Lo stato della giustizia (e dello spettacolo)
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Lo stato della giustizia (e dello spettacolo)

Ma come si fa ad avere fiducia nella giustizia se somiglia a una lotteria? E meno male che l’Italia era la culla del diritto

Lì per lì non ci ho creduto. Devo aver visto male, ho pensato. Macché. Ho riletto con attenzione e no, non mi sbagliavo. Quotidiano La Stampa di sabato 1 febbraio, pagina 16: «È saltato l’interrogatorio di Angelo Provenzano, figlio del boss mafioso Bernardo Provenzano. Motivo: troppi giornalisti davanti a palazzo di giustizia».

Non mi sono rassegnato a questa verità e ho voluto fare un’ulteriore verifica. Ho telefonato a Palermo all’avvocato di Angelo Provenzano e m’ha confermato che era tutto vero. Cioè, ripeto per chi ancora non l’avesse capito: la Procura di Palermo ha deciso di rinviare l’interrogatorio «causa folla di giornalisti». Una folla che, sia chiaro, era fuori dal palazzo e non dava alcun fastidio al lavoro dei magistrati: esattamente come quella che si è ripresentata lunedì 3 febbraio, data in cui Provenzano jr è stato riconvocato e questa volta ascoltato. L’episodio autorizza qualsiasi cittadino a pensare che la giustizia in questo Paese venga gestita come
fosse una cosa privata e personale e non merita alcun commento aggiuntivo perché descrive lo stato comatoso in cui versa l’amministrazione giudiziaria in Italia. La concomitanza di altri episodi aggiunge ulteriore sconcerto e amarezza.
Prendiamo la condanna di Amanda Knox e Raffaele Sollecito per l’omicidio di Meredith. Tralasciamo la credibilità di una giustizia che prima condanna, poi assolve, quindi azzera tutto e poi condanna nuovamente (nel frattempo sono già 30 i giudici che si sono pronunciati e presto diventeranno 35 con la possibilità che lievitino a 43 se la Cassazione deciderà che vada celebrato un nuovo dibattimento). Il giorno dopo il verdetto di questo processo ping pong, il presidente della Corte ha ritenuto di incontrare i giornalisti (dev’essere uno che non teme la folla), li ha intrattenuti amabilmente ed è entrato – stando ai resoconti, tutti per la verità concordanti – nei meandri delle motivazioni che starebbero alla base della condanna. Di più. Le frasi che gli sono state attribuite arrivano a infrangere il sacro vincolo della segretezza della camera di consiglio, perché rivelano come ci sia stata una spaccatura tra i giurati.

Altra inquietudine e sempre per un fatto di cronaca del 2007 che, al pari dell’omicidio di Meredith non ha ancora avuto un epilogo giudiziario: l’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco.
Tra un paio di mesi l’unico imputato, Alberto Stasi, tornerà alla sbarra. Eppure ben due collegi, 16 giudici, hanno stabilito che è innocente. Niente da fare: per la Cassazione va celebrato un nuovo processo d’appello e con questo saranno quattro gradi di giudizio. Ma che attendibilità può avere una giustizia così altalenante, con quale tranquillità ci si può affidare a giudici che danno l’impressione di pronunciare le parole colpevole o innocente come se si stesse parlando della preferenza tra acqua e vino? Per non parlare degli esiti, a volte tragici, che questa indeterminatezza genera nella vita e nelle famiglie delle persone che finiscono nel tunnel di un’indagine.
Un’ultima annotazione.

Ho partecipato a una puntata di Servizio pubblico di Michele Santoro e in studio c’era il falso pentito Vincenzo Scarantino, un pataccaro ante litteram che con le sue dichiarazioni fece condannare all’ergastolo sette innocenti (quasi vent’anni di carcere senza motivo) per la strage di via D’Amelio. Nonostante agli albori di questa collaborazione, era il 1994, Ilda Boccassini avesse segnalato ai colleghi pm con dovizia di particolari che Scarantino mentiva spudoratamente, non uno tra gli inquirenti (c’era anche Nino Di Matteo, oggi primo accusatore al processo sulla trattativa Stato-mafia) mise in dubbio la sua parola.

Subito dopo la trasmissione, mentre tornava in albergo, Scarantino è stato arrestato per una presunta violenza sessuale avvenuta a Torino mesi fa. Mi chiedo: ma perché non lo hanno arrestato prima della trasmissione? O
magari durante una pausa pubblicitaria? Non posso credere che gli inquirenti non sapessero dove fosse Scarantino, perfino Santoro lo ha trovato con facilità. Guai a interrompere uno spettacolo, mi rendo conto: the show must go on. Ma anche no.

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Giorgio Mulè