Ferguson: perché il poliziotto che ha ucciso Michael Brown non è colpevole
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Ferguson: perché il poliziotto che ha ucciso Michael Brown non è colpevole

Il Grand Jury ha ritenuto che non ci fossero prove di colpevolezza contro Darren Wilson. La giuria era composta da 6 bianchi e 3 neri

No justice, no peace. Nessuna giustzia, niente pace. Era lo slogan della rivolta nera di Los Angeles nel 1992. Torna di moda in queste ore per le strade di Ferguson. Il sobborgo nero alle porte di St Louis ritorna sotto la luce dei riflettori dopo la decisione del Grand Jury sul destino di Darren Wilson, l'agente di polizia che uccise Michael Brown, giovane, nero e disarmato.


Dopo giorni di attesa, dopo decine di preventivi appelli alla calma, il pubblico ministero di contea, Bob McCulloch ha reso pubblica la decisione presa dalla giuria: Wilson non sarà incriminato. L'annuncio ha scatentato la rabbia della comunità nera di Ferguson. La rivolta è tornata nelle strade, come era accaduto per giorni e giorni dopo l''uccisione di Michael.

I dimostranti hanno sfidato la polizia in tenuta anti sommossa. C'è stato il lancio di lacrimogeni e si è sentito anche qualche colpo d'arma da fuoco nelle strade della cittadina del Missouri. Ci sono state macchine incendiate e devastazioni, contatti e qualche duro corpo a corpo con la polizia.

Nonostante queste scene di guerriglia urbana, l'intensità e l'ampiezza degli scontri è stata inferiore a quella dello scorso agosto. Segno che il lavoro fatto sulla comunità nera di Ferguson da parte delle autorità federali, gli appelli lanciati dalle storiche figure delle lotta per i diritti civili degli afroamericani che a turno si sono recati in Missouri , hanno per lo più funzionato.

Le motivazioni

Nonostante l'audizione di 60 testimoni, nonostante la conferma della dinamica dell'uccisione, la giuria presieduta da Bob McCulloch non ha voluto incriminare l'agente di polizia Darren Wilson. Eppure sembrava chiaro come fosse andata quel sabato mattina. Un testimone tra tutti l'ha raccontato. Era un suo amico ed era vicino al ragazzo.

Michael Brown stava camminando in mezzo a una strada di un sobborgo residenziale di Ferguson. Si stava recando da sua nonna quando è stato fermato da una macchina della polizia guidata da Wilson. I due si scambiano alcune parole che diventano presto un alterco. Sembra che il poliziotto volesse trascinare il ragazzo dentro la macchina. Non ci riesce e a quel punto da dentro l'autovettura parte un colpo di pistola. Michael inizia a correre per scappare, Wilson scende dalla macchina. Qualche istante e il ragazzo nero si ferma, si gira e alza le mani. L'agente spara prima una raffica di colpi.

Nonostante questo racconto sia stato confermato da più parti, il Grand Jury ha ritenuto che non ci fossero prove contro Darren Wilson. Quando i giornalisti hanno chiesto a Bob mcCulloch se il verdetto fosse stato raggiunto all'unanimità, il procuratore capo della contea si è rifiutato di rispondere. La giuria era composta da sei bianchi e tre neri. Per rispettare la composizione etnica della contea, è stato spiegato. Non è vero perché a Ferguson, l''85% della popoplazione è afroamericana.

Che il verdetto di assoluzione fosse già in qualche modo scritto lo si era capito dal ritardo con cui è stato comunicato. L'attesa è durata giorni e giorni. Che sono serviti a lanciare appelli preventivi alla calma. Ora però la rabbia è riesplosa per le strade di Ferguson. La scommessa di Obama e dei leader nazionali della comunità afroamericana è che la giustizia faccia il suo corso. Quella del Grand Jury può essere solo la prima tappa di una lunga vicenda nelle aule dei tribunali.

Rimangono le tensioni e le divisioni razziali del Missouri, le polemiche per l'abuso della forza dei poliziotti bianchi nei confronti dei neri, il dibattito sulla militarizzazione del corpo di polizia. Rimane la rabbia di una buona parte della comunità afroamericana che non riesce ad avere giustizia nel caso Brown nonostante quei 60 testimoni e quei sei colpi di pistola.

Da New York al Missouri

La protesta per l'assoluzione di Wilson ha contagiato anche altre città americane. Centinaia di persone si sono recate a Times Square o nel centro di Filadelfia, decine di fronte alla Casa Bianca. Tutti hanno urlato lo slogan che è diventato tristemente famoso dopo quel nove di agosto: 'Hands up, No shoot' (alzate le mani, non sparate). Lo stesso Barack Obama ha deciso di fare una dichiarazione pubblica per tentare di calmare le acque. Il presidente ha invitato alla calma sia i dimostranti, sia i poliziotti.

La famiglia di Michael Brown aveva fatto lo stesso prima della decisione del Grand Jury, aveva chiesto che non ci fossero violenze. Ora ripete il suo appello, ma la madre si è dichiarata profondamente avvilita per la decisione della giuria: "L'uomo che ha ucciso mio figlio non pagherà le conseguenze del suo gesto".

EPA/LARRY W. SMITH
Una donna dopo gli scontri e il lancio di gas da parte della polizia americana durante gli scontri nella notte del 24 novembre 2014 a Ferguson

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Michele Zurleni

Giornalista, ha una bandiera Usa sulla scrivania. Simbolo di chi vuole guardare avanti, come fa Obama. Come hanno fatto molti suoi predecessori

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