Reddito minimo, il dibattito in Inghilterra e Stati Uniti
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Economia

Reddito minimo, il dibattito in Inghilterra e Stati Uniti

I salari più alti servono a stimolare produttività e consumi, e a favorire una più equa redistribuzione del reddito all'interno della nazione

In Inghilterra il governo ha deciso di mettere nero su bianco i nomi di tutte quelle aziende che si rifiutano di garantire il salario minimo ai propri dipendenti, costringendo i colpevoli a risarcire i malcapitati con oltre 35mila dollari. In Australia i gestori di alcuni ristoranti della catena"La Porchetta" hanno ricevuto niente meno che 335mila dollari di multa per aver sottopagato un centinaio tra cuochi e camerieri, pur offrendo loro "in cambio" pizze e bevande a un prezzo scontato. Il motivo? Il salario minimo va rispettato, punto e basta. E' illegale, oltre che profondamente sbagliato, non farlo. Ecco peché chi si ostina a non rispettare questi standard tentando di arricchirsi alle spalle della propria forza lavoro deve sapere che, prima o poi, sarà costretto a pagarne il prezzo.

Tutto è cominciato quando, alla fine di maggio, negli Stati Uniti i dipendenti McDonald's sono scesi in piazza per chiedere l'innalzamento del salario minimo. Proteste che si sono estese rapidamente alla maggior parte dei paesi del mondo in cui opera la multinazionale degli hamburger e che, per fortuna, non hanno avuto come unica conseguenza scontri, violenze e arresti, perché hanno definitivamente convinto il mondo anglosassone dell'urgenza di regolamentare il problema del reddito minimo. 

In Inghilterra il salario minimo è oggi pari a 6,31 sterline (circa 10,6 dollari), ma verrà alzato a 6,50 entro la fine di ottobre. In Australia il minimo è di 16,37 dollari (circa 15,3 dollari americani). Negli Stati Uniti è fermo a 7,25 dollari, e da mesi si discute sull'opportunità di farlo salire fino a 10,10, per stimolare produttività e consumi, oltre che per favorire una più equa redistribuzione del reddito all'interno del paese. Apparentemente starebbero meglio gli australiani, ma in realtà un confronto tra diversi livelli di salario è utile solo se rapportato al costo della vita di chi lo percepisce.

E' importante ricordare che il concetto di salario minimo è molto recente. Il Regno Unito lo ha regolamentato ufficialmente nel 1999, proponendo un minimo di 3 sterline all'ora per i lavoratori sotto la soglia dei 22 anni, 3,6 per tutti gli altri. Oggi, invece, chi ha più di 21 anni dovrebbe ricevere almeno 6,31 sterline all'ora, chi ha un'età compresa tra i 18 e i 20 5,03 sterline, chi ha meno di 18 anni 3,72 e gli apprendisti appena 2,68. Gli Stati Uniti ci sono arrivati con un paio di decenni d'anticipo, ma nonostante questo i minimi sono ancora oggi molto bassi.  

In Inghilterra il problema del salario garantito è molto sentito per due motivi. Anzitutto negli ultimi quattro anni gli stipendi sono crollati del 5,5 per cento (molto di più rispetto alla media europea dello 0,7 per cento), più di Spagna, Cipro, Grecia, Portogallo, Italia e Olanda. Per non parlare del confronto con le "vere" potenze europee, Francia e Germania, dove gli stipendi sono cresciuti, rispettivamente, dello 0,7 e del 2,7 per cento. In secondo luogo c'è chi chiede che il salario minimo sia modificato prendendo in considerazione la residenza dei lavoratori, soprattutto quando si tratta di Londra, dove il costo della vita è nettamente più alto rispetto al resto del paese.

Per gli inglesi, quindi, quello del reddito minimo è un problema "interno". Da risolvere per stimolare crescita, sviluppo, e per evitare di finire nell'elenco delle economie europee meno virtuose. Negli Stati Uniti, invece, il problema è più complesso, perché alla prospettiva interna se ne affianca una "internazionale", alimentata dall'idea che le multinazionali sbaglino ad adottare politiche salariali differenziate nei vari paesi in cui operano. Eppure, immaginare che un giorno esisterà un salario minimo globale è sciocco, oltre che irrealistico. Ogni paese ha le sue peculiarità, ed è evidente che un reddito uniforme premierebbe i paesi in via di sviluppo ma penalizzerebbe, e di molto, tutti gli altri. Agli americani non dovrebbe interessare quanto si guadagna da Wal-Mart in America Latina, da Starbucks in Cina e da McDonald's in India, ma se il loro salario sia equo e proporzionale al costo della vita aggiustato per il tasso di inflazione. Lo stesso dovrebbero fare i lavoratori di tutto il mondo. E i governi dovrebbero ascoltarli, perché laddove è stato sperimentato l'aumento del salario minimo non ha creato più costi per le aziende e quindi una riduzione significativa dei loro introiti, ma, al contrario, un aumento della produttività interna e dei consumi. Se le premesse sono queste, varrebbe la pena continuare quanto meno a sperimentare. Con l'obiettivo di trovare l'equazione giusta per calcolare il reddito minimo più equo per tutti.

 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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