pechino
Dimitry B., Flickr
News

Censura su internet: cosa sta succedendo in Cina

Il governo di Pechino ha isolato il paese dal resto del mondo. Tutto gira intorno al Great Firewall, muro digitale eretto nel 2003

Se siete stati in Cina negli ultimi dieci anni sapete che non si può controllare la posta di Gmail, navigare tra i risultati di Google e guardare video su YouTube. Fino a qualche tempo fa il blocco era aggirabile con le VPN ma adesso chi prova a usare stratagemmi del genere rischia grosso.

Questo è accaduto a Deng Jiewei, che aveva continuato a vendere la propria soluzione di VPN online, infrangendo l’articolo 285 della legge penale cinese che menziona i servizi virtuali come mezzi per “interferire negli affari di stato”. Il ragazzo è stato arrestato e condannato a nove mesi di prigione, una pena anche minima rispetto ai tre anni previsti dalla dittatura comunista.

Il governo di Pechino, in estate, aveva ufficiosamente invitato gli operatori internet nazionali a bloccare l’accesso dei clienti al web tramite reti virtuali private, le Virtual Private Network appunto. Si tratta di ponti digitali, attivabili con un semplice software e un irrisorio canone mensile (anche di 5 euro), che permettono di andare online connettendosi a punti di accesso dislocati nel mondo. Da febbraio del 2018 la censura diverrà ufficiale.

Come funziona una VPN

Grazie a un metodo del genere, chi è in Cina può fingere di essere collegato da New York, Barcellona o Milano, per scavalcare i blocchi imposti in patria, camuffando il proprio indirizzo di rete. Un sistema simile a quello di Tor, famoso browser amico della privacy, con la differenza che la VPN non nasconde completamente l’IP del computer ma lo trasferisce altrove.

Limitare l’accesso

In questo modo milioni di ragazzi cinesi hanno scoperto piattaforme che mai le autorità del paese avrebbero fatto entrare nei confini nazionali: Facebook, Twitter, le stesse Google App come Chrome, Gmail, YouTube. In Cina ad esempio, Android è pesantemente limitato perché basato in gran parte sulla Google Experience; non a caso gli smartphone più venduti sono quelli con sistemi operativi pesantemente personalizzati dalle compagnie locali: Vivo, Oppo e Meizu. Un motivo che spiega il perché marchi del genere in Occidente stentano.

Il grande muro digitale

Nel 2003 il Ministero della Pubblica Sicurezza cinese (MPS) testa il Golden Shield Project, presto ribattezzato Great Firewall. Si tratta di un programma di censura che blocca l’accesso agli indirizzi internet considerati pericolosi dal governo. Ideato nel 1998, il progetto entra in piena funzione nel 2006, esattamente undici anni fa.

Censura al potere

L’installazione dello scudo digitale è figlia dell’ideologia di prevenzione della Cina più ortodossa, quella che ha sempre avuto paura del probabile sconvolgimento di idee che il prodotto culturale europeo e americano avrebbe portato all’interno della nazione. Non a caso, uno dei primi testi sfornati dal governo, che delinea internet e le sue modalità di utilizzo, si concentra su ciò che le persone non possono fare online:

È proibito utilizzare Internet per creare, replicare, recuperare, o trasmettere informazioni che incitino la resistenza alla Costituzione RPC, leggi o regolamenti amministrativi; promuovere il rovesciamento del governo o sistema socialista; minare l’unificazione nazionale; distorcere la verità, diffondere voci, o distrugge l'ordine sociale; o fornire materiale sessualmente suggestivo o incoraggiare il gioco d'azzardo, violenza, o omicidio. Agli utenti è vietato impegnarsi in attività che danneggiano la sicurezza delle reti informatiche e di utilizzare le reti o modificare le risorse di rete senza approvazione preventiva”.

Ma il business è USA

Dal 1997, solo tre anni dopo l’arrivo di internet nel paese, la Cina si è messa all’opera per costruire un sistema di sorveglianza digitale di massa, che oggi è considerato il più avanzato al mondo. A disposizione della polizia ci sono telecamere di riconoscimento facciale, carte di credito con la lettura di impronte, computer e smartphone con sistemi chiusi, circuiti televisivi governativi, stampa e media controllati.

Il bello è che per creare un’infrastruttura del genere, i funzionari amministrativi si sono rivolti alle multinazionali americane, come Cisco Systems, che ha fornito cablaggi, reti e punti di accesso (modem, router) dislocati lungo le arterie principali cinesi.

Copie fedeli all’originale

Uno dei vantaggi nell’aver chiuso l’occidentalizzazione dell’economia digitale interna è nella creazione di cloni che mimano le piattaforme più famose. Le varie Facebook, Twitter, Google, YouTube, in Cina diventano Qzone, Weibo, Baidu, Youku. Servizi così soddisfano i bisogni di socialità dei cittadini ma anche la volontà della politica di mantenere i server sul suolo nazionale, così da gestire direttamente i dati senza doverli richiedere all’estero.

La mossa di Apple

E quando in ballo ci sono le multinazionali che dalle vendite in Cina guadagnano un bel po’ di soldi, non si può che sottostare alle decisioni che arrivano dall’alto. Il mercato cinese vale per la sola Apple il 9,6% dei ricavi a livello globale secondo gli ultimi dati di IDC. Vuol dire che la Mela vende nel paese circa 45 milioni di iPhone. Rischiare di essere bannata non rientra nei piani di Tim Cook.

Via dall'App Store

Per questo a fine luglio Cupertino ha rimosso dall’App Store dedicato alla Cina tutte le app VPN disponibili, a seguito di una lettera da parte del governo di Pechino. Incalzata dalle associazioni sui diritti dei consumatori, la compagnia ha semplicemente detto di voler rispettare le norme stabilite nei mercati a cui si rivolge. Peccato che quando si è trattato di collaborare con l’FBI per il caso di San Bernardino abbia negato qualunque assistenza.

Database di sicurezza

Un altro punto a favore di Pechino è che limitando l’importazione liquida si ha un controllo maggiore sulla quantità di virus informatici che vagano per il mondo (come Petya e Nyetya) e che potrebbero colpire i computer e gli smartphone degli utenti. Non a caso a metà settembre il Ministero dell’Industria e dell’Information Technology ha ufficializzato la creazione di un database di cyber-security (attivo dal prossimo febbraio) che include tutte le informazioni sugli attacchi hacker che hanno colpito il paese, sin da quando ve n’è memoria.

Libertà utopica

L’obiettivo è capire come si sono evolute le minacce e da dove arrivano, dando al ministro preposto pieni poteri in quanto a tracciamento dei codici infetti, spionaggio nei PC di qualsivoglia cittadino e denuncia verso aziende e operatori che non rispondono alle richieste di accesso ai dati. Insomma, il completamento di quanto avviato nel ’98.

Per saperne di più

From Your Site Articles

I più letti

avatar-icon

Antonino Caffo

Nato un anno prima dell’urlo di Tardelli al Mondiale, dopo una vita passata tra Benevento e Roma torno a Milano nel cui hinterland avevo emesso il primo vagito. Scrivo sul web e per il web da una quindicina di anni, prima per passione poi per lavoro. Giornalista, mi sono formato su temi legati al mondo della tecnologia, social network e hacking. Mi trovate sempre online, se non rispondo starò dormendo, se rispondo e sto dormendo non sono io. "A volte credo che la mia vita sia un continuo susseguirsi di Enigmi" (Guybrush Threepwood, temibile pirata).

Read More