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Esami diagnostici: dalla parte del paziente

Inchiesta sulle tecniche di controllo sui tumori: si potrebbe fare molto di più per evitare gli effetti collaterali

Ci sono due obiettivi paralleli nella ricerca sulle diagnosi dei tumori: il primo, aumentare la sensibilità delle tecniche d'indagine in modo da vedere un tumore prima possibile, addirittura quando si sta formando; il secondo, ridurre gli effetti collaterali a carico del paziente, per esempio diminuendo la quantità di radiazioni alle quali è sottoposto. Il progresso fatto nel raggiungimento del primo obiettivo è stato notevole: siamo in grado di scoprire molti tumori prima che sia troppo tardi. Il ruolo degli esami diagnostici è stato cruciale anche nel cosiddetto follow-up, quell’insieme di controlli ai quali deve sottoporsi un paziente per escludere che il tumore si ripresenti in altre parti del corpo.
    Molto invece c’è da fare per quanto riguarda il secondo obiettivo: non sempre la scelta delle tecniche da usare nei controlli è la migliore possibile in un dato contesto, come mostra questa analisi di Panorama. Si prenda il caso di un paziente che ha subito un’operazione di tumore ed è sottoposto a esami diagnostici negli anni successivi. Due delle tecniche di controllo più usate sono la Tac (tomografia assiale computerizzata) e la Pet (tomografia ad emissione di positroni). La Tac sfrutta i raggi X per produrre immagini tridimensionali del corpo del paziente; la Pet consiste nel registrare le emissioni indirette di un farmaco radioattivo, detto radiofarmaco, introdotto nel corpo del paziente. La parte radioattiva del farmaco è quasi sempre prodotta da una macchina chiamata ciclotrone. Anche se accoppiata alla Tac (esame Pet-Tac), la Pet sottopone il paziente a un più basso numero di radiazioni. Potrebbe forse essere utilizzata di più di quanto lo è adesso così da diminuire i rischi del paziente?

«Gli esami diagnostici vanno scelti con appropriatezza, cioè valutando i benefici per il malato e il contesto sanitario» premette Arturo Chiti, responsabile dell’Unità Operativa di Medicina Nucleare di Humanitas « In linea di principio, utilizzando il giusto radiofarmaco è possibile usare la Pet-Tac per diagnosticare la maggior parte dei tumori. Per esempio, il tumore al polmone si vede bene usando come radio-isotopo tracciante il fluorodesossiglucosio (detto Fdg, ma per il tumore alla prostata occorre usare una molecola, chiamata colina» aggiunge Chiti. «Il punto è che in molti casi si potrebbe utilizzare la Pet molto di più di quanto la si usa adesso, ottimizzando la dose di radiazioni della Tac» dice Chiti. Vediamo alcuni casi: « Nel tumore del polmone, la diagnosi fra lesioni benigne e maligne può essere aiutata con la Pet con Fdg, che è utilissima anche nella stadiazione, cioè nella valutazione della estensione del tumore. Nella sospetta ripresa di tumore alla prostata l’uso della Pet con colina, sarebbe più appropriato rispetto ad altre metodiche diagnostiche; per alcuni tipi di tumore del collo potrebbe benissimo essere prevedere i controlli con esami Pet-Tac invece di sole Tac; e anche i linfomi sono un caso di sotto-utilizzo della Pet-Tac». Se un tumore ha già colpito un organo si sa quali sono gli organi specifici che potrebbero essere colpiti dal tumore successivamente. In questo caso, esami Pet-Tac con specifici radiofarmaci opportunamente scelti sarebbero in grado di scovare prima l'insorgenza di metastasi sottoponendo il paziente a meno radiazioni. Un fattore determinante nella scelta delle tecniche diagnostiche è quello economico: una Tac in media costa intorno ai 500 euro mentre una Pet costa circa 1000 euro. Le linee guida europee, che vengono stilate da diverse società scientifiche, cercano di valutare diversi casi in diversi contesti medici e sanitari e consigliano le tecniche più appropriate da usare. Tuttavia ogni governo le recepisce e le declina in maniera differente.
    Se in futuro, come oggi, le potenzialità della Pet non saranno sfruttate a pieno, a perderci saranno anche i malati di altri tipi di tumore. Infatti, sono stati sviluppati radiofarmaci che potrebbero permettere rivalutazioni a minor impatto, ma anche diagnosi migliori, come spiega Chiti:« Sono disponibili radiofarmaci a base di amminoacidi per i tumori cerebrali, a base di peptidi per vari tipi di tumori neuroendocrini come quello del pancreas, e infine l'uso del fluorodesossiglucosio per alcuni linfomi». La prima bozza del decreto del Ministro Lorenzin, che mira a tagliare alcune prestazioni sanitarie seguendo un criterio di «appropriatezza», riduceva la Pet a un esame di secondo livello, da utilizzare solo nei casi in cui la Tac o la risonanza magnetica non sono dirimenti. Dobbiamo però dare atto che il Ministro ha recepito le raccomandazioni e la bozza attualmente in discussione prevede un uso più ampio della Pet, anche se non ottimale.

    Accanto a questa tendenza a limitare l’uso della Pet vi è un paradosso. L’Italia è il Paese europeo che ha il maggior numero di ciclotroni, le macchine che fabbricano gli isotopi usati per sintetizzare i traccianti usati nelle Pet. Come spiega Erik Strömqvist, General Manager della sezione Cyclotrons & TracerCenter della General Electric Healthcare, l’azienda che ha fornito la maggior parte dei ciclotroni presenti nelle strutture italiane, in Italia ci sono 61 ciclotroni, che in rapporto alla popolazione è un numero più di due volte superiore a quello di un paese produttore come la Svezia. Difficile spiegare perché macchine così costose siano così numerose:« Occorrerebbe concentrare i ciclotroni in poche strutture ben collegate con gli altri ospedali e rinnovarli» dice Chiti. Infatti, come spiega Strömqvist, i ciclotroni costeranno sempre meno e saranno sempre più piccoli.
    I pazienti che devono sottoporsi a esami di Tac non devono disperare: in futuro le dosi di radiazioni saranno sempre minori. In centri come l’istituto Humanitas è stato istallato il cosiddetto software DoseWatch, capace di ridurre di oltre il 30 per cento la dose di raggi somministrata ai pazienti. In Paesi come la Francia il rimborso delle prestazioni viene fatto in misura diversa a seconda dell'anzianità della macchina (e dunque anche della quantità di radiazioni alle quali è sottoposto il paziente). Questo incentiva gli ospedali a rinnovare i macchinari. L'Italia potrebbe valutare l'opportunità di fare scelte simili.
    In molti centri europei come il Karolinska Institute, che sta per essere ampliato e rinnovato, sono state ripensate le politiche di valutazione dei pazienti. A ogni gruppo di malati viene assegnato un esperto che monitorerà diversi fattori nel corso di molti mesi. I follow-up saranno personalizzati e terranno conto della dieta dei singoli pazienti sia nella fase di ricovero sia nella fase di controllo post-operazione con ripercussioni positive sul rischio di infezioni e sulla velocità di ripresa post-operatoria. La valutazione dei costi verrà fatta osservando l'intero iter della cura del paziente: speriamo che anche in Italia si vada in questa direzione. Non è solo riducendo determinate tecniche diagnostiche che si ottiene un risparmio.

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Luca Sciortino