Errori umani e specificità culturali: ecco le vere cause della tragedia di Fukushima
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Errori umani e specificità culturali: ecco le vere cause della tragedia di Fukushima

Terremoto e tsunami avrebbero potuto essere controllati. Se i giapponesi fossero riusciti a liberarsi in tempo delle loro convenzioni culturali...

"E' stato un errore umano. La catastrofe nucleare di Fukushima dell'11 marzo 2011 non è stata provocata solo dal terremoto e dallo tsunami conseguente". Ne è convinta la commissione parlamentare che ha reso noti più o meno una settimana fa i risultati dell'inchiesta su uno dei più gravi incidenti nucleari dopo quello di Chernobyl.

Dopo aver appurato che l'11 marzo "la centrale nucleare di Fukushima era in condizioni vulnerabili che non garantivano di far fronte al terremoto e allo tsunami", chi ha condotto l'inchiesta si è convinto del fatto che pur avendo l'opportunità di adottare misure in grado di tutelare l'impatto di questi due fenomeni sui reattori, "le autorità di regolamentazione e la Tepco (la società che si è sempre occupata della manutenzione della maggior parte delle centrali nucleari in Giappone, ndr) abbiano deliberatamente rinviato le decisioni, rinunciando a intraprendere azioni di tutela".

Un'accusa gravissima, che ha portato la commissione d'inchiesta a concludere che l'incidente sia stato causato dal "mancato senso di responsabilità nel proteggere la vita delle persone e della società" dimostrato dai governi, dalle autorità di regolamentazione e dalla Tepco. Permettendo quindi che un'onda dalle dimensioni mai viste prima inghiottisse 15mila persone e distruggesse con la sua furia, e coadiuvata da uno dei terremoti più potenti mai registrati, centinaia di migliaia di edifici.

Una doccia fredda per un popolo che ha fatto del senso civico e del rispetto delle norme uno stile di vita. Che rimette in discussione la fiducia nei confronti delle autorità e che, a tempi dei samurai, avrebbe sicuramente portato a un suicidio di massa. L'unico rituale che avrebbe permesso ai colpevoli di espiare completamentela loro colpa.

L'impatto dell'inchiesta è stato talmente forte che in un primo momento nessuno si è accorto che queste 641 pagine bollenti, scritte dopo aver ascoltato 1,167 testimoni per un totale di novecento ore, nascondevano un'altra e forse ancora più tragica verità. Quella secondo cui l'errore umano sia stato provocato dalle "più radicate convenzioni della cultura giapponese: la nostra obbedienza riflessiva, la nostra riluttanza a mettere in discussione le autorità, la nostra devozione a 'rimanere legati a un programma', la nostra predisposizione al consolidamento di una identità di gruppo e il fatto di abitare su un'isola".

Insomma, la tragedia di Fukushima si è verificata solo "per colpa dei Giapponesi", non perché a volte, pericoli imprevisti e qualche ritardo non permettono di evitare che, appunto, uno dei terremoti e degli tsunami più violenti della storia dell'umanità possano mettere a rischio la vita di tante persone.

Quel che è certo è che solo una commissione d'inchiesta composta da giapponesi, e sempre per motivi unicamente culturali, avrebbe potuto scrvere un rapporto così tanto accurato e finire con l'attribuire alle autorità le responsabilità di fatti tanto gravi. Qualsiasi altro paese si sarebbe nascosto (a queste condizioni anche con un po' di ragione) dietro l'impossibilità di gestire imprevisti di tale portata.

Ecco perché, per espiare in maniera collettiva le (presunte) colpe di Fukushima, anziché mettere in discussione l'operato del governo e delle autorità di regolamentazione, i giapponesi farebbero meglio a rassegnarsi al fatto che per quanto sia un obiettivo nobile e più che legittimo cercare di trovare modi per prevenire le conseguenze dell'impatto di qualsiasi fattore di rischio, riuscirci è impossibile. Al contrario, farebbero meglio a conservare nella memoria le prove di coraggio e gli esempi di solidarietà e rispetto di cui tanti di loro, negli ultimi sedici mesi, sono stati protagonisti. Per raggiungere la consapevolezza che sono stati le stesse specificità culturali cui oggi sono state attribuite tante colpe a permettere loro di comportarsi come hanno fatto.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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