I porno-manga sono pedofilia?
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I porno-manga sono pedofilia?

Un business da sette miliardi di dollari: a tanto ammonta in Giappone il giro d'affari di questo genere. Escluso per ragioni di bilancio dalla nuova stretta legislativa contro la pedofilia

Girando per le strade (non solo) di Tokyo, bastano un paio di sguardi per capire che il sesso, in Giappone, vende benissimo, e che l'immagine più gettonata è quella della ragazzina sexy, possibilmente con minigonna a pieghe, camicia bianca, occhi e seno grandi e volto truccato con sfumature sui toni più accesi del rosa.

Una fantasia innocente? Non proprio, visto che è alla base di tutto ciò che di perverso (e pornografico) si trova in Giappone. Un paese in cui le conseguenze negative di una società troppo irreggimentata dall'aver finito col diventare pericolosamente assetata di sesso sono tante. Nel Sol Levante i ladri di mutandine bianche esistono ancora. Negli orari di punta in metropolitana uomini e donne sono invitati a viaggiare in vagoni separati per evitare fastidiosi palpeggiamenti. Esiste addirittura un social network per organizzare stupri fasulli, che permettano quindi di provare il brivido della violenza senza andare troppo oltre. Ancora, il Giappone è, tra i paesi sviluppati, quello che soffre di più per traffico di prostitute di tutte le età, anche bambine, ed è riconosciuto come centro internazionale per la produzione di materiali pornografici e pedo-pornografici.

Del resto, nei negozi che vendono manga si trovano quantità enormi di volumi dai disegni sessualmente così espliciti da meravigliare i clienti non giapponesi per il fatto che non siano venduti nei cosiddetti negozi "per adulti". Non solo, c'è chi è convinto che sia stata la facilità con cui questi materiali sono stati resi reperibili ad aver costruito a tavolino la necessità di creare bar, karaoke e sale di intrattenimento "a tema", dove le cameriere trascorrono il tempo con i clienti ispirandosi alle loro "colleghe" di carta, e a spingere le adolescenti a vestirsi (letteralmente, con tanto di minigonne, camicie sbottonate e giarrettiere) come le loro erione preferite. Del resto, se siete mai passati dal famosissimo incrocio di Shibuya (a Tokyo), tutto questo vi sembrerà naturale.  

A peggiorare la situazione vi è il fatto chi manga giapponesi sono tutt'altro che a favore della filosofia del "guardare e non toccare". Perché in tanti, troppi fumetti e cartoni animati le scene di violenza sono all'ordine del giorno. E non solo violenze sessuali, ma anche squartamenti, giochi erotici con armi da fuoco che inevitabilmene finiscono in tragedia, e che, purtroppo, si trasformano in fonti di ispirazione per chi queste situazioni le vuole riprodurre nella realtà. Come è successo a tante ragazzine, violentate e pugnalate a morte dai loro molestatori appassionati di fumetti. O ad altre fanciulle innocenti che si sono lasciate toccare solo perché chi le ha avvicinate ha spiegato loro che "è una cosa normale che una bambina si comporti in questo modo con un adulto. Lo dicono anche i libri!". Le immagini esplicite, in queste circostanze, aiutano moltissimo.

Ecco perché, contestualizzata, la nuova legge contro il possesso di materiale pedo-pornografico che ha approvato Tokyo è utile, ma non potrà risolvere o anche solo limitare il problema della violenza contro i minori. Per quanto sia più che doveroso che chiunque venga trovato in possesso di questi materiali venga puntito con un anno di detenzione o con multe fino a circa ottomila euro (ma ovviamente per aiutare i giapponesi con la passione per questo genere di letture ad adeguarsi alle nuove regole è stato già stipulato un anno di moratoria), non ha senso che manga e anime, ovvero fumetti e cartoni animati, siano rimasti fuori dalla normativa. O meglio, questa scelta diventa comprensibile se consideriamo che colpendo questo mercato si metterebbero in discussione sette miliardi di dollari di profitti. Quindi non è tanto una questione di "libertà di espressione" da tutelare, come hanno scritto tanti giornali in Giappone e altrove, ma di interessi economici che nessuno ha il coraggio di sfidare

 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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