Elezioni in Kenya: Kenyatta in rimonta su Odinga
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Elezioni in Kenya: Kenyatta in rimonta su Odinga

Il 4 marzo il popolo keniota è chiamato alle urne per scegliere il nuovo presidente

di Rocco Bellantone (per LookOut news )

“Scegliete la pace per il nostro amato Paese, prima, durante e dopo le elezioni”. A tre giorni dalle presidenziali e parlamentari in Kenya, l’ultimo autorevole appello alla non violenza arriva da monsignor Boniface Lele, arcivescovo di Mombasa.

Se il messaggio sarà giunto al mittente lo sapremo solo dopo il 4 marzo, l’election day da cui scaturirà il nome di colui che dovrà far dimenticare i dieci anni di governo non certo memorabili dell’attuale presidente Mwai Kibaki, colpevole di aver riportato la nazione nel caos dopo la sua rielezione nel dicembre del 2007 (macchiata da sanguinosi scontri interetnici che provocarono più di 1.000 morti e centinaia di migliaia di sfollati). Alla corsa per la successione gareggiano otto candidati, ma a tirare la volata finale saranno soltanto in due.

Il testa a testa è tra l’attuale premier Raila Odinga, rimessosi in gioco dopo essere stato battuto quattro anni fa da Kibaki, e il vicepremier Uhuru Kenyatta.

Forte del sostegno della popolazione musulmana, Odinga avrà al suo fianco il vicepresidente Kalonzo Musyoka nella Coalizione per la riforma e la democrazia (CRD). Favorito nelle battute iniziali di questa campagna elettorale, ha però perso moltissimi consensi nelle ultime settimane. Un sondaggio effettuato dopo il primo dibattito presidenziale tenutosi a metà febbraio in diretta televisiva lo vede infatti distanziato di circa sette punti da Kenyatta, dato in netta ripresa sino a sfiorare il 40%.

Figlio di Jomo Kenyatta, leader della lotta per l’indipendenza strappata ai coloni britannici nel 1963, Uhuru Kenyatta corre insieme a William Ruto, con cui ha fondato la coalizione The National Alliance (TNA), nonostante sia accusato dalla Corte penale internazionale di crimini contro l’umanità per presunte responsabilità nei massacri pre e post elettorali di fine 2007. Kenyatta ha però il merito di aver saputo trarre giovamento da questa situazione, raccogliendo attorno alla sua candidatura il sentimento nazionalista e antioccidentale di due delle più grandi comunità etniche del Kenya, i Kikuyu e i Kalenjin.

Le dispute interetniche
Sullo sfondo di questa sfida resta l’immagine di un Paese messo in ginocchio dal crollo dell’economia (dal +6% del 2005-2007 all’attuale +1,5%) e dall’aumento del tasso di criminalità, soprattutto a Nairobi e Mombasa. Ma ciò che incide di più sull’instabilità del Kenya sono le dispute interetniche, che si registrano in particolare nelle province costiere e nella regione di Kisumu. In Kenya sono presenti oltre quaranta differenti etnie, entrate in conflitto nell’epoca del dominio coloniale britannico e da allora mai più riappacificatesi. La contrapposizione più rilevante è quella tra i Kikuyu, il gruppo maggioritario che ha monopolizzato l’economia grazie all’appoggio politico di Nairobi, e i Luo (conosciuti anche come “Lwo”), decisivi nel processo di liberazione che ha portato all’indipendenza del Paese nel 1963, poi marginalizzati una volta ottenuta l’autonomia politica.

Nonostante i messaggi di pace e le campagne di sensibilizzazione che hanno invaso in queste settimane i social network, i blog, i forum online e i talk show televisivi a cui si sono prestati i politici in competizione (considerato che solo il 25% dei kenioti ha accesso a internet), la tensione nel Paese è rimasta comunque alta. Nell’agosto scorso almeno 50 persone sono rimaste uccise in uno scontro per dispute territoriali tra le comunità Pokomo e Orma nel Delta del Tana, mentre a settembre, dopo l’omicidio di un religioso musulmano a Mombasa, sono scoppiate violente proteste con morti e feriti.    

Insomma, una situazione difficile che potrebbe essere ulteriormente complicata da eventuali attacchi  del gruppo islamista somalo Al Shabaab, che gestisce il contrabbando di armi lungo il confine nord-orientale del Paese. I salafiti hanno aumentato le loro offensive dopo l’invasione keniota della Somalia nell’ottobre del 2011, e le autorità temono che  i terroristi possano tornare alla carica con un attentato sensazionalistico proprio il giorno del voto. Anche con loro dovrà vedersela il futuro presidente.

Al momento i riflettori sono tutti per Kenyatta. Se vince, avrà un primato e ne condividerà un altro: sarà il presidente più giovane della storia del Kenya libero ma condividerà con il sudanese Omar Al Bashir il primato di presidente incriminato dalla Corte penale internazionale. Una risposta se l’aspettano anche gli occidentali. Dopo queste elezioni, il Kenya tornerà a essere quel posto al sole di cui eravamo innamorati?

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