Mcdonald’s: una laurea in hamburgerologia per la piena occupazione
(Justin Sullivan/Getty Images)
Economia

Mcdonald’s: una laurea in hamburgerologia per la piena occupazione

Sette centri di formazione in tutto il mondo addestrano i manager dei ristoranti che non restano mai senza lavoro

Con sessanta milioni di clienti al giorno, è chiaro che McDonald’s non possa semplicemente affidarsi a un normale addestramento. E’ così che sono nate le Hamburger University ideate, realizzate e finanziate dal gigante degli hamburger che ogni anno, esclusi i costi per la costruzione delle strutture, spende oltre 60 milioni di dollari in formazione. Per quanto ironica possa sembrare l’associazione fra un panino e l’università, il processo di ammissione alle McDonald’s University è, apparentemente, molto più severo rispetto a quello delle più blasonate istituzioni americane. In media, solo il 7% dei candidati ce la fa a diventare una matricola, contro il 13% di chi riesce a entrare ad Harvard. La sede britannica della McDonald’s University, in particolare, si trova a Londra e, fa sapere The Economist , riceve ogni anno un milione di candidature, ma solo un aspirante su 15 passa i test di selezione.

Ma cosa si insegna nelle Hamburger University? Lo rivela un servizio di Cnn Money. Gli studenti non imparano come preparare un hamburger, il cibo infatti è finto, ma sono addestrati a far funzionare alla perfezione il meccanismo del ristorante. Le lezioni comprendono simulazioni, con una parte di studenti che osserva e un’altra che lavora in cucina, alla cassa o che recita la parte del cliente impaziente. E poi c’è una parte teorica in classe, dove gli insegnanti passano in rassegna gli errori riscontrati dagli studenti nella gestione del locale, propongono soluzioni e li preparano ad affrontare nuovamente la prova della simulazione. L’attenzione alla pratica, infatti, è massima, ma nel piano di studi rientrano anche autostima e auto-aiuto per i manager, che ricevono le armi psicologiche per fare fornte alle difficoltà. Il saggio di Steven Covey, “Le sette abitudini delle persone molto efficienti”, fa ovviamente parte delle letture. 

Le candidature che l’azienda seleziona sono quelle di manager “ad alto potenziale”. McDonald, infatti, accetta il rischio di formare persone che potrebbero lavorare da un’altra parte, perchè sente il bisogno di tutelarsi dal rischio di dipendenti o franchisee che potrebbero trovarsi a gestire un business da diversi milioni, senza nemmeno aver compiuto trent’anni. L’età media dei lavoratori dei fast food, infatti, è di 28 anni. Le università, inoltre, soddisfano l’appetito della multinazionale per senior manager, quelli che un giorno potrebbero tenere in mano le leve dell’intero business. Tutti i manager in McDonald’s, infatti, partono dal basso. Lo ha fatto lo stesso Fred Turner, inventore delle Hamburger University che ha inaugurato la prima nel 1961 nello scantinato di un ristorante in Illinois. Scomparso lo scorso gennaio, Turner è responsabile di molte idee di successo della catena come gli Happy Meal e i Drive-through. 

Nei primi sette anni di attività della Hamburger University, McDonald’s ha laureato 10mila manager. A dieci anni dall’esordio, l’università ha aperto i battenti in Giappone, nel Regno Unito nel 1981 e poi Australia, Germania, Brasile. Per la settima università, inaugurata nella primavera del 2010 a Shanghai, McDonald’s ha investito 250 milioni di dollari. L’obiettivo è insegnare il business ai giovani cinesi. L’azienda, infatti, richiede che ogni ristorante sia gestito da un manager diplomato alla Hamburger University e scelto, dunque, fra i 60mila dipendenti. I dati si riferiscono al 2010, quando la multinazionale ha deciso di accelerare sulla formazione in vista di uno sviluppo esponenziale dei suoi mille punti vendita per cui era previsto il raddoppio nel giro di 3 – 5 anni. In totale, oltre 275mila franchisee, manager e dipendenti si sono laureati all’università dell’hamburger. Il 99,9% dei laureati ha già un lavoro o una proposta appena terminati gli studi. Contro il 90% di Harvard e il 76% di Stanford.

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Stefania Medetti

Sociologa e giornalista, ho barattato la quotidianità di Milano per il frenetico divenire dell'Asia. Mi piace conoscere il dietro le quinte, individuare relazioni, interpretare i segnali, captare fenomeni nascenti. È per tutte queste ragioni che oggi faccio quello che molte persone faranno in futuro, cioè usare la tecnologia per lavorare e vivere in qualsiasi angolo del villaggio globale. Immersa in un'estate perenne, mi occupo di economia, tecnologia, bellezza e società. And the world is my home.

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