a sinistra? Perché di quella parte è sempre stato. Trascorsi giovanili nell’estrema più dura (ai tempi di Tangentopoli esponeva sulla scrivania un ritratto di sé molto barbuto, molto capelluto, infagottato in un eskimo da battaglia), Greco è stato redattore di Mob, una rivista che alla fine degli anni Settanta era in prima linea nel contestare la legislazione emergenziale antiterrorismo.

Poi, con la vita e i processi, l’uomo si è moderato. Signorile nei modi come può esserlo il figlio di un ammiraglio napoletano, appassionato di vela e sci, Greco è stato un grande amico di Guido Rossi, il re degli avvocati d’affari con il quale per anni ha condiviso le vacanze alla Maddalena.

In quell’isola, nell’estate 2008, Greco è stato fotografato seduto al bar in amichevole colloquio con Beppe Grillo. Nessuno ha mai svelato il mistero di quell’incontro, che però resta negli archivi come segno di un dialogo potenzialmente aperto anche con i 5 stelle.

Meno facile è capire perché Greco piaccia anche a destra. Da quelle parti, è evidente, lo si teme molto, ma lo si stima moltissimo. Forse per l’equilibrio da sempre esibito nel ricorso alla custodia cautelare: dicono che il 23 luglio 1993, alla notizia che Raul Gardini si era sparato in vista dell’arresto chiesto da Antonio Di Pietro, Greco abbia pianto. "Non sono mai stato un appassionato di galere e manette" ha detto una volta.

Poi Tremonti l’ha introdotto nell’Aspen institute, l’esclusivo circolo bipartisan nel cui esecutivo siedono Prodi e Gianni Letta, Fedele Confalonieri e Francesco Micheli. Lì, una volta, il pm ha tenuto un’applaudita lezione sul "rapporto perverso tra banca e impresa".

Anche in tribunale, va detto, la lunga corsa di Greco ha incontrato rari ostacoli. Se ne ricorda uno serio nell'ottobre 2014, quando la Procura generale aveva avocato una decina di processi per evasione fiscale, sui quali il pool di Greco aveva chiesto l’archiviazione: non era mai accaduto che a Milano l’organo di controllo si appropriasse di tanti procedimenti in un sol colpo. Quei processi, in effetti, si sono poi conclusi con una serie di condanne.


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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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